Introduzione
Genealogia del Disagio
Noi, le civiltà, ora sappiamo che siamo mortali.
PAUL VALÉRY
I. Genesi di un libro.
Freud pubblica la prima parte di Il disagio nella civiltà nel numero di novembre-dicembre 1929 della rivista «Die Psychoanalytische Bewegung»; farà seguito, nel primo numero del 1930 della stessa rivista, la parte restante del saggio. Riunito in un unico volume, edito nello stesso anno, ne verrà pubblicata una seconda edizione, con alcune aggiunte, nel 1931. Il contesto e l’intenzione dell’opera sono indicati chiaramente dallo stesso Freud nel poscritto del 1935 all’Autobiografia:
È vero che, in questo ultimo decennio, ho portato a termine ancora qualche importante lavoro analitico [...] tuttavia mi sembra giusto ammettere che dopo la formulazione della mia teoria dualistica degli istinti (Eros e pulsione di morte) e dopo la scomposizione della personalità psichica in Io, Super-Io ed Es, non ho piú dato alla psicoanalisi alcun contributo di importanza decisiva; le cose che ho scritto in seguito avrebbero potuto anche non essere scritte senza gran danno, e comunque se non le avessi scritte io qualcun altro l’avrebbe fatto in mia vece di lí a breve. Tut-to ciò fu dovuto a una trasformazione avvenuta in me, a una sorta di sviluppo regressivo, se mi si passa l’espressione. Dopo una diversione che era durata tutta la vita, e che era passata attraverso le scienze naturali, la medicina e la psicoterapia, i miei interessi tornarono a quei problemi culturali, che tanto mi avevano affascinato quand’ero un giovanetto imberbe, affacciatosi appena al mondo del pensiero. Già all’epoca d’oro del pensiero psicoanalitico, nel 1912, avevo tentato, con il mio libro Totem e tabú, di utilizzare le nuove conoscenze psicoanalitiche per studiare le origini della religione e della moralità. Due saggi che scrissi successivamente, L’avvenire di un’illusione (1927) e Il disagio nella civiltà (1929), proseguirono poi questo indirizzo di pensiero. Mi resi conto con sempre maggiore chiarezza che gli eventi della storia, gli influssi reciproci fra natura umana, sviluppo civile e quei sedimenti di avvenimenti preistorici di cui la religione è il massimo rappresentante, altro non sono che il riflesso dei conflitti dinamici fra Io, Es e Super-Io, studiati dalla psicoanalisi nel singolo individuo: sono gli stessi processi ripresi su uno scenario piú vasto. In L’avvenire di un’illusione avevo dato della religione una valutazione essenzialmente negativa; successivamente trovai una formula che le rende maggiore giustizia: il suo potere le deriva certo da un contenuto di verità; tuttavia tale verità non è materiale, ma storica. Questi studi, che pur avendo preso le mosse dalla psicoanalisi, ne hanno poi oltrepassato largamente i confini, hanno trovato nel pubblico una risonanza forse maggiore che non la psicoanalisi stessa. Può darsi che anche da ciò sia nata l’effimera illusione da me nutrita di essere uno di quegli autori che una grande nazione come la nazione tedesca è disposta ad ascoltare. [...] Poco dopo la nostra patria si ritirò di nuovo in sé e la nazione tedesca non volle piú saperne di noi1.
Dunque, se pure è vero che il pretesto immediato alla redazione del saggio è rappresentato dal tentativo di rispondere alle osservazioni che Romain Rolland gli aveva fatto in seguito alla lettura di L’avvenire di un’illusione, e se è vero che il testo rappresenta un’occasione preziosa per mettere alla prova – alla prova della storia – la nuova batteria concettuale messa a punto a partire dall’epoca della guerra, il progetto di Freud si rivela da subito assai piú ambizioso, al punto da far dire a qualcuno che si tratta di un’«opera essenziale», in cui ne va dell’insieme della psicoanalisi, della totalità dell’esperienza da essa inaugurata, e questo nella misura in cui viene messo a tema il carattere tragico della condizione umana.
I tempi, sia quelli della congiuntura storico-politica, sia quelli dell’esperienza personale di Freud, sia infine quelli del movimento psicoanalitico da lui inaugurato, non facevano effettivamente che inclinarvi. Il libro esce infatti un decennio dopo la conclusione del «grande macello» e dieci anni prima che prendesse il via l’immensa tragedia del secondo conflitto mondiale e si spalancassero gli abissi della Shoah, nel mentre l’Europa viene percorsa da tutta una serie di convulsioni di carattere politico, intellettuale e spirituale; nel mentre si profila la questione dell’irruzione delle masse sulla scena della storia e vengono messi a punto i meccanismi del loro controllo totalitario, in cui atomizzazione sociale, ideologia e terrore si coniugano; nel mentre la scienza e le sue applicazioni tecnologiche (dalla produzione agli armamenti) conoscono mutamenti di scala e di paradigma giganteschi a cui non sembra corrispondere un mutamento delle forme della vita etico-morale; nel mentre, infine, si inaugura una forma di soggettività che sembra segnare una discontinuità profonda rispetto a modi antichi di costituzione dell’uomo occidentale.
È sullo sfondo di tutto ciò che andrà intesa l’intenzione fondamentale che regge e orienta l’ultima parte della produzione freudiana, collocata sotto il segno di un radicale pessimismo di fronte alla tragedia che si andava annunciando, che avrebbe travolto la stessa creazione del maestro di Vienna e che è testimoniata dall’amara e desolata constatazione finale – radicalmente disillusa – di fallimento e rigetto, dell’opera (doppiamente «impossibile») della psicoanalisi e di Freud stesso «come educatore», contenuta nell’autobiografia. Ma di qui viene però anche il compito nuovo che Freud si assume: diventare il diagnosta senza illusioni di un’intera civiltà, o meglio della civiltà in quanto tale.
È vero che, se guardiamo tuttavia all’insieme della produzione freudiana, possiamo notare che già in Precisazioni sui due principî dell’accadere psichico (1911) Freud introduce per la prima volta la coppia concettuale di opposti complementari «principio di piacere / principio di realtà», considerati come i due principî cardinali del funzionamento psichico, da cui procedono rispettivamente i processi primari e secondari, e asserisce il primato temporale del primo. Successivamente, L’interesse per la psicoanalisi (1913) costituisce un ulteriore tentativo, da parte di Freud, di fornire una rigorosa, ma succinta, descrizione riassuntiva delle acquisizioni e delle conquiste della psicoanalisi fino a quel momento. Il testo è tuttavia importante soprattutto per le relazioni che Freud lí istituisce con tutta una serie di campi contigui – dalle scienze del linguaggio alla filosofia, alla storia della civiltà, all’educazione – in cui egli mostra cosa il ricorso alla psicoanalisi possa produrre, in termini di chiarificazione e spiegazione, a partire in particolare da concetti come quello di «pulsione».
Scritte nel corso della prima fase della guerra, le Considerazioni attuali sulla guerra e la morte (1915) costituiscono un’importante messa alla prova della psicoanalisi sul terreno dell’indagine storico-politica e dei processi di civilizzazione. Dietro quest’ultima, Freud ricorda il lavoro instancabile dei moti pulsionali, alle cui manifestazioni piú arcaiche l’umanità è costantemente esposta, come nel caso della guerra. Freud esamina poi l’impossibile rappresentazione della morte da parte degli uomini e il rapporto contraddittorio che ogni uomo intrattiene con essa.
In Il perturbante (1919) a essere indagata è l’esperienza, assai di frequente rappresentata dalla letteratura, del sentimento di minaccia e inquietudine legato a ciò che può essere la cosa o la situazione piú familiare, e che Freud correla al riemergere improvviso di «complessi infantili» rimossi. E attraverso il fenomeno del ritorno del rimosso, Freud approfondisce l’analisi di una delle esperienze umane piú comuni e fondamentali, quella dell’angoscia, che correla al concetto di «coazione a ripetere», intesa come espressione del conflitto tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, e che verrà messa a tema l’anno successivo in Al di là del principio del piacere (1920). Quest’opera segna una svolta, è stato detto, nella riflessione freudiana, ulteriormente perfezionata in Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), Due voci di enciclopedia (1922), L’Io e l’Es (1922). È infatti in questi scritti che Freud postula, alla base del funzionamento psichico degli individui, un conflitto ancor piú arcaico di quello tra principio di piacere e principio di realtà e manifestato della coazione a ripetere: quello tra la pulsione di morte (che molti analisti dopo Freud convertiranno in pulsione di distruzione) e pulsione di vita, di cui è parte la stessa libido.
A tale dinamica conflittuale originaria Freud correla poi tutta una serie di fenomeni, dagli affetti (amore/odio) alle relazioni d’oggetto, dall’ambivalenza all’angoscia, dal senso di colpa ai meccanismi identificatori, prefigurando cosí le analisi che lo condurranno all’elaborazione della seconda topica, ovvero a una nuova descrizione dell’apparato psichico, concepito secondo la differenziazione di sistemi, funzioni, «luoghi» psichici, che vedrà sovrapporsi all’originaria distinzione di inconscio, preconscio e coscienza le differenti istanze rappresentate dall’Es, dall’Io e dal Super-Io. Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in particolare, rappresenta uno dei piú audaci tentativi freudiani di estendere le acquisizioni relative alla psicologia individuale, rese possibili dai modelli metapsicologici, alla conoscenza della psicologia collettiva, rivendicandone l’appartenenza di pieno diritto al campo indagato dalla psicoanalisi. Ed è specificamente a quella forma particolare di legame libidico primitivo da lui definito «identificazione» (quella dell’individuo con il leader o il capo o il fondatore e, via questa, degli individui gli uni con gli altri) che Freud si dedica a descrivere la dinamica di aggregati come la Chiesa o gli eserciti.
Nell’ultimo capitolo, poi, viene ripresa e approfondita la questione dei rapporti tra Io e ideale dell’Io che prelude alla rielaborazione metapsicologica di L’Io e l’Es. La distinzione della prima topica viene qui integrata da un’ulteriore suddivisione delle istanze che per Freud caratterizzano la struttura dello psichismo, e che è destinata a rendere meglio conto della successione dei processi di identificazione che caratterizzano la storia psicologica degli individui. La personalità risulta infatti costituita, secondo Freud, dalle relazioni conflittuali inconsce, e dal loro sempre provvisorio comporsi ed equilibrarsi, tra Io, Es e Super-Io, con tutti i fallimenti che possono derivarne e le manifestazioni patologiche che possono prodursi.
In L’avvenire di un’illusione (1927) e Il disagio nella civiltà (1929), Freud mette risolutamente a confronto gli strumenti interpretativi forniti dall’analisi con quei fatti fondamentali della cultura e della civiltà che sono le grandi religioni. Nel primo dei due testi la religione (qui, quella cristiana) viene definita come la «nevrosi ossessiva universale dell’umanità», sua nevrosi infantile, e ne viene rintracciata la genesi a partire dai pericoli e dalle minacce da cui l’umanità cerca di proteggersi creando quelle illusioni che la psicoanalisi si prefigge, appunto, di dissolvere per favorirne la maturazione psichica. I sistemi e le credenze religiose sono cioè, agli occhi di Freud, i resti «nevrotici» che procedono dalla rinuncia pulsionale, una rinuncia favorita proprio dall’insieme delle interdizioni e delle proibizioni al cui allestimento hanno preso parte innanzitutto le religioni, rendendo cosí possibile la comparsa della cultura in opposizione alla natura, dalle cui forze, in qualche caso invincibili, come la morte, gli uomini cercano di proteggersi, almeno con l’immaginario, attivando quei meccanismi di proiezione dei propri desideri che sono le illusioni religiose.
Nel Disagio nella civiltà sono, in generale, tutte le istituzioni della cultura umana, e non solo la religione, a essere passate al vaglio della decifrazione analitica, che mostra come il precario equilibrio nelle relazioni tra l’individuo e la civiltà sia continuamente messo a rischio dal conflitto inconscio interno a ogni individuo, dal sentimento di colpa che esso produce e dall’aggressività distruttiva che ne risulta. Il punto di partenza dell’analisi di Freud è l’interrogativo su cosa costituisca lo scopo dell’esistenza degli individui, identificato, come avveniva per gli antichi, con la ricerca della felicità, che tuttavia è destinata a scontrarsi con i disegni della creazione. Gli uomini, infatti, sperimentano le sofferenze del corpo, il conflitto con gli altri e con la realtà esterna, piuttosto che la soddisfazione dei desideri, la realizzazione di quanto richiesto dal principio di piacere. E la civiltà – che Freud aveva già definito in L’avvenire di un’illusione sia come tutto ciò che gli uomini hanno costruito al fine di dominare le forze della natura e ottenerne di che soddisfare i propri bisogni, sia come l’insieme delle istituzioni e dei meccanismi destinati a regolare i legami sociali e la distribuzione dei beni – anziché provvedere agli scopi per cui è nata, sembra piuttosto aumentare il nostro malessere e il nostro disagio, nella misura in cui essa accresce gli interdetti e le limitazioni che impediscono la realizzazione del principio di piacere.
Come Freud ripete anche in quest’opera, la civiltà si costruisce sulla rinuncia pulsionale, sulla rimozione del godimento, e sulla creazione di oggetti sostitutivi, ma anche sull’inibizione delle tendenze aggressive innate degli uomini, ovvero sulla limitazione dell’ostilità, della crudeltà, del vero e proprio odio che caratterizza le relazioni tra gli uomini e che procede dalla pulsione di morte, il cui concetto era stato introdotto qualche anno prima da Freud. Nascono cosí gli imperativi morali, le leggi civili, i grandi progetti utopici di emendamento e miglioramento degli uomini – dal comandamento di amare il prossimo al progetto di costruire una società di eguali –; ma nel corso della sua lotta contro le pulsioni aggressive e distruttive sarà proprio la civiltà a introdurre un fattore di ulteriore infelicità: il senso di colpa, prodotto dal Super-Io, dalla coscienza morale, che si incarica di rovesciare contro l’Io l’aggressività, l’odio, la distruttività in origine rivolti verso l’altro, verso l’oggetto. Un senso di colpa inconscio, originato dall’interiorizzazione di un’autorità esterna, che contribuisce a riprodurre sul piano del funzionamento psichico del singolo individuo lo stesso conflitto, lo stesso antagonismo che sussiste nelle relazioni tra gli individui e la civiltà. Insomma, nella lotta incessante tra pulsione di vita e pulsione di morte che si verifica nell’esistenza degli uomini, e che fa dire a Freud che la lotta costituisce «il contenuto essenziale della vita», tutto quello che viene conquistato da Eros lo è solamente al prezzo di sempre nuove rimozioni, con il loro inevitabile ritorno in forma di colpa e di Super-Io, tanto individuali quanto collettivi, che contribuiscono ad aumentare il disagio e l’infelicità degli uomini. La comunità cosí civilizzata terrà solo fino a che esisterà qualcosa o qualcuno destinato ad assorbire il carico di distruttività che altrimenti gli uomini riverserebbero su di sé e sul proprio gruppo di appartenenza: di qui la funzione essenziale svolta dall’altro (straniero, diverso, nemico) ai fini della costituzione del medesimo (la comunità di quelli che partecipano di una stessa identità, con i quali si condivide il «narcisismo delle piccole differenze»). E non è detto che gli uomini, in un tempo in cui dispongono di nuovi e impressionanti strumenti di distruzione, siano in grado di fronteggiare e padroneggiare l’angoscia e il terrore suscitati dalle stesse «severe esigenze» del «Super-Io della civiltà».
2. Psicoanalisi, civiltà e felicità individuale.
Libro tragico, dunque, elaborato in circostanze storiche e personali eccezionali, all’indomani della lacerante querelle sull’analisi da parte dei non medici e della dissoluzione del Comitato segreto voluto da Freud per garantire il suo pensiero; all’ombra dell’ascesa di Hitler e durante il lento e drammatico disfacimento della Repubblica di Weimar; nel contesto della crisi economica internazionale e del riemergere di dinamiche collettive inquietanti, Il disagio sarà uno dei testi piú letti tra quelli di Freud, ma anche uno di quelli piú controversi all’interno del movimento psicoanalitico.
Theodor Reik, uno degli allievi influenti di Freud, è stato il primo psicoanalista a reagire alla pubblicazione del Disagio nella civiltà2 con un articolo che cercava di dare voce e di interpretare il serio e perfino doloroso imbarazzo che aveva colto i seguaci di Freud alla lettura dell’ultimo saggio del maestro.
Secondo Reik, L’avvenire di un’illusione e soprattutto Il disagio nella civiltà erano scritti difficilmente classificabili e non sempre riferibili alla teoria delle nevrosi vera e propria. Al contrario, costituivano un’insolita forma di interpretazione e di critica della civiltà occidentale, erano riflessioni sulla cultura condotte dallo stesso punto di vista utilizzato da Freud nello studio delle psiconevrosi, che risultavano tuttavia eccentriche rispetto all’ambito della letteratura psicoanalitica.
Ma la costernazione era suscitata anche dal fatto che quei temi venivano trattati da Freud in un modo inquietante, fortemente soggettivo, lontano quindi dal rigore scientifico sempre auspicato dal maestro. In un certo senso, Freud si era lasciato trasportare dalle sue inclinazioni personali nell’affrontare i grandi problemi del suo tempo e di tutte le epoche. Dalle ceneri dello scienziato, che per tutta una vita aveva aspirato a essere riconosciuto innanzitutto come tale, emergeva dunque un Freud moralista. Di fronte a questi nuovi orizzonti della psicoanalisi, gli scienziati della psiche piú legati alla tradizione resistettero, convinti che fosse presuntuoso esprimere punti di vista personali nientemeno che a proposito del rapporto tra felicità e civiltà. Come a dire che civiltà e felicità non erano argomenti di dissertazione adatti a medici impegnati nel lavoro c...