La carrozza della Santa
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La carrozza della Santa

Cristina Cassar Scalia

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  1. 288 pages
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La carrozza della Santa

Cristina Cassar Scalia

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La notizia di un omicidio scuote Catania, gelando gli ultimi entusiasmi della piĂș sentita ricorrenza cittadina. Mentre nell'aria si avverte ancora l'odore acre dei fuochi d'artificio, Vanina Guarrasi Ăš alle prese con un caso che fa scalpore.«Vanina Ăš una di noi e ci fa ridere perchĂ© nelle sue battute ritroviamo un'antica ragionevolezza, arma di sopravvivenza imperitura nei mondi difficili».
Roberta Scorranese, «Corriere della Sera» È la mattina del 6 febbraio, la festa di Sant'Agata si Ăš appenaconclusa e «la Santa», come tutti la chiamano, Ăš rientratanella cattedrale. Nell'atmosfera distratta, da fine evento, che pervade strade e popolazione, un uomo viene ritrovatoin una pozza di sangue nell'androne del Municipio, dentrouna delle Carrozze del Senato. L'opinione pubblica Ăš sconvoltae il sindaco in persona sollecita l'intervento della Guarrasi.La vicenda si presenta subito ingarbugliata, un intrico di piste checonducono sempre alla vita privata e familiare del morto, VascoNocera. Vanina, perĂČ, fatica a dedicare all'indagine l'attenzioneche meriterebbe. A Palermo sta accadendo qualcosa che esigela sua presenza; Ăš un richiamo che non puĂČ ignorare. Stavolta piĂșche mai per la soluzione del mistero saranno importanti l'aiutodella sua squadra e l'impegno del commissario in pensione BiagioPatanĂš, che a dispetto dell'etĂ  non si ferma davanti a niente.- Il sindaco di Catania Ăš qui? - fece la Guarrasi, stupita, rinfilando nel pacchetto la Gauloises che stava tirando fuori. - No, Ăš al telefono. Vanina premette il pulsante e mise in vivavoce. - Guarrasi, - rispose, riprendendo la sigaretta. - Buongiorno, dottoressa, sono Ferdinando Bellavia. - Oh, signor sindaco, buongiorno -. L'aveva incontrato appena la sera prima, che potevavolere adesso? - Scusi se ho chiesto direttamente di lei, ma date le circostanze mi Ăš sembrato meglio evitare troppi giri. - Mi dica, - tagliĂČ corto Vanina. - Qui in municipio Ăš stato appena trovato... un morto, - il sindaco prese fiato, - ammazzato.

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Informations

Éditeur
EINAUDI
Année
2022
ISBN
9788858439692

1.

L’alba era spuntata che ancora il fercolo non aveva iniziato la salita di Sangiuliano. Un tempo, diceva la guida, al monastero delle Benedettine di via dei Crociferi, Sant’Agata ci arrivava appena prima che sorgesse il sole. In quell’unica occasione, le monache violavano per qualche minuto la clausura e omaggiavano la patrona della loro voce. Quella mattina, come in effetti succedeva ormai da anni, il «canto dell’alba» aveva accompagnato il nono rintocco delle campane e la Santa era rientrata in Cattedrale con un clamoroso ritardo, accompagnata dai devoti piĂș fedeli che consumavano gli ultimi scampoli di voce.
Estelle e Nina erano state in giro tutta la notte. Avevano seguito e fotografato ogni momento della festa, fino alla sua conclusione. Gli ultimi giorni a Catania meritavano un reportage degno dell’accoglienza che la Sicilia aveva riservato loro quando, tre mesi prima, il programma Erasmus le aveva portate lĂ­ e le aveva fatte incontrare. E pensare che entrambe, senza nemmeno conoscersi e partendo da cittĂ  diverse, avevano storto il naso quando le rispettive universitĂ  – Avignone per Estelle e Lille per Nina – avevano comunicato loro la sede del soggiorno di studio. L’avevano accettata obtorto collo, giusto perchĂ© non c’erano altre opzioni. Invece era stato un periodo indimenticabile.
Nina si abbandonĂČ stremata su un gradino del basamento che sorreggeva l’elefante di piazza Duomo.
– Ho i piedi arrotolati.
Estelle le si sedette accanto. – CioĂš sono ripiegati su loro stessi? – la provocĂČ. S’erano imposte di parlare solo in italiano anche tra loro.
– Senti, professora, non devo laurearmi in Lingue straniere, io –. Nina era iscritta a Beni culturali.
– Hai ragione, – sbadigliĂČ Estelle. – Anch’io sono stanca. In questi tre giorni avremo fatto
 quanti chilometri? Ventimila?
Nina si strinse nelle spalle. – Non ho tenuto il conto.
– PerĂČ avevi ragione: ne valeva la pena, chissĂ  quando ci ricapita di assistere a una festa simile.
Nina girĂČ gli occhi sulla piazza, all’improvviso quasi vuota, e si soffermĂČ sulla Cattedrale, dove Sant’Agata riposava dopo tre giorni di giri per la cittĂ . Ancora se li ricordavano, lei e Estelle, i fuochi della prima sera. A sira ’o tri, dicevano i loro amici catanesi, altrimenti tradotto «la sera del tre». Il 3 di febbraio, ma questo lo ritenevano ovvio per precisarlo.
Palazzo degli Elefanti, il municipio di Catania, aveva ancora il portone spalancato.
– Estelle.
La ragazza sollevĂČ la testa che aveva appoggiato sulle ginocchia.
– Cosa c’ù?
– Sai che in tre mesi non siamo mai entrate nel palazzo piĂș importante di Catania?
Estelle si voltĂČ verso sinistra. – Ah
 Ed Ăš molto grave?
– No. PerĂČ, visto che tra qualche giorno ripartiamo, approfittiamone per dare un’occhiata all’interno.
– Io invece andrei dall’altra parte, – indicĂČ il bar davanti al duomo, – un bel croissant, un cafĂ© au lait
 – Nina, perĂČ, era giĂ  in piedi e stava scendendo dal basamento.
Estelle alzĂČ gli occhi al cielo. Ma una volta, una sola, che fosse riuscita a farle cambiare idea?
– Almeno mi giuri che poi abbiamo finito il tour e andiamo a dormire? – le gridĂČ, inseguendola.
Passo spedito e fotocamera in mano, come aveva fatto per tutta la notte, Nina glielo giurĂČ.
Davanti al portone aperto non c’era nessuno.
Nell’androne del palazzo, da un lato e dall’altro, in due spazi delimitati da cordoni rossi c’erano due carrozze. Di fattura e dimensioni diverse.
– Guarda, Estelle! – fece Nina eccitata. – Hai capito cosa sono quelle?
– No, cosa sono?
– Le carrozze
 come le appellava Tommaso? Del
 governo?
– Del Senato, – lesse Estelle su una tabella.
– Ecco, sí, del Senato. Quelle che hanno sfilato di mattina tre giorni fa, e che noi non abbiamo visto. Ricordi cosa ci ha raccontato Tommaso?
Tommaso era uno dei migliori amici che s’erano fatte lĂ­ a Catania. Per Estelle qualcosa di piĂș, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
– Ah, sí. Mi ricordo.
Nina s’avvicinĂČ alla carrozza piĂș grande, la piĂș ricca, e scattĂČ una foto.
– SarĂ  almeno del Settecento –. ScavalcĂČ il cordone.
– Che fai?! E se arriva un gendarme? – si allarmĂČ Estelle.
– Ma no. Non c’ù gendarmerie in giro –. Nina avanzĂČ ancora, cauta.
– E se c’ù una videocamera di sorveglianza?
– Non ne vedo –. AllungĂČ il braccio sulla portiera della carrozza.
– Non aprire! – la richiamĂČ Estelle.
Nina provĂČ a tirare la maniglia e la portiera cedette subito.
– Era accostata, – si giustificĂČ, voltandosi verso l’amica e ridendo. La vide fissare, immobile, l’interno della carrozza, la faccia in tinta con il cappotto beige.
– Che
 che cos’ù? – indicĂČ Estelle, la mano tremante. – Sembra
 un piede

Nina tornĂČ a guardare la carrozza e sporse la testa dentro.
UrlĂČ come non aveva mai urlato in vita sua.

2.

Gli uffici della Mobile si stavano ripopolando. Il servizio d’ordine per la festa di Sant’Agata era massacrante, ma era un onere che gli uomini e le donne della squadra si assumevano da sempre con grande impegno. E con altrettanto impegno e abnegazione, a esclusione di chi aveva passato l’intera notte appresso alla Santa, la mattina del 6 febbraio si presentavano in servizio.
Il vicequestore aggiunto Giovanna Guarrasi, detta Vanina, aprĂ­ la porta dell’ufficio che mancava poco a mezzogiorno. Parte della notte l’aveva trascorsa sul campo insieme ai colleghi. Poi, a una certa ora, aveva ceduto e se n’era tornata a Santo Stefano: feste patronali e processioni non erano cosa per lei. Manco il Festino di Santa Rosalia – da palermitana quasi si vergognava a dirlo – riusciva a coinvolgerla minimamente. Caos, confusione, grida che in confronto le abbanniate del mercato di BallarĂČ parevano richiami garbati. Quello che i palermitani urlavano in onore della Santuzza, perĂČ, Vanina lo sapeva piĂș o meno a memoria. Uno cominciava: «Nutti e jornu farĂ­a sta via!» Tutti rispondevano: «Viva santa Rusulia!» Un altro faceva: «Ogni passu e ogni via!» Tutti: «Viva santa Rusulia!» E avanti cosĂ­, come una specie di preghiera. I devoti di sant’Agata, invece, si incitavano a vicenda. «Cittadini! Cittadini!», chiamava uno. A quel punto gli altri murmuriavano «Viva sant’Agata», ripetuto tre volte. FinchĂ© il capo designato non poneva la domanda piĂș ricorrente in quei tre giorni di festa: «Semu tutti devoti tutti?» La risposta, convinta, di cui Vanina non capiva il significato era: «Cett, cett, cett», o almeno questo pareva che dicessero.
Il vicequestore si fermĂČ sulla soglia della sua stanza. Buio quasi assoluto. Qualcuno, verosimilmente steso sul divanetto accanto al balcone, russava cosĂ­ forte da rischiare di staccare dalle pareti i pochi quadri appesi.
Vanina riconobbe la sagoma.
– SpanĂČ, – disse, a voce troppo bassa per ottenere qualche risultato.
S’avvicinĂČ al divano.
– SpanĂČ, – ripetĂ©, alzando il tono.
Nessun segno.
– Ma vedi tu
 – mormorĂČ, divertita. AppoggiĂČ sulla scrivania il vassoio di rosticceria che aveva portato per la squadra, lo aprĂ­ e tirĂČ fuori una pizzetta. Si avvicinĂČ di nuovo e la agitĂČ sotto il naso del dormiente.
– SpanĂČ, sveglia.
L’uomo smise di russare, si strofinĂČ i baffoni neri e si grattĂČ il naso. Poi si girĂČ dall’altra parte.
Vanina si spazientĂ­.
– Ispettore capo Carmelo SpanĂČ!
Il poliziotto spalancĂČ gli occhi, in apnea.
– Matruzza santa, dottoressa, mi scusi! – BalzĂČ in piedi, imbarazzato, e ricadde subito seduto. – La testa mi girĂČ.
– Ca certo: lei si alza cosĂ­, di colpo –. Vanina andĂČ ad aprire le persiane.
L’ispettore si rialzĂČ, stavolta lentamente, scuotendo la testa. La mano sulla fronte. – Madunnuzza chi malacumparsa.
– Ma quale malacumparsa, – minimizzĂČ Vanina.
Si tolse il giubbotto e andĂČ a sedersi sulla poltrona dietro la scrivania.
– Venga qua, si prenda ’sta pizzetta. Tanto ormai la salsa di pomodoro ù tutta sui baffi suoi.
SpanĂČ rise e si accomodĂČ davanti a lei. SbirciĂČ il vassoio.
– Mizzica, che spiegamento di forze! Bar Santo Stefano?
Domanda inutile, gli rispose Vanina con gli occhi.
Dal giorno in cui, circa un anno e mezzo prima, aveva scelto il paese di...

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