Racconti di mare e di costa (Einaudi)
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Racconti di mare e di costa (Einaudi)

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Racconti di mare e di costa (Einaudi)

Informazioni su questo libro

«Il Mare del Sud è veramente per Conrad il luogo dell'anima - non l'altomare di Melville, titanico e insieme biblico, non quello di Stevenson, stazione climatica ricca di nobili leggende e interessanti istituzioni, ma il perenne inquieto viavai della costa, "del mare e della costa", l'esitazione che può fare di ogni approdo, di ogni saputo, banale, previsto approdo, l'inizio di una stupenda e assurda avventura di giovinezza di passione e di destino».
Dalla Nota introduttiva di Cesare Pavese

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806196936
eBook ISBN
9788858417928
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

Un briciolo di fortuna

Racconto di porto

Fin da quando si era levato il sole, avevo guardato avanti. Il bastimento scivolava dolcemente sul mare liscio. Dopo una traversata di sessanta giorni, anelavo di avvistare il mio approdo, una fertile e leggiadra isola dei tropici. I piú entusiasti tra i suoi abitanti si compiacciono di dipingerla come la «Perla dell’Oceano». E chiamiamola pure «Perla», un nome adatto. Una perla che distilla molta dolcezza sul mondo.
Questo non è che un mezzo per informarvi che vi cresce una canna da zucchero di primissima qualità. Tutta la popolazione della Perla vive per quella e di quella. Lo zucchero è, per cosí dire, il loro pane quotidiano. E io ci andavo per un carico di zucchero, nella speranza che il raccolto fosse stato abbondante, e i noli fossero elevati.
Il signor Burns, mio ufficiale di bordo, avvistò la terra per primo; e ben presto mi ritrovai estasiato davanti a quella azzurra, torreggiante apparizione, quasi diafana contro la luminosità del cielo: una mera emanazione, il corpo astrale di un’isola, sorta per salutarmi da lontano. È fenomeno raro una simile apparizione della Perla a sessanta miglia di distanza. E io mi chiesi quasi sul serio se non fosse quello un fausto presagio, se ciò che avrei trovato in quell’isola non sarebbe stato cosí felicemente eccezionale come quella stupenda visione fantasmagorica che cosí pochi marinai avevano avuto il privilegio di cogliere.
Ma orribili preoccupazioni commerciali si mescolavano alla mia soddisfazione per la traversata compiuta. Ero smanioso di successo, e lo desideravo anche per giustificare la lusinghiera ampiezza delle istruzioni dei miei armatori, riassunta in una nobile frase: «Lasciamo a voi di far del vostro meglio quanto alla nave...» Essendomi cosí dato tutto il mondo per campo d’azione, le mie capacità non mi apparivano piú grandi di una capocchia di spillo.
Frattanto, il vento era caduto, e il signor Burns cominciò a fare sgradevoli apprezzamenti sulla mia abituale sfortuna. Ritengo che fosse la sua devozione per me a renderlo cosí criticamente provocante in ogni occasione. Nondimeno, non avrei tollerato i suoi umori, se non mi fosse toccato una volta di curarlo durante una disperata malattia, in corso di navigazione. Dopo averlo strappato, per cosí dire, agli artigli della morte, sarebbe stato assurdo disfarsi di un ufficiale tanto in gamba. Ma a volte mi auguravo che si licenziasse da sé.
Era tardi per accostare, e dovemmo ancorarci fuori del porto fino al giorno dopo. Seguí una nottata spiacevole e irrequieta. In quella rada, ignota a entrambi, Burns e io rimanemmo in coperta quasi tutto il tempo. Mulinavano delle nubi giú per le rupi di porfido sotto le quali eravamo ancorati. S’era levata la brezza, e rombava fragorosa tra quelle nude scogliere, con intermezzi di malinconici ululati. Osservai che avevamo avuto fortuna a raggiungere l’ancoraggio prima del buio. Sarebbe stata una disgustosa, preoccupante nottata languire fuori di un porto sottovela. Ma il mio secondo si mantenne inflessibile in quel suo atteggiamento.
– La chiamate fortuna, voi! Bah, la nostra solita fortuna. Quella specie di fortuna che vi fa ringraziare Iddio che non sia peggio!
E cosí seguitò a tormentarmi tutte quelle ore buie, mentre io attingevo alla mia riserva di filosofia. Ah, fu davvero una snervante, interminabile nottata, starsene all’ancora cosí, sotto quella costa nera! L’acqua agitata borbottava tuttt’intorno alla nave. A momenti una selvaggia folata da qualche gola lassú tra i dirupi traeva dal nostro sartiame un’aspra e lamentevole nota che pareva il gemito di qualche anima in pena.
I.
Verso le sette e mezzo del mattino, col veliero finalmente in porto, e ormeggiato a un tiro ardito di sasso dal molo, la mia riserva di filosofia era pressoché esaurita. Stavo vestendomi in fretta e furia nella mia cabina, quando il nostromo entrò in punta di piedi, con un abito da mattino sul braccio.
Affamato, stanco e depresso, con la testa intrappolata dentro una camicia di bucato, maledettamente appiccicaticcia per il troppo amido, gli ordinai stizzito di «sbrigarsi con la colazione». Volevo essere a terra il piú presto possibile.
– Signorsí. Pronti alle otto. C’è un signore della costa che desidera parlarvi.
Questa informazione fu buttata là con una curiosa negligenza. Tirai con energia la camicia sopra il mio capo, ed emersi attonito.
– Cosí presto? – gridai. – Chi è? Cosa vuole?
All’arrivo da una traversata, bisogna riaversi dalle assuefazioni di un’esistenza totalmente isolata. Ogni minimo avvenimento, da principio, ha l’accento peculiare della novità. Ero rimasto assai sorpreso di quel visitatore mattutino; ma non vi era motivo perché il mio nostromo si mostrasse cosí particolarmente interdetto.
– Gli avete chiesto il nome? – indagai in tono asciutto.
– Si chiama Jacobus, mi pare, – borbottò confuso.
– Il signor Jacobus! – esclamai io ad alta voce, piú sorpreso che mai, ma con un totale cambiamento di espressione. – Come si fa a non dirmelo subito?
Ma l’amico si era affrettato a infilar l’uscio. Attraverso la porta momentaneamente aperta, intravidi un pezzo d’uomo, corpulento, ritto nella cucina, accanto al tavolo, sul quale era già stesa la tovaglia, una tovaglia da porto, immacolata e d’un bianco abbagliante. Meglio cosí.
Gridai gentilmente attraverso la porta chiusa che stavo vestendomi, e mi sarei trovato con lui tra un minuto. In risposta, l’assicurazione che non c’era fretta mi giunse dal visitatore in tono sommesso. Il suo tempo mi apparteneva. Osava frattanto supporre che gli avrei dato una tazza di caffè.
– Temo che avrete una ben magra colazione, – gridai in tono di scusa. – Siamo stati in mare sessantun giorni, sapete.
Una quieta risatina, accompagnata da un: – Andrà perfettamente, capitano, – fu la sua risposta. Tutto ciò: parole, tono, atteggiamento colto di sfuggita dell’uomo in cucina, aveva un carattere inaspettato, qualcosa di amichevole, propiziatorio. E la mia sorpresa non ne fu di conseguenza diminuita. Cosa significava quella visita? Era un indizio di qualche cupa macchinazione contro la mia ingenuità commerciale?
Ah! Quegli interessi commerciali capaci di guastare la vita piú pura che sia sotto il sole! Perché il mare deve essere adoperato per commerciare e peggio ancora per guerreggiare? Perché uccidere e trafficarci sopra, perseguendo fini egoistici, e nemmeno di grande importanza? Sarebbe stato tanto piú bello navigarlo alla ventura, con un porto di quando in quando e un cantuccio di terra da stenderci le gambe, comprare qualche libro e variare di pietanze per un po’. Ma vivendo in un mondo piú o meno omicida e irreparabilmente mercantile, era mio evidente dovere approfittare al meglio delle occasioni che offriva. La lettera dei miei armatori, come ho detto, mi aveva lasciato arbitro di operare come meglio potevo con la nave, a mio proprio giudizio.
La lettera conteneva, però, anche un poscritto, redatto pressapoco come segue:
Senza intenzione di pregiudicare la vostra libertà di azione, scriviamo con la posta in partenza a qualcuno dei nostri corrispondenti commerciali di laggiú, che potrebbero esservi di aiuto. Desideriamo in particolare che visitiate il signor Jacobus, cospicuo commerciante e noleggiatore. Se poteste intendervi con lui, egli è in grado di mettervi sulla via di un vantaggioso impiego della nave.
Intendermi con lui! Eccotelo lí quel cospicuo individuo, addirittura a bordo, a implorare il favore di una tazza di caffè. E dato che la vita non è una fiaba, l’inverosimiglianza della cosa quasi mi urtava. Avevo dunque scoperto un angolo incantato del globo, dove i mercanti danarosi si precipitano a bordo delle navi prima ancora che siano debitamente ancorate? Era magia quella, o soltanto un tiro mancino del commercio? Alla fine (nel farmi il nodo alla cravatta), pervenni a sospettare di non aver bene inteso il nome. Avevo riflettuto non poche volte sul cospicuo signor Jacobus durante la traversata, e il mio orecchio poteva esser rimasto ingannato da qualche remota somiglianza di suono... Il nostromo poteva aver detto Antrobus o magari Jackson.
Ma uscendo dalla mia cabina con un interrogativo: – Il signor Jacobus? – fui accolto da un tranquillo: – Sí, – accompagnato da un amabile sorriso. Il «sí» era stato piuttosto indifferente. Sembrava non facesse gran conto di essere il signor Jacobus, lui. Inventariai un largo, pallido viso, capelli radi sulla sommità del capo, baffi anch’essi radi, di un color perso imprecisabile, palpebre pesanti. Le sottili labbra lisce, in riposo, sembravano incollate insieme. Il sorriso era smorto. Un pesante, tranquillo individuo. Presentai i miei due ufficiali che proprio allora scendevano per la colazione; ma perché il comportamento silenzioso del signor Burns dovesse esprimere uno sdegno represso non lo potei capire. Mentre prendevamo i nostri posti intorno al tavolo, mi giunse all’orecchio qualche sconnessa parola di un alterco che si svolgeva nell’abbaino di poppa. A quanto sembrava, uno sconosciuto voleva scendere per parlarmi, e il nostromo si opponeva.
– Impossibile vederlo.
– Perché io no?
– Il capitano è a colazione, vi dico. Andrà a terra subito dopo e potrete parlargli sul ponte.
– Questo non è giusto. Avete lasciato...
– Non ci ho avuto nulla a che vedere, io.
– Sí, invece. Ognuno dovrebbe avere gli stessi diritti. Avete lasciato che quell’individuo...
Il resto mi sfuggí. Riuscito a respingere quella persona, il nostromo scese dabbasso. Non posso dire se fosse arrossito: era un mulatto; ma riscaldato sembrava. Dopo aver collocato i piatti sulla tavola, rimase appoggiato alla credenza con quella leziosa aria di noncuranza che era solito assumere quando aveva paura di averne fatta una troppo grossa, e temeva di essersi cacciato in un ginepraio. L’espressione sprezzante del viso del signor Burns quando spostava lo sguardo da lui a me, era davvero straordinaria. Non riuscii a immaginare quale altra vespa l’avesse punto.
Silenzioso il capitano, nessun altro, come è d’abitudine sui bastimenti, si dava la briga di parlare. E io non dicevo nulla semplicemente perché mi aveva ammutolito il fasto del trattamento. Mi ero aspettato l’abituale colazione alla marinara e invece mi vedevo sciorinata davanti una fantastica imbandigione di provviste di terraferma: uova, salsicce, burro che evidentemente non proveniva da scatolame danese, cotolette, e perfino un piatto di patate. Erano tre settimane che non vedevo un’autentica patata fresca. Le contemplai con interesse, e il signor Jacobus si rivelò uomo di umane, casalinghe tendenze, nonché una specie di divinatore del pensiero.
– Assaggiatele, capitano, – mi incoraggiò sottovoce, amichevolmente, – sono eccellenti.
– Ne hanno tutta l’aria, – ammisi io. – Prodotto dell’isola, suppongo.
– Oh no, importate. Quelle che crescono qui, sarebbero piú care.
Fui seccato dall’incongruenza della conversazione. Erano quelli gli argomenti da trattare per un negoziante cospicuo e danaroso? Trovavo la semplicità con la quale si era ambientato piuttosto attraente, ma di cosa si deve discorrere con un uomo che vi arriva all’improvviso, dopo sessantun giorni di navigazione da una cittadina totalmente sconosciuta, di un’isola mai vista? Quali erano (oltre lo zucchero) gli interessi di quel l’angolo di mondo, i suoi pettegolezzi, i suoi argomenti di conversazione? Trarlo sugli affari cosí subito, sarebbe stato piuttosto sconveniente o forse peggio: impolitico. Tutto quanto potevo fare per il momento, era tirare avanti nel vecchio solco.
– Sono ordinariamente cari qui i viveri? – chiesi, stizzito dentro di me dalla mia vuotaggine.
– Non direi, – rispose placidamente, con quell’aria di voler risparmiare il fiato che suggeriva la sua laconicità.
Non intendeva esser piú esplicito, e nondimeno non sfuggiva l’argomento. Fissando la tavola in uno stato d’animo di completo distacco (non mi permise di servirgli nessuna vivanda), entrò in particolari sulla spesa viveri. Il manzo era in massima parte importato dal Madagascar; il montone certo era raro e piuttosto caro, ma buona carne di capretto...
– Sono cotolette di capretto, quelle? – esclamai storditamente, additando uno dei piatti.
Appoggiato sentimentalmente alla credenza, il nostromo ebbe un trasalimento.
– Che diamine, capitano! Quello è autentico montone!
Il signor Burns diede fondo alla sua colazione con impazienza, quasi esasperato di esser coinvolto in qualche mostruosa follia, borbottò due parole di scusa e filò in coperta. Poco dopo l’ufficiale in seconda liberò la cabina del suo glabro faccione rosso. Con l’appetito di uno scolaretto, e dopo due mesi di viveri di bordo, aveva apprezzato la generosa apparecchiatura. Ma io no. Puzzava di stravaganza. Nondimeno era degno di nota che fosse stata preparata con quella rapidità, e feci le mie congratulazioni al nostromo per la sua bravura, con un tono che non prometteva nulla di buono. Burns mi lanciò un sorriso supplichevole, e con un gesto che non seppi interpretare strizzò i suoi furbi occhi scuri in direzione dell’ospite.
Quest’ultimo chiese con un filo di voce un’altra tazza di caffè, e spilluzzicò asceticamente un bocconcino di galletta di bordo, assai dura. Non credo che ne consumasse un pollice, in definitiva, ma nel frattempo mi forní, quasi inavvertitamente, un ragguaglio completo sul raccolto di zucchero, sulle ditte commerciali del luogo, e sullo stato del mercato dei noli. Tutto questo discorso fu intercalato da accenni alle persone, equivalenti a celati avvertimenti, ma il suo pallido viso carnoso rimase impassibile, senza un trasalimento, quasi ignorasse la propria voce. Come potete immaginare, spalancai tanto d’orecchi. Ogni parola era preziosa. Le mie idee sulle relazioni amichevoli in affari cominciarono a essere favorevolmente modificate. Mi diede il nome di tutte le navi disponibili insieme al loro tonnellaggio e ai nomi dei loro comandanti. Da queste, che erano ancora informazioni commerciali, discese alle mere chiacchiere portuali. La Hilda aveva inesplicabilmente perduto la sua polena nella baia del Bengala, e il suo capitano ne era fortemente provato. Lui e quella nave si erano accompagnati per anni, e il vecchio gentiluomo fantasticava che quello strano avvenimento preludesse a un suo prossimo sfacelo. Alla Stella era toccato un orrendo fortunale al largo del Capo; aveva avuto i ponti asportati e il primo ufficiale travolto in mare. E solo poche ore prima di raggiungere il porto, il bimbo era morto. Il povero capitano H. e sua moglie erano orrendamente disfatti. Se solo fossero riusciti a portarlo in porto vivo, probabilmente si sarebbe salvato; ma il vento era caduto l’ultima settimana o giú di lí, brezze leggere, e... il bimbo sarebbe stato sepolto quel pomeriggio. Riteneva che sarei intervenuto...
– Credete che debba andarci? – chiesi schermendomi.
Credeva di sí, decisamente. La cosa sarebbe stata molto apprezzata. Tutti i capitani in porto sarebbero intervenuti. La povera signora H. era annientata. Dura da sopportare per H. comunque.
– E voi, capitano, non siete sposato, suppongo?
– No, non sono sposato. Né sposato, né fidanzato.
Tra me e me ringraziai la mia buona stella; e, mentre lui sorrideva con aria cogitabonda e sognante, gli espressi la mia gratitudine per la sua visita e per le interessanti informazioni commerciali che aveva avuto la bontà di comunicarmi. Ma nulla dissi della mia meraviglia in proposito.
– Non avrei certamente mancato di farvi visita tra un giorno o due, – conclusi.
Sollevò le palpebre distintamente verso di me, e si contenne in modo ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Racconti di mare e di costa
  3. Nota introduttiva di Cesare Pavese
  4. Racconti di mare e di costa
  5. Nota dell’autore
  6. Un briciolo di fortuna - Racconto di porto
  7. Il coinquilino segreto - Episodio della costa
  8. Freya delle Sette Isole - Storia di bassifondi
  9. Postfazione di Renato Oliva
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright