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COMUNISMO: UGUAGLIANZA E ABBONDANZA
Il primo romanzo di Kurt Vonnegut, Piano meccanico, descrive una societĂ che in superficie sembra unâutopia del postlavoro in cui le macchine hanno liberato gli umani dalla fatica. Per Vonnegut, tuttavia, non si tratta affatto di unâutopia. Nel futuro delineato nel romanzo la produzione Ăš quasi interamente portata avanti dalle macchine, supervisionate da una piccola Ă©lite tecnocratica. Tutti gli altri sono essenzialmente superflui sotto il profilo economico, ma la societĂ Ăš abbastanza ricca da offrire a ognuno una vita confortevole.
A un certo punto Vonnegut si riferisce a questa condizione definendola una âseconda infanziaâ, e la considera non una conquista ma un orrore. Per lui, e per il protagonista del romanzo, il pericolo principale di una societĂ automatizzata Ăš il fatto che priva la vita di ogni significato e di ogni dignitĂ . Se la maggior parte delle persone non Ăš direttamente coinvolta nella produzione dei beni di prima necessitĂ , sembra pensare, cadrĂ inevitabilmente nel torpore e nella disperazione.
Per alcuni versi il romanzo, scritto nel 1952, Ăš chiaramente datato. Anzitutto, quella era unâepoca di elevata industrializzazione sia nel mondo capitalista sia nel mondo comunista, basata su fabbriche gigantesche e sulla catena di montaggio. E senza dubbio lâeconomia di oggi dipende ancora da questo tipo di produzione su vasta scala, piĂč di quanto molti si rendano conto. Ma Vonnegut non prende in considerazione la possibilitĂ che la produzione possa diventare meno centralizzata â e quindi meno dipendente da unâĂ©lite di dirigenti â senza ricadere in forme meno efficienti, ad alto impiego di manodopera. Tecnologie come la stampa 3D (tanto quanto il personal computer) si muovono in quella direzione.
Inoltre, lâidea che il significato sociale debba derivare dal lavoro âproduttivoâ e salariato Ăš profondamente radicata nelle idee patriarcali dellâuomo che porta a casa il pane per la sua famiglia. In tutto il libro câĂš una costante fusione tra lâattivitĂ premiata dal prestigio sociale â che viene considerata un âlavoroâ e remunerata con uno stipendio â e lâattivitĂ materialmente necessaria, ovvero quella che perpetua la societĂ e garantisce le condizioni di vita. Nel romanzo, le donne continuano a svolgere le attivitĂ non retribuite di cura materiale ed emotiva che da sempre ci si aspetta da loro, e sembra che a Vonnegut non importi se per loro questo sia o meno fonte di significato.
Il protagonista di Piano meccanico Ăš Paul Proteus, stimato dirigente dâindustria che diventa un critico disilluso del sistema. Alla fine del libro, contribuisce a stilare un manifesto che invita a ridurre lâautomazione perchĂ© «gli uomini, per loro stessa natura, non possono essere felici se non si impegnano in attivitĂ che li fanno sentire utili».1 Ma in tutto il romanzo Ăš Anita, la moglie di Paul, a essere impegnata in unâattivitĂ apparentemente utile, ovvero compensare lâinettitudine sociale del marito e sostenere la sua fiducia in se stesso. In risposta allâincapacitĂ di Paul di interpretare correttamente i segnali di un suo superiore riguardo a un nuovo incarico, Anita sostiene che le donne «hanno intuizioni che gli uomini non hanno».2 Se gli uomini riuscissero a far proprie simili intuizioni, forse imparerebbero a svolgere lavori utili che non possono ancora essere automatizzati. Ma queste capacitĂ non rientrano nellâidea di lavoro produttivo che Vonnegut associa a unâumanitĂ , o quanto meno a una virilitĂ , compiuta. Abbiamo cosĂŹ unâindicazione di quello che sta succedendo davvero e che Vonnegut ci ha giĂ detto: gli uomini non vogliono essere davvero utili, vogliono soltanto sentirsi utili. Il problema dellâautomazione si rivela una crisi della sensibilitĂ maschile.
Forse Ăš per questo che tante delle ansie sullâautomazione di Vonnegut rimangono ancora oggi irrisolte e affliggono sia i nostri dibattiti sullâeconomia sia la nostra cultura popolare. Anche quando lo detestiamo, a volte facciamo comunque affidamento sul nostro lavoro come fonte dâidentitĂ e di valore sociale. Molti non riescono a immaginare un mondo oltre il lavoro che non sia fatto di dissipazione e di ignavia. Il film dâanimazione del 2008 WALLâąE, per esempio, ritrae un mondo in cui tutti gli esseri umani hanno abbandonato una Terra in rovina e conducono una vita di svaghi dentro navicelle spaziali completamente automatizzate. Ma lâamichevole protagonista del film Ăš un robot senziente, rimasto sulla Terra a raccogliere immondizia: in altre parole, un lavoratore. Gli esseri umani, invece, sono grotteschi, parodie obese e intorpidite del consumismo.
Per immaginare un mondo della postscarsitĂ come utopia, quindi, Ăš necessario immaginare quali possano essere le fonti di significato e di motivazione in un mondo in cui non Ăš il lavoro retribuito a definirci. Anzitutto, perĂČ, vediamo come questa societĂ comunista si colloca sui nostri assi di gerarchia contro uguaglianza e di scarsitĂ contro abbondanza.
Le cucine dellâavvenire
Pur essendo noto soprattutto come lâautore del Manifesto del partito comunista, Karl Marx era restio a soffermarsi sulle caratteristiche della societĂ comunista. A volte parlava del periodo di transizione socialista, in cui i lavoratori avrebbero preso il potere e diretto gli ingranaggi esistenti della produzione, ma non era questo il suo obiettivo politico finale. Quellâobiettivo era il comunismo, qualcosa che trascendeva lavoro e tempo libero, qualcosa che andava ben oltre il mondo del lavoro come lo conosciamo. Ma svelare troppo le caratteristiche di unâeventuale societĂ comunista, pensava, era uno sciocco esercizio di scrittura di ricette «per la trattoria dellâavvenire».3 La storia era fatta dai movimenti di massa, non dai teorici in poltrona.
Ci sono momenti, tuttavia, in cui Marx si concede di speculare in termini piĂč generali. Nel terzo libro del Capitale distingue tra un «regno della necessità » e un «regno della libertà ». Nel regno della necessitĂ dobbiamo «lottare con la Natura per soddisfare i [nostri] bisogni, per conservare e riprodurre la [nostra] vita» attraverso il lavoro manuale della produzione.4 Questo regno della necessitĂ , dice Marx, esiste «in ogni forma di societĂ e in tutti i modi di produzione possibili», presumibilmente anche nel socialismo.5 Quello che distingue il socialismo dal capitalismo, pertanto, Ăš che nel primo la produzione viene pianificata razionalmente e organizzata democraticamente, anzichĂ© agire in base ai capricci del capitalista o del mercato. Per Marx, tuttavia, questo livello di sviluppo sociale era soltanto una precondizione per «lo sviluppo delle capacitĂ umane, che Ăš fine a se stesso; il vero regno della libertĂ , che tuttavia puĂČ fiorire soltanto sulla base di quel regno della necessità ».6
Questo breve passaggio Ăš importante perchĂ© propone un approccio alla politica postcapitalista totalmente diverso da quello che Ăš stato insegnato a molti di noi. Chi ha conosciuto Marx in unâaula probabilmente ha sentito dire che venerava il lavoro ed era convinto che gli esseri umani si definissero e si realizzassero per davvero soltanto lavorando. E in alcuni punti dice una cosa simile, anche se di solito sembra riferirsi al valore di unâattivitĂ utile in generale piuttosto che al fenomeno piĂč ristretto di fare qualcosa per qualcuno in cambio di un compenso.
Ma nel passaggio sopra ricordato Marx sta dicendo una cosa diversa: il lavoro, in tutta la storia dellâumanitĂ , Ăš stato una spiacevole necessitĂ . Ă importante tenere le luci accese, e a volte per farlo Ăš necessario lavorare, ma non Ăš il fatto di tenere le luci accese a renderci umani. Si tratta soltanto di una necessitĂ che possiamo e dobbiamo trascendere se vogliamo essere davvero liberi. La libertĂ comincia dove finisce il lavoro: il regno della libertĂ Ăš fuori orario, nei weekend, in vacanza, e non sul lavoro. E questo resta vero se si lavora per un padrone capitalista o per una cooperativa di lavoratori. Lo spazio del lavoro Ăš comunque il regno della necessitĂ e non della libertĂ .
Altrove Marx ipotizza persino che un giorno riusciremo a liberarci del tutto dal regno della necessitĂ . Nella Critica del programma di Gotha scrive:
In una fase piĂč elevata della societĂ comunista, dopo che Ăš scomparsa la subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto di lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non Ăš divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo generale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le fonti delle ricchezze sociali scorrono in tutta la loro pienezza, â solo allora lâangusto orizzonte giuridico borghese puĂČ essere superato, e la societĂ puĂČ scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacitĂ ; a ognuno secondo i suoi bisogni! 7
Siamo talmente assuefatti ai rapporti di produzione capitalisti che ci Ăš difficile anche solo immaginare individui che non siano subordinati alla âdivisione del lavoroâ. Siamo abituati ad avere capi che ideano piani e poi ci danno istruzioni su come portarli a termine; Marx sta dicendo che Ăš possibile cancellare le barriere tra chi fa piani per un proprio vantaggio e chi li porta a termine, il che ovviamente significa cancellare la distinzione tra chi dirige lâimpresa e chi la fa funzionare.
Ma significa anche qualcosa di ancor piĂč radicale: cancellare la distinzione tra cosa rientra nella definizione di impresa e cosa rientra in quella di attivitĂ di svago collettivo. Solo in questa situazione potremmo scoprire che «il lavoro non Ăš divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita». In questo caso, il lavoro non sarebbe piĂč lavoro, sarebbe quello che scegliamo di fare del nostro tempo libero. Poi potremmo tutti obbedire allâingiunzione «fate quello che amate», non come falsa scusa per aver accettato lo sfruttamento ma come descrizione reale dello stato dellâesistenza. Questo Ăš il Marx filosofo âfattoneâ: fai quello che senti di fare, amico (ognuno secondo le sue capacitĂ ), e tutto andrĂ per il meglio (a ognuno secondo i suoi bisogni).
Spesso i detrattori di Marx hanno usato questo passaggio contro di lui, facendone il ritratto di unâutopia completamente irrealizzabile. Quale societĂ potrebbe essere tanto produttiva da liberare lâumanitĂ dalla necessitĂ di svolgere qualche lavoro non volontario e sgradevole? Nel capitolo introduttivo veniva ipotizzata la possibilitĂ di unâautomazione diffusa, che consentirebbe una simile liberazione, o quanto meno vi si avvicinerebbe, sempre che si trovi un modo per risolvere la necessitĂ di garantire risorse ed energia senza provocare catastrofici danni ecologici.
I recenti sviluppi tecnologici non riguardano soltanto la produzione di beni, ma anche la generazione dellâenergia necessaria a far funzionare le fabbriche automatiche e le stampanti 3D del futuro. Pertanto un possibile futuro di postscarsitĂ coniuga una tecnologia con minor impiego di forza lavoro e unâalternativa allâattuale regime energetico, limitato sia dalla scarsitĂ materiale sia dalla natura distruttiva dei combustibili fossili nei confronti dellâambiente. Non ci sono garanzie in tal senso, ma alcuni indicatori lasciano sperare nella nostra capacitĂ di stabilizzare il clima, trovare fonti di energia pulite e usare saggiamente le risorse. Ne discuteremo piĂč approfonditamente nel capitolo 3.
Risolvendo il problema della scarsitĂ , perĂČ, ci ritroveremmo tutti a oziare nella dissipazione e nel torpore come in WALLâąE? Non se, come scriveva Marx, «il lavoro non Ăš divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita». Qualsiasi attivitĂ e progetto dovessimo intraprendere, vi prenderemmo parte perchĂ© li riteniamo gratificanti in sĂ©, non perchĂ© abbiamo bisogno di uno stipendio o dobbiamo dare le nostre ore mensili alla cooperativa. In molte zone del mondo si tratta di uno scenario plausibile, considerando che le decisioni sul lavoro sono giĂ guidate da considerazioni non materiali per chi Ăš sufficientemente privilegiato da poter scegliere: milioni di persone decidono di fare gli insegnanti o gli assistenti sociali, o fondano piccole aziende di agricoltura biologica, pur avendo la possibilitĂ di intraprendere carriere molto piĂč redditizie.
Oggi la fine del lavoro salariato puĂČ forse sembrare un sogno lontano, ma in passato era il sogno della sinistra. Il movimento dei lavoratori chiedeva la riduzione dellâorario, piĂč che un aumento di stipendio.
Le persone si aspettavano che il futuro assomigliasse al cartone animato I pronipoti, il cui protagonista lavora due ore la settimana, e si preoccupavano di cosa avrebbero fatto una volta liberate dal lavoro. Nel saggio PossibilitĂ economiche per i nostri nipoti, John Maynard Keynes predisse che nel giro di poche generazioni:
Lâuomo si troverĂ ad affrontare il problema piĂč serio, e meno transitorio â come sfruttare la libertĂ dalle pressioni economiche, come occupare il tempo che la tecnica e gli interessi composti gli avranno regalato, come vivere in modo saggio, piacevole, e salutare.8
E in una discussione del 1956 il filosofo marxista Max Horkheimer esordiva facendo notare con disinvoltura al compagno Theodor Adorno che «oggigiorno abbiamo forze produttive a sufficienza; Ú ovvio che potremmo rifornire il mondo intero di merci e poi tentare di abolire il lavoro come necessità per gli esseri umani».9
Lavoro e significato
Superare il lavoro salariato sot...