Da dove nasce la sostenibilitĂ dâimpresa Di Donato Calace e Marco Stampa
Le origini nel tempo e nella storia
Prendere coscienza di sĂ© Ăš uno degli aspetti che differenziano la specie umana dagli altri esseri viventi. In molti interessanti filoni di ricerca intrapresi dagli studiosi da diverse basi scientifiche e culturali (antropologia, zoologia, teoria dello sviluppo, ambientalismo, sociologia, evoluzionismo ecc.), soprattutto dagli anni Novanta in poi sono stati addotti molti fondati argomenti per evidenziare il nesso tra la presenza e la diffusione dellâHomo Sapiens sulla Terra e il contesto delle risorse ambientali e dei modelli di sviluppo dominanti che ne hanno caratterizzato lâevoluzione e la diffusione. Unâevoluzione che ha portato a dominare su tutte le altre specie1 e a creare periodicamente le condizioni di squilibrio che oggi affrontiamo e che sono le sfide insite nel concetto di âsviluppo sostenibileâ.
Volgersi indietro per cercare di capire la logica del rapporto, continuamente rimesso in discussione, tra la popolazione umana, la sua distribuzione geografica, lâarticolazione in classi, il rapporto con le risorse del territorio e con lâorganizzazione della produzione agricola, i rapporti sociali, culturali e di potere da instaurare, difendere o sovvertire a seconda dei punti di vista e degli interessi, Ăš un esercizio che ha un certo fascino in sĂ© ma ne ha ancora di piĂč se concepito come utile, ovviamente in sintesi, per capire il presente e le lezioni che se ne possono trarre.
Per rompere il ghiaccio su un tema cosĂŹ âaltoâ e iniziare a svolgere la trama di questo libro, prendiamo a prestito una curiositĂ storica tratta da un momento particolare di una delle civiltĂ piĂč studiate della storia umana, quella dellâImpero Romano. Si ha notizia che il retore greco Temistio, vissuto durante il periodo di decadenza dellâImpero nella seconda metĂ del IV secolo d.C., rivolse un elogio allâimperatore Teodosio I per la sua politica di accoglienza verso le tribĂč dei Goti. Questo popolo spinto verso ovest dalla pressione degli Unni e dalla scarsitĂ di terre coltivabili â ecco un classico problema di risorse â premeva disperatamente ai confini danubiani dellâImpero. Temistio arrivĂČ addirittura a paragonare il nuovo umanitarismo verso i barbari, che caratterizzava opportunisticamente in quel momento la politica romana verso lâimmigrazione (la Storia ripete spesso importanti paradigmi), alla preoccupazione per la scomparsa di specie animali allora giĂ a rischio di estinzione come âgli elefanti della Libia, i leoni della Tessaglia e gli ippopotami del Niloâ, facendo professione di ambientalismo ante litteram2.
Questa citazione storica, che in tutta franchezza non consiglieremmo di utilizzare in una presentazione di induction sul tema di fronte a un Consiglio di Amministrazione, risale a un periodo in cui certamente lâesercizio dellâattivitĂ economica, peraltro largamente incentrata sulla schiavitĂč come forza motrice, non poteva portare una grande consapevolezza intorno al problema dellâutilizzo delle risorse naturali nel mondo conosciuto o nelle parti di esso che avevano raggiunto, anche indipendentemente una dallâaltra, un certo grado di evoluzione.
Ma curiositĂ a parte, non bisogna dimenticare che alla base dello sviluppo di ogni civiltĂ umana e del suo progredire, maturare, decadere e perfino collassare, al di lĂ delle pulsioni ideologiche e delle sovrastrutture culturali, al di lĂ delle specificitĂ antropologiche, vi Ăš sempre stato il problema del rapporto con lâambiente ospitante, la conseguente erosione dello stock di risorse naturali sfruttabili con un dato livello di tecnologia e di manodopera e, in particolare, con le opzioni di approvvigionamento energetico.
I destini dei popoli che hanno vissuto la Storia sono dipesi dalle condizioni ambientali e da come essi hanno interagito e modificato queste condizioni3.
Partendo da esempi piĂč vicini a noi, racconteremo brevemente il modo in cui le imprese hanno vissuto problemi che le hanno viste evolvere verso una concezione piĂč coerente e olistica del rapporto con lâambiente, inteso in senso ampio, in cui operano. Affronteremo alcuni temi che hanno uno stretto collegamento con le questioni dello sviluppo della societĂ civile e dei rapporti sociali che ai temi ambientali sono intrecciati, per poi estrarre qualche buona lezione o buona pratica da mettere a frutto, si spera, per una compatibilitĂ tra lâorganizzazione dellâattivitĂ economica dei soggetti imprenditoriali e un futuro piĂč rispettoso degli equilibri del pianeta.
I paradigmi dello sviluppo, come si Ăš detto, hanno sempre gravitato intorno alla produzione di energia e alle sue fonti, oltre che allâorganizzazione che il sistema produttivo adotta e che, a sua volta, diviene centro di riproduzione di meccanismi ed equilibri sociali che quel sistema deve garantire. Un poâ di sana memoria aiuta quindi ad avere un metodo di comprensione delle variabili in gioco se si deve operare da dentro una struttura organizzata per conseguire degli obiettivi di successo sul mercato e di creazione di valore in generale, sulla cui definizione siamo convinti si debba spendere qualche riflessione. Non bisogna temere di sconfinare nellâastrattezza teorica se si fa riferimento e si analizzano tutte le dinamiche del contesto nel quale siamo immersi e le istanze, a volte anche contraddittorie, che questo proietta sullâagire dellâimpresa.
Una consapevolezza del rapporto con le risorse del pianeta emerge con tutta la sua forza solo quando si sono rese evidenti le tendenze piĂč forti dello sviluppo capitalistico a partire dalla prima rivoluzione industriale tra la fine del â700 e la prima metĂ dellâ800 e, successivamente, dal potente sviluppo del capitalismo delle manifatture, delle ferrovie e del carbone prima e dellâenergia elettrica, del petrolio, della chimica e dellâautomobile poi, nella seconda metĂ dellâ800 e in tutto il â900. Questa forte dinamica espansiva non ha avuto riscontri con altre epoche del passato della civiltĂ umana in termini di crescita della popolazione, di apertura di quasi tutte le aree geografiche del pianeta e di cambiamento del tenore di vita di larghe fasce della popolazione. Essa ha visto, nel momento di decollo del suo sviluppo, lâutilizzo del petrolio come combustibile di maggior successo per la produzione di energia elettrica e anche come materia prima e quindi come fattore determinante per la produzione di beni e servizi, la mobilitĂ delle persone e delle merci, quindi come fonte di inarrestabile crescita economica. Ă interessante notare che mentre le forze produttive e la logistica dellâintegrazione degli impianti di produzione di energia, del trattamento dei combustibili fossili e della loro distribuzione e utilizzo si espandevano con una complessitĂ e una vastitĂ mai sperimentata prima, anche lâorganizzazione del lavoro nelle imprese cominciava a risentire di questi cambiamenti, e giĂ si facevano strada negli anni Trenta del â900, nei primi dipartimenti di relazioni del lavoro delle aziende americane, metodi allâavanguardia nella nuova organizzazione funzionale alle mutate esigenze del capitalismo delle grandi imprese, viste come generatrici di welfare per i propri dipendenti, per favorire la produttivitĂ del lavoro e il consenso sociale verso il modello capitalistico dominante4. Lâattenzione alla produttivitĂ del capitale umano ha gettato le basi affinchĂ© nel secondo dopoguerra, una sorta di antesignana âresponsabilitĂ socialeâ dellâindustria cominciasse a emergere sia negli Stati Uniti sia in Europa. Questi prodromi di responsabilitĂ sociale hanno iniziato ad accompagnare lo sviluppo economico del secondo dopoguerra come complemento da parte dellâindustria privata, in un quadro di consenso sociale e di ricostruzione, rispetto allâespansione dei sistemi di welfare pubblici.
Almeno fino alla fine degli anni Sessanta questo modello ha funzionato nellâOccidente sviluppato per rimarginare le ferite della Seconda guerra mondiale, aiutare la ricostruzione post-bellica e consolidare una crescita che Ăš stata tra le piĂč dinamiche della storia economica. La distribuzione di questo welfare pubblico e di questo impegno dellâindustria ha preso direzioni diverse e non sempre confrontabili. Si pensi al welfare scandinavo da un lato e allâassistenzialismo italiano in parte indirizzato alla questione meridionale dallâaltro o, sempre in Italia, al modello di impresa pubblica a partecipazione statale che ha avuto la missione di promuovere lo sviluppo economico del Paese anche in aree arretrate e con lâaccompagnamento di misure di compensazione sociale a vantaggio di comunitĂ e dipendenti dellâimpresa stessa.
Da Olivetti a Mattei, lâimpresa si fa umana?
A questo proposito, per un pubblico attento alle vicende storico-economiche italiane, lâorigine di un discorso alternativo piĂč âumanizzanteâ e socialmente responsabile5 rispetto ai modelli di business dominanti lo si puĂČ ritrovare senzâaltro negli anni del secondo dopoguerra in Italia nella figura di imprenditori illuminati e visionari come sono stati, per citare i due nomi piĂč famosi, Adriano Olivetti ed Enrico Mattei.
La visione di Olivetti era quella di unâimpresa che avesse una missione di crescita sociale e di fabbrica aperta e solidale con la comunitĂ circostante. Questo si traduceva in opere integrate con il territorio e in modalitĂ gestionali che si collocavano molto lontano dallo standard prevalente del capitalismo industriale italiano, trovando in qualche modo un complemento nella strategia di Enrico Mattei, fondatore dellâEnte Nazionale Idrocarburi (poi semplicemente âENIâ), di puntare a rafforzare nel secondo dopoguerra unâindustria fondamentale per lo sviluppo di un Paese che usciva da perdente dalle rovine della Seconda guerra mondiale. Uno sviluppo basato sullâenergia e poi sullâintegrazione verticale della petrolchimica che, almeno nelle intenzioni, dovevano essere volano di sviluppo e di crescita sociale per un Paese storicamente escluso dai primi posti della gerarchia del capitalismo internazionale, specie sul fronte della disponibilitĂ di fonti di energia e dellâapprovvigionamento di materie prime.
La realizzazione concreta dei poli industriali, soprattutto nel Sud del Paese, ha poi in parte contraddetto questa visione, lasciando in alcuni territori pesanti ereditĂ ambientali e di salute pubblica il cui risanamento non Ăš ancora stato risolto. Ma della funzione dellâimpresa pubblica che diventa anche âsocialeâ cercheremo di tener conto in questo volume, perchĂ© nel bene e nel male ha avuto unâimportanza che forse ancora persiste e ha effetti sul tema della sostenibilitĂ , anche se chiaramente allâepoca citata non era intesa esattamente nel senso in cui la intendiamo oggi.
Tutto questo Ăš storia, ed Ăš un aspetto della storia dâItalia che ha dato vita, a seconda dei periodi, a un dibattito intenso e passionale e a una grande produzione di studi e analisi, ma Ăš bene ricordarne, ai nostri fini, alcuni passaggi importanti.
In Italia sono emerse abbastanza presto le problematiche ambientali poste da uno sviluppo fondato da un lato su alcuni grandi poli industriali che rappresentavano in pieno la contraddizione tra la creazione di posti di lavoro da un lato e la salute, lâincolumitĂ pubblica e gli impatti ambientali dallâaltro. Ma anche la contraddizione tra i grandi insediamenti industriali (alcuni di questi, come Priolo in Sicilia e Taranto in Puglia, in dimensioni da primato continentale) e un proliferare di piccole e medie aziende sparse a macchia di leopardo con diverse vocazioni industriali sul territorio. Sembra passato un secolo, ma nel 1992 unâindagine Censis-Istituto per lâAmbiente poneva il degrado ambientale al quarto posto nelle preoccupazioni degli italiani, con piĂč del 29% delle risposte (il 38% e 44% se, nel campione, si enucleavano le risposte rispettivamente dei diplomati e dei laureati). Il tema della salute e dellâambiente Ăš quindi diventato rapidamente di dominio pubblico e soggetto a intensa produzione normativa. Dalla metĂ degli anni Ottanta in poi, la produzione legislativa in tema ambientale Ăš schizzata verso lâalto. Alla fine del decennio Novanta, solo nel settore rifiuti si contavano piĂč di sessanta atti di natura legislativa e normativa. Pietre miliari di questo approccio iper-normativo sono stati il DPR 175 del 1988 sui grandi rischi industriali, che faceva seguito alla cosiddetta âDirettiva Sevesoâ6 e i due DPCM7 del 1988, che regolavano le norme per lâottenimento della pronuncia di compatibilitĂ ambientale di opere e impianti e disciplinavano la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale). Questi provvedimenti erano piombati sui tavoli dei manager degli uffici sicurezza e ambiente di aziende che sulle materie ambientali non avevano allâepoca un approccio pianificato e programmatico, se non una dimestichezza tecnica con le varie norme che si succedevano a regolare le attivitĂ operative in particolari comparti per le necessarie autorizzazioni (emissioni in atmosfera, scarichi idrici e rifiuti).
La filosofia della valutazione di impatto applicata al contesto ambientale di un insediamento produttivo portava giĂ una prima novitĂ nel rapporto tra le imprese e il loro contesto esterno: affrontare il tema della compatibilitĂ tra unâopera e il suo funzionamento nellâambiente circostante, andando oltre le specifiche tecniche legate a questa o a quellâaltra tipologia settoriale di impatto in aria, acqua, suolo o paesaggio.
Un poâ di benevola tenerezza, se cosĂŹ si puĂČ dire, accompagna il ricordo delle prime riunioni convocate a forza di fax in stanze piene di fumo negli uffici a vetrate dei grandi enti energetici, allora (e ancora oggi) assi portanti dello sviluppo economico italiano insieme allâindustria dellâauto. Quanti stimabili tecnici e manager dâazienda, esperti e magari un poâ anzianotti, tecnicamente preparati anche se non troppo empatici, si facevano venire il mal di testa davanti ai testi di normative e alle loro specifiche tecniche che sottolineavano lâinserimento e le criticitĂ dellâopera o dellâimpianto allâinterno di un complesso quadro programmatico di sviluppo dellâarea geografica di riferimento e del suo contesto ambientale. Che effetti avrebbero avuto sulla conduzione delle operazioni? Come ci si voleva rappresentare nei confronti delle autoritĂ da una parte e delle comunitĂ locali dallâaltra?
Quelli erano in effetti i primi tra i dilemmi che avrebbero lastricato la strada delle buone intenzioni e giĂ erano caratterizzati per certi versi da non secondari aspetti metodologici di interazione/integrazione tra unâopera e il territorio circostante discussi peraltro anche in tavoli esterni alle imprese, come quelli organizzati da enti di ricerca e di normazione, un embrione di ragionamento sulla pianificazione dello sviluppo anche se ancora non propriamente sostenibile. Anche sullâonda di questa stagione di provvedimenti normativi in unâorganizzazione complessa come quella di una grande azienda energetica, venne introdotta la consuetudine di redigere studi locali sulle aree piĂč critiche dal punto di vista degli impatti generati sul territorio. Erano lavori certamente incompleti, âfatti in casaâ con le poche fonti a disposizione, poco utili allâinterno e poco influenti sui processi decisionali e lâallocazione degli investimenti (che sarĂ sempre, ad onta dei proclami, una delle cartine di tornasole di unâincisiva politica di sostenibilitĂ ). Ma quei dossier, se non altro, furono utili nel portare allâattenzione del management le criticitĂ di alcune questioni ambientali e lâesistenza di un contesto che chiedeva risposte a problemi pressanti di qualitĂ dellâaria, delle acque e del suolo e come lâinsediamento produttivo, spesso frutto di anni e anni di stratificazioni storiche e di scelte industriali non sempre permeate dalla logica e dalla razionalitĂ , oltre che, va detto per onestĂ , dalla contemporanea presenza di crescite urbane locali incontrollate, forse compatibile con altri obiettivi dei quali la collettivitĂ si doveva far carico: la salute dei cittadini in primis, ma anche la cura e la vocazione ânaturaleâ del territorio. Er...