
- 192 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Palermo è una cipolla remix
Informazioni su questo libro
Ogni libro dovrebbe avere almeno l'aspirazione di essere eterno. Almeno, l'aspirazione: sapendo che non potrà mai arrivarci.E questo libro quella strada l'aveva imboccata. Ma il tempo passa, e la Città cambia e sì, in moltissime cose la Città è cambiata in meglio. Certo, c'è sempre da fare i conti con l'eterna propensione all'annacamento. Ogni due passi avanti corrisponde sempre un passo indietro, uno a destra e uno a sinistra, ma la storia siciliana non è mai stata una superstrada a senso unico, semmai una trazzera tortuosa. La Città è di sua natura irrequieta e irrisolta. Nell'orditura delle sue trame ci sarà sempre un errore, nell'intonazione più calda si potrà riscontrare sempre almeno una sporcatura.
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Informazioni
DODICI:
o la va o la spacca
«Tra dieci giorni, se non hai niente in contrario, potremmo andare a Palermo» le disse. «Preferisco Ginevra» rispose lei. Stava in piedi davanti al cavalletto ed esaminava una tela iniziata. «Come puoi vivere senza conoscere Palermo?»
Milan Kundera
Questa specie di guida sta per finire e tu sei ancora barricato nella tua cameretta, a tormentarti le mani e guardare dalla finestra, incerto se venire fuori o meno. Se è così, la colpa dev’essere mia, almeno in parte. Probabilmente finora non sono riuscito a farti venire voglia di verificare coi tuoi occhi se tutti i pregiudizi che nutri nei confronti della Città siano fondati o meno. Magari in queste pagine non hai trovato una conferma o una smentita di questi luoghi comuni, ma piuttosto tutta una serie di implicazioni che hanno contribuito a confonderti le idee. Ciò che si chiede a una guida, seppure scombinata come questa, sono delle motivazioni che spingano a intraprendere il viaggio. Una guida deve amare il posto che descrive e deve trasmettere questa passione a chi la legge. In questo senso forse devo fare autocritica. Da queste pagine non si ricava incondizionato amore per la Città. Nemmeno odio, se è per questo. Speriamo non se ne ricavi nemmeno odio-amore, il sentimento certe volte troppo semplicistico-liquidatorio che prevale su ogni altro quando si parla della Città, specialmente dopo averci vissuto per un po’ di tempo. Di solito, chi ci viene per una settimana o un mese ne resta affascinato, e non capisce le obiezioni di chi invece è costretto a viverci in pianta stabile. Questa disparità di vedute dipende dal fatto che la Città è come un atleta allenato a fare i cento metri. Sulla breve distanza è in grado di sprigionare la massima potenza. Ma non ha senso chiedere a un centometrista di fare la maratona. Per i suoi ritmi, la maratona è un’impresa impossibile.
Fuor di metafora: i problemi nascono quando si tratta di trovare una scuola per i propri figli, un ospedale per farsi curare, un cimitero per farsi seppellire. Sugli autobus c’è poco da fare affidamento, ma se sei qui per pochi giorni puoi adoperare i taxi. Non è pensabile organizzare la propria vita quotidiana basando la propria mobilità sui taxi. In viaggio sì, invece. Dunque venirci per un breve periodo, come nel tuo caso, è la condizione ideale per godersi il meglio e lasciare il resto a chi poi è costretto a restarci. Prenditi il meglio, prendi un taxi e lascia perdere ogni altro pensiero.
Forse per scoraggiarti è stata determinante la descrizione della Kalsa. Tanto ti è bastato per provare sulla tua pelle un senso di eccessiva sazietà. Gli umori di questo quartiere possono risultare sconcertanti, se assorbiti in dosi massicce. La Kalsa è troppa. Meglio staccare, spezzare la visita con qualcosa di più confortante. Per recuperare serenità il contravveleno ideale sarebbe un monumento classico come la Cappella Palatina, meraviglia di mosaico e carpenteria, il cui soffitto a muqarnas, realizzato da maestranze arabe, è una di quelle cose che da sole meriterebbero il viaggio, e qualsiasi controindicazione può considerarsi archiviata. Se il duomo di Monreale è sfarzo e grandiosità, la piccola cappella voluta da Ruggero II è raccoglimento e minuzia. È un tesoro concentrico, custodito all’interno di un altro tesoro, Palazzo dei Normanni, oggi sede dell’assemblea regionale. Qui si consumano le trame della politica isolana, sulla quale persino tu, viaggiatore straniero, avrai assorbito qualche pregiudizio. Non lasciarti distrarre. Concentrati.
Non distante da Palazzo dei Normanni si trova la cattedrale, spettacolare all’esterno, che è rimaneggiato, ma deludente all’interno, che è troppo rimaneggiato. Qui specialmente i tedeschi si soffermano spesso a lasciare un fiore sulla tomba di Federico II, il sovrano che più di ogni altro incarnò l’indole teutonica temperata dalle gentilezze del contesto arabeggiante. A proposito: sulla prima colonna a sinistra del portico, ad accogliere il visitatore c’è un’iscrizione in arabo. È una sura del Corano:
Egli copre il giorno del velo della notte che avida l’insegue;
e il sole e la luna e le stelle creò, soggiogate al Suo comando.
Non è a Lui che appartengono la creazione e l’Ordine?
Sia benedetto Iddio, il Signore del Creato.
Non sono molte le chiese cristiane al mondo che possono vantare al loro interno una citazione del Corano. Probabilmente questa è l’unica, e se si trova proprio qui qualcosa vorrà significare.
Possono servire la minuzia fantasmagorica della Cappella Palatina, la compostezza di Palazzo dei Normanni, l’eleganza contraddittoria ed ecumenica della cattedrale a rassicurarti? Forse una colpa di questa specie di guida è aver tralasciato l’encomio di quelli che vengono comunemente considerati i monumenti. Forse tu sei uno di quei viaggiatori che per prima cosa, arrivati in un posto, preferiscono porsi il problema di cosa c’è da vedere fra le testimonianze d’arte. Se di questo si tratta, non è difficile stilare un elenco delle principali attrazioni turistiche che sei destinato a perderti se non cerchi di darti una mossa.
Due di queste si trovano nel museo di Palazzo Abatellis, cioè ancora alla Kalsa. L’Annunziata di Antonello da Messina è stata vista e riprodotta molte volte. Trovandosela di fronte si scopre che è una piccola tavola. Ritrae una Madonna velata di azzurro, il leggio davanti e la mano che taglia l’aria con un gesto che dice lo sbigottimento di Maria per l’annunciazione, ma anche quella del pittore per l’invenzione di una prospettiva inedita. Così come inedito è il punto di vista di chi guarda, lo stesso dell’angelo che porta il messaggio.
L’altro capolavoro di Palazzo Abatellis è il Trionfo della Morte. Non è per insistere: ma si vede che certi temi in questa città stanno molto a cuore. L’enorme affresco si trovava nell’atrio di Palazzo Sclafani, ed è un altro esempio della propensione a tenere sul chi vive gli ospiti: memento mori. Raffigura una morte scheletrica in groppa a un cavallo scheletrico anch’esso, che galoppa in mezzo alla folla. A essere trafitti dai dardi della morte sono giovani, aristocratici e prelati, mentre miglior sorte tocca al gruppo di poveracci scampati che si scorge sulla sinistra. Di quest’affresco non si conosce l’autore. Forse è Pisanello, forse qualcuno della sua bottega, forse un pittore valenziano vissuto attorno alla metà del Quattrocento. Il suo volto si trova assieme a quello di un aiutante in mezzo al gruppo dei salvati, ritratto mentre guarda a sua volta il visitatore.
L’altro grande museo è il Salinas. Qui sono conservate le metope dei templi di Selinunte, quelle che in extremis il barone Pisani salvò dall’espropriazione da parte degli archeologi inglesi. Oggi si trovano al museo archeologico della Città, per cui, se sei uno che ama il genere, il Salinas dovrebbe essere una delle prime visite, specie dopo il restauro e il nuovo allestimento, che hanno soffiato via tutta la polvere che spesso si deposita sui musei archeologici.
In questo elenco di attrazioni turistiche valgono anche i posti che non sono monumenti in senso stretto? Facciamo di sì e mettiamoci dentro i Cantieri Culturali della Zisa, un grande agglomerato di archeologia industriale acquisito e recuperato man mano, con interventi parziali, capannone dopo capannone. Se fossimo a Parigi sarebbe diventato il Centre Pompidou, più la Grande Bibliothèque, più la Cartoucherie, più tante altre cose. Sarebbe stato inaugurato in grande e dopo avrebbe cominciato a funzionare. Nella Città, invece, l’attuale vivacità dei Cantieri Culturali è il frutto di sedimentazioni successive, con almeno una grande glaciazione nei primi anni Duemila e una ripresa più recente. I Cantieri rappresentarono il miglior simbolo della rinascita culturale della Città, al di là di ogni evento più eclatante. Qui, accanto agli istituti culturali francese e tedesco studiano e lavorano gli allievi dell’Accademia d’arte, quelli del Centro sperimentale di cinematografia e quelli della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo, diretta da Emma Dante. Mettere in sicurezza l’esperienza dei Cantieri Culturali della Zisa sarebbe fondamentale, perché l’esperienza insegna che si fa presto a sfrattare i sogni. È lontano il tempo in cui l’obiettivo era convincere gli abitanti della Città a uscire di casa. Si può dire che avessero delle resistenze in questo senso, paragonabili a quelle che ora inchiodano te nella tua camera d’albergo. Ma riuscirono a superarle. Una volta stanati, una volta restituita la gioia di vivere, si trattava di dare un senso a questa massa di gente in libera uscita. La gioia di vivere ha bisogno di essere nutrita. Altrimenti uscire di casa diventa solo un ciondolare di sfaccendati. Ai Cantieri questi giovani gettano le basi del talento su cui fondare il futuro della Città. Ecco, su questo piano già una volta il progetto si è arenato. Speriamo che la glaciazione non debba ripetersi.
Ma non è il caso di avvilirti ulteriormente con discorsi del genere. Una guida non deve divagare, ma sforzarsi di dare, dei posti, l’immagine più accattivante possibile. Monumenti turistici s’era detto? E monumenti turistici siano. Fra quelli che meglio incarnano l’orgoglio cittadino merita un posto di rilievo il Teatro Massimo, che risulta il sito più visitato dopo la Cappella Palatina. Adesso gli abitanti della Città passano davanti al loro teatro lirico che credevano grigio scuro, quasi nero, e si sono abituati a vederlo invece di un colore ocra che fino agli anni Novanta era impensabile. Si sono abituati persino a entrarci dentro, e ad assistere agli spettacoli che vi si svolgono. Ma giova ricordare che per arrivare a questo orgoglio si è dovuti passare da una chiusura durata ventitré anni. Per riuscire a riaprire il Massimo c’è voluta una forzatura che ricorda quella del film Fitzcarraldo, dove un maniaco aveva l’ossessione di portare Caruso a cantare in mezzo alla foresta amazzonica e alla fine ci riusciva veramente. La Città è capace di questo genere di epici e felici impazzimenti.
All’opposto – dall’estremamente grande all’estremamente piccolo, sempre parlando di teatri – vale la pena di fare una visita al Ditirammu, che si trova in un cortile della Kalsa. Qui la famiglia Parrinello perpetua una tradizione di teatro e musica popolare che si accompagna a un’atmosfera di accoglienza e simpatia. Ogni spettatore, con un bicchiere di vino in mano, si trasforma in amico.
Altro piccolo tesoro, poco distante, è il Museo delle Marionette. Di solito solo i soggiorni più lunghi e approfonditi si concedono una visita a quella che fu la collezione privata di Antonio Pasqualino, singolare figura di medico e appassionato di tradizioni popolari. È un’esposizione che raccoglie marionette provenienti da ogni angolo del mondo. Il nucleo centrale è costituito dai pupi, che rappresentano la storia locale del teatro di figura. Qualcuno potrebbe obiettare che la museificazione del teatro popolare mette tristezza. Ma l’Opra dei Pupi è una tradizione quasi completamente sradicata. Si fanno spettacoli, certo, sebbene la partecipazione di un pubblico vero sia da tempo inesistente. Spesso si tratta di versioni annacquate, destinate al pubblico dei turisti. A nessuno oggi verrebbe in mente di seguire le saghe a puntate che duravano seicento episodi, distribuiti nell’arco di un paio d’anni. Oggi sopravvivono solo pochi pupari e ancor meno cuntisti, i narratori orali che raccontavano le gesta di Orlando e dei paladini di Francia. Per cui l’esistenza di un museo del genere è già una consolazione. Ancora una volta: il meglio è nemico del bene. La perfezione non ci appartiene. Forse è anche questo che ti scoraggia. Ma riflettici: proprio per la sua imperfezione la Città merita di essere conosciuta.
Ancora a proposito di teatro, vale la pena di far notare che nella Città si registra una vivacità che non ha paragoni in Italia. E questo fenomeno trova le sue radici nella glaciazione culturale dei primi anni Duemila, quando gli spazi e i finanziamenti nel settore teatrale subirono una drastica contrazione, e apparentemente dal nulla emersero talenti come Emma Dante, Vincenzo Pirrotta, Lina Prosa, Roberto Andò, Claudio Gioè, Isabella Ragonese, Ficarra e Picone, Davide Enia, per citare solo quelli ormai noti anche a livello internazionale, che si aggiunsero al sempiterno Mimmo Cuticchio e formarono un movimento prima teatrale e poi anche cinematografico inspiegabile, se si considera che la fioritura è avvenuta in un contesto di desertificazione o quasi. Sono artisti diversi fra loro, molti anzi si detestano, secondo la consuetudine per cui i migliori siciliani non sanno fare fronte comune. Ma anche se alcuni di loro ormai hanno cachet notevoli, in comune hanno tutti la capacità di saper lavorare con poco, traendone il massimo. Scene essenziali, parole distillate e valorizzate con enorme accuratezza sono le caratteristiche di un teatro cresciuto facendo di necessità virtù. Sono piante del deserto, artisti-cactus, abituati a fiorire prendendo la poca acqua che serve direttamente dall’atmosfera che respirano. È vero che la semina risale agli anni in cui nella Città la cultura poteva contare su spazi e risorse oggi inimmaginabili. Ma la fioritura avvenne nel pieno della glaciazione, e poi il raccolto si è avuto sul lungo periodo.
Nell’arte di arrangiarsi la Città non prende lezioni da nessuno, ed esempi se ne possono fare tanti. Quando uscirai, trova il tempo di visitare almeno un paio di oratori decorati da Giacomo Serpotta, scultore che, assieme alla sua famiglia, fra Sei e Settecento si trovò a fronteggiare una penuria di marmo pregiato. S’inventò allora una tecnica per far brillare lo stucco come e più del marmo. Gli oratori del Rosario, di San Lorenzo, di Santa Cita sono capolavori di un barocco che puoi vedere solo nella Città, tutti esempi di felice adattamento alle condizioni dettate dalla realtà.
In nessuna parte del mondo più che qui la crisi rappresenta la migliore risorsa a disposizione. Prendiamo il centro storico. Il suo fascino deriva in buona parte dall’assenza. Dal dopoguerra a oggi è successo che i ricchi lo hanno abbandonato per andare ad abitare nei quartieri a nord. Qualcuno ha notato che a partire dagli anni Cinquanta diventò decisiva l’attrazione per le tapparelle. A un certo punto gli abitanti della Città si stufarono delle persiane alle finestre e decisero che volevano le tapparelle. Il sogno della tapparella provocò un esodo di massa. Tutta la borghesia andò a vivere nei palazzi di via Sciuti e viale Strasburgo, e il centro rimase semideserto.
Gli abitanti della Città su questo argomento amano raccontarsi una storia: che la colpa sia stata dei regnicoli, dei piedincretati, dei paesani che vennero a inurbarsi nel dopoguerra per ingrossare le fila burocratiche della Regione. Furono loro i protagonisti di questa corsa al peggio urbanistico. Non amavano la Città, né avevano motivo di amarla. In quanto originari della provincia avevano anzi tutte le ragioni per odiarla. E pertanto si sforzarono di distruggere ogni forma di bellezza sopravvissuta ai bombardamenti.
La storia non sta del tutto in piedi perché ad abbandonare il centro storico furono innanzi tutto gli abitanti della Città, che si adeguarono di buon grado alla nuova moda edilizia. A poco a p...
Indice dei contenuti
- Premessa. La Città cambia, i libri invecchiano
- UNO: benvenuto nella Città
- DUE: i luoghi comuni
- TRE: orientarsi nel caos
- QUATTRO: morire, dormire, forse sognare
- CINQUE: io guardo, tu guardi
- SEI: mangia che ti passa
- SETTE: il mare non bagna la Città
- OTTO: santi, monti e giardini
- NOVE: miseria e nobiltà
- DIECI: un calcio alla decadenza
- UNDICI: pratiche di autoesotismo
- DODICI: o la va o la spacca