Titolo originale: Roman v devjati pis’mach, 1845
Traduzione di Anna Luxardo
I
(Da Pëtr Ivanyč a Ivan Petrovič)
Egregio signore e pregiatissimo amico,
Ivan Petrovič!
Sono tre giorni ormai, pregiatissimo amico, che io, può dirsi che vi inseguo, dovendo parlarvi di un affare della massima importanza, senza potervi incontrare in alcun luogo. Mia moglie ieri, quando eravamo da Semën Alekseič, assai a proposito diceva di voi, scherzando, che con Tat’jana Petrovna formate veramente una coppietta che non sta mai ferma. Non sono tre mesi che siete sposati e già trascurate i vostri penati. Noi tutti abbiamo riso molto – per la nostra sincera simpatia verso di voi, naturalmente –, ma, al di là dello scherzo, mio caro, mi avete procurato dei grattacapi. E proprio Semën Alekseič non mi dice che siete al ballo, al circolo della Società Riunita? Lascio mia moglie dalla consorte di Semën Alekseič, io stesso volo alla Società Riunita. Gioia e dolore! Immaginate la mia posizione: io al ballo, solo, senza mia moglie! Ivan Andreič, che mi incontra in portineria, vedendomi solo, ne deduce immediatamente (il ribaldo) la mia straordinaria passione per la danza e, presomi sotto braccio, voleva già di autorità trascinarmi in un locale, dove si ballava, dicendo che nella Società Riunita si sentiva troppo allo stretto, non c’era abbastanza spazio per librare la sua anima ardita, e l’odore di patchouli e di reseda gli aveva fatto venire un gran mal di testa. Non trovo né voi, né Tat’jana Petrovna. Ivan Andreič assicura e giura e spergiura che siete senz’altro al teatro Aleksandrynskij a vedere Che disgrazia l’ingegno.
Volo al teatro Aleksandrynskij: anche lì niente. Questa mattina pensavo di trovarvi da Čistoganov – invece no. Čistoganov mi manda dai Perepalkin – la stessa cosa. In una parola, ero completamente sfinito; giudicate voi stesso come mi sono dato da fare! Ora vi scrivo (non c’è altro da fare). La faccenda non è punto letteraria (mi capite); sarebbe meglio a quattr’occhi, ho un estremo bisogno di spiegarmi con voi, e al più presto possibile, e perciò vi prego di venire da me oggi per il tè e per una conversazione serale assieme a Tat’jana Petrovna. La mia Anna Michailovna sarà molto lieta della vostra visita. Veramente, come si dice, io vi sarò eternamente grato.
A proposito, amico mio preziosissimo, – dato che vi scrivo, mi trovo costretto ora stesso a rivolgervi qualche lamentela e perfino a rimproverarvi, illustrissimo amico mio, per una apparentemente assai innocente piccola birbonata, voi avete malignamente scherzato su di me... malfattore, uomo disonesto! Verso la metà del mese scorso avete introdotto a casa mia un vostro conoscente, per l’appunto Evgenij Nikolaič, gli procurate una vostra amichevole e per me, si intende, sacrosanta raccomandazione; io mi rallegro dell’occasione, accolgo il giovanotto a braccia aperte e metto allo stesso tempo il collo al cappio. Cappio o non cappio è venuta fuori ciò che si chiama una bella storia. Non ho tempo ora per spiegarmi e sarebbe imbarazzante per iscritto, vi rivolgo amico e maligno soltanto una umilissima preghiera, non è possibile in qualche modo, fra parentesi, all’orecchio, pian pianino, sussurrare al vostro giovanotto che nella capitale vi sono molte altre case, oltre la nostra? Non ne posso più, caro mio! Ci butteremo ai vostri piedi, come dice il nostro amico Simonevič. Quando ci vedremo, vi racconterò tutto. Non parlo nel senso che il giovanotto abbia in qualche modo mancato, o nel contegno, o per le qualità spirituali, o che abbia commesso un fallo in qualcosa d’altro. Al contrario, egli è perfino un ragazzo amabile e cortese, ma pazientate, ci vedremo; frattanto, se l’incontrate, ragguardevolissimo amico, sussurrategli, di grazia, quanto vi ho detto. Lo avrei fatto io stesso, ma voi sapete che ho un tale carattere, non riesco, non c’è niente da fare. Siete proprio voi, infine, che me lo avete raccomandato. Del resto, stasera, in ogni modo, ci spiegheremo più dettagliatamente. Per ora arrivederci. Resto, etc...
P.S. Il mio bambino è indisposto già da una settimana, peggiora di giorno in giorno. Soffre per i dentini che gli spuntano. Mia moglie gli sta continuamente dietro e si rattrista, poverina. Venite, ci renderete veramente lieti, amico mio preziosissimo.
II
(Da Ivan Petrovič a Pëtr Ivanyč)
Egregio signor
Pëtr Ivanyč!
Ho ricevuto ieri la vostra lettera, l’ho letta e sono rimasto sconcertato. Mi cercavate Dio sa in quali luoghi, mentre io ero semplicemente a casa. Fino alle dieci ho aspettato Ivan Ivanyč Tolokonov. E poi prendo mia moglie, noleggio una carrozza, spendendo dei soldi, mi presento da voi alle sei e mezzo circa. Voi non siete in casa, ci riceve vostra moglie. Vi aspetto fino alle dieci e mezzo, più a lungo non mi è possibile. Riprendo mia moglie, spendo ancora a noleggiare un’altra carrozza, l’accompagno a casa, e io stesso mi dirigo dai Perepalkin, pensando che forse vi avrei incontrato lì, ma sbaglio di nuovo i conti. Ritorno a casa, non dormo, mi agito tutta la notte, al mattino passo da voi tre volte: alle nove, alle dieci e alle undici, altre tre volte spendo per la carrozza, e di nuovo mi lasciate con un palmo di naso.
Mi sono stupito, leggendo la vostra lettera, scrivete di Evgenij Nikolaič, mi chiedete di sussurrargli... e neppure fate un accenno al perché. Lodo la prudenza, ma c’è carta e carta, e io le carte importanti non le do alla moglie per farne bigodini. Mi sfugge, infine, il motivo per cui vi siete compiaciuto di scrivermi tutto ciò. Del resto, se è così, a che pro mischiare proprio me in questa storia? Io non ficco il naso dappertutto. Potevate voi stesso farglielo capire, vedo soltanto che è indispensabile avere con voi una chiarificazione breve e conclusiva, tanto più che il tempo passa. E io sono imbarazzato e non so cosa mi toccherà fare, se continuerete a trascurare i nostri patti. La strada incalza, e la strada qualcosa costa e per di più la moglie piagnucola: «Fammi fare una vestaglia di velluto alla moda». A proposito di Evgenij Nikolaič mi affretto a farvi osservare: ho preso ieri, senza perder tempo, informazioni definitive, a casa di Pavel Semënyč Perepalkin. Possiede cinquecento anime nel governatorato di Jaroslav, e c’è anche la speranza che dalla nonna erediti altre trecento anime nelle vicinanze di Mosca. Di soldi, quanti ne ha non lo so, ma penso che voi possiate esserne a conoscenza meglio di me. Vi prego di fissarmi un luogo preciso per un appuntamento. Avete scritto che ieri avete incontrato Ivan Andreič, che vi ha informato che ero assieme a mia moglie al teatro Aleksandrijskij. Io invece affermo che mente, e che non bisogna aver fede in lui riguardo a fatti simili, tanto più che non più tardi di tre giorni fa ha raggirato sua nonna per ottocento rubli in banconote. Con ciò ho l’onore di salutarvi.
P.S. Mia moglie è rimasta incinta; oltretutto è paurosa e ha delle crisi di malinconia. Nelle rappresentazioni teatrali a volte vi sono spari e tuoni, prodotti artificialmente da macchine, e per questo, temendo di spaventarla, non la porto a teatro. Quanto a me, non sono un grande appassionato di tali spettacoli.
III
(Da Pëtr Ivanyč a Ivan Petrovič)
Preziosissimo amico mio,
Ivan Petrovič!
Sono colpevole, colpevole, mille volte colpevole, ma mi affretto a giustificarmi. Ieri alle sei, proprio nel momento in cui ricordavamo voi con autentica simpatia, arrivò in tutta fretta un messaggero da parte dello zio Stepan Alekseič con la notizia che la zia stava male. Per non impressionare mia moglie, senza dirle nulla, prendo come pretesto un affare importante e corro a casa della zia. La trovo ancora in vita. Esattamente alle cinque aveva avuto un colpo, già il terzo in due anni. Karl Fëdoryč, il loro medico di famiglia, ci comunicò che forse non avrebbe superato la nottata. Giudicate la mia situazione, carissimo amico mio. Tutta la notte in piedi, addolorato e a darmi da fare. Soltanto al mattino, esaurito e afflitto da un male fisico e morale, mi sdraiai lì sul divano e dormii fino alle undici e mezzo, dimenticando di dire che mi svegliassero in tempo. La zia stava meglio. Ritorno da mia moglie; lei poverina si tormentava aspettandomi. Buttai giù un boccone, abbracciai il piccolino, tranquillizzai mia moglie e mi diressi da voi, ma non eravate in casa, trovo invece Evgenij Nicolaič. Ritorno a casa, prendo la penna e ora vi scrivo, non lagnatevi, non adiratevi con me, amico mio sincero. Picchiatemi, mozzate dalle spalle la testa colpevole, ma non privatemi della vostra benevolenza. Da vostra moglie ho saputo che questa sera sarete dagli Slavjanov. Vi sarò immancabilmente. Vi aspetto con grandissima impazienza.
Per ora rimango, etc.
P.S. Il nostro piccino ci fa veramente disperare. Karl Fëdoryč gli ha prescritto del rabarbaro. Si lamenta, ieri non riconosceva nessuno. Oggi però comincia a riprendersi e cinguetta di continuo papà, mamma, bu... Mia moglie è tutta la mattina che è in lacrime.
IV
(Da Ivan Petrovič a Pëtr Ivanyč)
Vi scrivo in casa vostra, nella vostra camera, sulla vostra scrivania, ma prima di iniziare vi ho aspettato per più di due ore. Ora permettetemi però di dirvi francamente, Pëtr Ivanyč, la mia sincera opinione a proposito di tutta questa squallida vicenda. Dalla vostra ultima lettera deduco che siete atteso dagli Slavjanov, mi convocate là, io mi presento, mi fermo cinque ore, ma non vi siete fatto vivo. Secondo voi allora dovrei diventare lo zimbello di tutti? Permettete, egregio signore... Mi presento da voi di mattina, sperando di trovarvi, non seguendo certo l’esempio di certi impostori, che vanno a cercare le persone Dio sa in quali luoghi, quando le possono trovare a casa propria in qualunque momento, purché opportunamente scelto: di voi a casa neppure l’ombra. Non so cosa mi trattenga ora dal manifestarvi apertamente tutta la dura verità. Dirò soltanto che, in relazione ai nostri noti patti, chiaramente vi ho messo a fuoco. E soltanto ora, rivedendo tutta la faccenda, non posso non riconoscere che decisamente mi stupisco del vostro furbo modo di pensare. Né ora mi sfugge più che già da tempo nutrivate propositi negativi. A prova di tale mia supposizione aggiungo ancora che la scorsa settimana, in modo quasi inammissibile, vi siete impadronito di quella vostra lettera, indirizzata a me, che voi stesso avevate scritto, sebbene in modo alquanto oscuro e incoerente, a proposito della questione a voi ben nota. Tenete i documenti, li distruggete e mi abbindolate. Ma io non vi permetterò di abbindolarmi, perché nessuno finora lo ha mai fatto, e anzi tutti a questo proposito mi hanno sempre considerato sotto la miglior luce. Apro gli occhi. Voi cercate di confondermi, mi offuscate le idee con Evgenij Nikolaič, e quando io cerco con la vostra lettera oscura, del sette di questo mese, di avere una spiegazione, voi mi fissate falsi appuntamenti battendo invece in ritirata. Pensate forse, egregio signore, che io non sia in grado di capire tutto ciò? Promettete di ricompensarmi per dei servigi a voi assai ben noti riguardo alle referenze di alcune persone e non si sa come siate voi stesso a prendermi dei soldi, somme considerevoli, senza ricevuta, e ciò è avvenuto non più tardi di una settimana fa. Ma ora, dopo che avete in mano il denaro, vi nascondete e inoltre non volete riconoscere il servizio che vi ho reso a proposito di Evgenij Nicolaič. Pensate forse che la mia prossima partenza per Simbirsk vi darà la possibilità di non pareggiare i conti? Ma vi dichiaro solennemente e vi do la mia parola d’onore che se è così che intendete le cose, io sono del tutto pronto a trascorrere ancora due mesi a Pietroburgo per venire a capo della faccenda, otterrò lo scopo e vi troverò. Anche noi all’occasione sappiamo agire per ripicca. A conclusione di ogni cosa vi annuncio che se voi oggi stesso non avrete un chiarimento con me in modo soddisfacente, dapprima per lettera, e poi personalmente, a quattr’occhi, e se nella vostra lettera non verranno esposte tutte le principali condizioni, che esistevano già fra noi, e non verranno chiariti una volta per tutte i vostri pensieri sul conto di Evgenij Nikolaič, sarò costretto a ricorrere a misure gravi per voi e contrarie al mio modo di agire.
Permettetemi di rimanere, etc.
V
(Da Pëtr Ivanyč a Ivan Petrovič)
11 novembre
Carissimo, rispettabilissimo amico mio, Ivan Petrovič!
Sono stato addolorato nel profondo dell’anima dalla vostra lettera. È possibile che non proviate neppure rimorso, caro, ma ingiusto amico, a comportarvi così col vostro migliore benefattore? Affrettarsi, non chiarire la questione, e insultarmi con tali oltraggiosi sospetti? Ma mi affretto a rispondere alle vostre accuse. Non mi avete trovato ieri, Ivan Petrovič, perché sono stato chiamato al letto della morente. La cara zia Evfimija Nikolavna si è spenta ieri sera, alle undici. I parenti all’unanimità mi hanno scelto per organizzare la mesta e dolorosa cerimonia. Erano tante le cose da fare che oggi in mattinata non ho avuto il tempo di vedervi, né tanto meno di avvertirvi neppure con due righe. Mi addolora sinceramente il malinteso sorto fra noi. Le mie parole su Evgenij Nikolaič, dette da me scherzosamente e di sfuggita, sono state prese da voi in senso veramente contrario e all’intera vicenda avete dato un significato profondamente offensivo per me. Menzionate il denaro ed esprimete al riguardo la vostra inquietudine. Ma, senza por tempo in mezzo, sono pronto a soddisfare tutti i vostri desideri e le vostre richieste, sebbene non possa non accennare tra l’altro che io ho preso da voi la somma di trecentocinquanta rubli d’argento, la settimana scorsa, alle note condizioni e non a titolo di prestito. In quest’ultimo caso esisterebbe immancabilmente una ricevuta. Non mi fermerò in spiegazioni che riguardano gli altri punti, esposti nella vostra lettera. Vedo che è un malinteso, vedo in ciò la vostra abituale schietta e imprudente impulsività. So che la vostra benevolenza e il vostro carattere aperto cancelleranno il dubbio dal vostro cuore e che voi stesso per primo mi tenderete la mano. Vi siete sbagliato, Ivan Petrovič, vi siete sbagliato di molto. Anche se la vostra lettera mi ha profondamente ferito, io oggi stesso per primo sarei pronto a riconoscere la mia colpa, ma fin da ieri sono così affaccendato da sentirmi stanco morto e mi reggo appena in piedi. Per colmo di sventura mia moglie è a letto e temo una malattia grave. Per quanto riguarda il piccolino, grazie a Dio, sta un pochino meglio. Smetto, gli affari mi chiamano, e ce ne sono tanti.
Permettete, amico mio preziosissimo, di rimanere, etc.
VI
(Da Ivan Petrovič a Pëtr Ivanyč)
14 novembre
Egregio signor mio, Pëtr Ivanyč!
Ho atteso tre giorni; ho cercato di impiegarli in modo utile, – fra l’altro, ritenendo che la cortesia e la buona educazione siano il primo ornamento di ogni persona, proprio dall’ultima mia lettera del dieci di questo mese, non mi sono fatto vivo con voi né coi fatti, né con le parole, in parte per darvi la possibilità di adempiere con tranquillità al vostro dovere di buon cristiano nei riguardi di vostra zia, in parte perché mi occorreva del tempo per vederci chiaro e compiere delle ricerche in merito al noto affare. Ora mi affretto a spiegarmi, in modo decisivo e definitivo con voi.
Riconosco francamente che, alla lettura delle vostre prime due lettere, ho creduto seriamente che voi non capiste ciò che volevo; ecco per quale ragione ho cercato un appuntamento con voi e una spiegazione a quattr’occhi, temevo la penna e mi accusavo di mancanza di chiarezza nell’esprimere i miei pensieri sulla carta. Vi è noto che non ho educazione e buone maniere e rifuggo dalla vana eleganza, perché, per amara esperienza, ho conosciuto quanto ingannevole sia a volte l’apparenza e che sotto i fiori si cela a volte il serpente. Voi mi capivate, ma non mi rispondevate nel modo dovuto, perché per la slealtà della vostra anima avevate stabilito fin dall’inizio di tradire la vostra parola e i rapporti amichevoli esistenti fra noi. Avete perfettamente dimostrato questo vostro vergognoso comportamento nei miei riguardi negli ultimi tempi, comportamento dannoso per i miei interessi, cosa che non mi aspettavo e a cui fino a questo momento non volevo in alcun modo credere; poiché, all’inizio della nostra conoscenza, affascinato dal vostro modo di fare intelligente, dalla raffinatezza delle vostre maniere, dalla vostra conoscenza degli affari e dai benefici che avrei tratto da un rapporto con voi, supponevo di aver trovato un amico vero e sincero, un compagno, una persona ben disposta. Ora so con certezza che vi sono molti individui che, sotto l’apparenza...