IX. L’attimo catturato
Come lo Stato liberale perse l’attimo fuggente per reprimere l’insurrezione, e ciò consentì ai fascisti di proseguire spavaldi la loro marcia di conquista, mentre il duce «fece fessi tutti», sventando l’ultima manovra per mutilare la sua vittoria.
Il governo delibera lo stato d’assedio
Verso le 4.30, al Viminale, cominciarono ad arrivare i ministri. Il capo di gabinetto accolse Riccio, il più filofascista fra i membri del governo, dicendogli con un sorriso: «I suoi amici sono alle porte». Ma il ministro reagì: «Che amici, che amici! Questa è una cosa indegna. Mussolini si è lasciato prendere la mano. Stato d’assedio ci vuole, stato d’assedio!»1. Giunse anche il generale Cittadini, inviato dal re per essere aggiornato sulla situazione, che commentò dicendo «non mi pare ancora allarmante», ma Ferraris replicò: «Io mi permetto di non condividere questo suo ottimismo». Il capo di gabinetto ha raccontato che il generale Cittadini «si trattenne ancora un altro poco, mentre io mano a mano gli segnalavo le notizie, naturalmente sempre peggiori, poi tornò a Villa Savoia. Intanto il Consiglio dei Ministri aveva inizio»2. Invece, secondo le testimonianze di altri ministri, l’aiutante di campo del re fu presente al Consiglio. Paratore, ministro del Tesoro, ha affermato che il generale si presentò alle 6 del mattino, per annunziare «che S.M. il Re aveva avuto notizie di incertezze sulla proclamazione dello stato d’assedio, e comunicò, per incarico avuto dal Sovrano, l’assoluta necessità dello stato d’assedio»3. Secondo Bertone, ministro delle Finanze, il generale «si allontanò solo dopo che vide deliberato lo stato d’assedio»4. Secondo Rossini, infine, il generale Cittadini si era recato al Consiglio dei ministri e «aveva approvato tutto quello che si stava facendo»5.
Il Consiglio iniziò dopo le 5 e si concluse alle 6. Facta espose la situazione insurrezionale iniziata nella notte, e Taddei illustrò le misure che erano state prese «per impedire con tutti i mezzi l’occupazione di Roma e dei pubblici poteri esistenti in Italia da parte dei fascisti», secondo le disposizioni date dal generale Pugliese. Gli altri ministri si dichiararono solidali col ministro dell’Interno e approvarono le misure. Quindi, il Consiglio deliberò unanime «di proporre al re la proclamazione dello stato d’assedio»6. Alle 7.10 fu ordinato ai prefetti e ai comandi militari «di mantenere l’ordine pubblico e di impedire occupazione uffici pubblici, consumazione violenze e concentramenti e dislocazione armati, usando tutti i mezzi a qualunque costo, con arresto immediato tutti senza eccezione capi e promotori del moto insurrezionale contro poteri Stato»7. Intanto alle 7, il generale Pugliese redasse un bando, approvato dal ministro dell’Interno, col quale si rendeva noto il divieto di riunioni pubbliche con più di cinque persone, la revoca delle licenze di portare armi, per cui nessuno poteva circolare armato e i negozi di armi dovevano rimanere chiusi, si vietava la circolazione degli autoveicoli e delle vetture tranviarie, la chiusura degli esercizi pubblici alle 21, la sospensione di tutti gli spettacoli8. Alla stessa ora, Taddei comunicò a Pugliese la delibera dello stato d’assedio, aggiungendo che il Consiglio aveva «assoluta fiducia nel Comandante della Divisione; doversi agire con grande energia; essere certa la vittoria». Alle 7.20 Pugliese ricevette dal direttore generale di pubblica sicurezza l’ordine di vietare la partenza dei giornali da Roma e contemporaneamente ricevette da Facta e Taddei l’incarico di «provvedere alla difesa della Capitale con tutti i mezzi disponibili, impedendo ad ogni costo l’ingresso delle squadre fasciste nella città , e che girino comunque in città armati e in divisa»9. Infine, alle 7.50 fu trasmesso ai prefetti e ai comandanti militari il telegramma n° 23859: «Consiglio dei ministri ha deciso proclamazione stato assedio in tutte provincie Regno da mezzogiorno oggi. Relativo decreto sarà pubblicato subito. Frattanto SS.LL. usino immediatamente di tutti i mezzi eccezionali per mantenimento ordine pubblico e sicurezza proprietà e persone»10.
In seguito a questi provvedimenti, furono dislocati reparti militari con mitragliatrici e cavalli di Frisia presso il Viminale, Montecitorio, il ministero della Guerra, il Quirinale e Villa Savoia, oltre che presso le principali strade di accesso alla città e presso i ponti. Pochi minuti dopo le 8, avendo appreso che da Pisa e da Cecina erano partiti per Roma 2.250 fascisti con vari treni, Pugliese ordinò l’immediata interruzione della ferrovia a Civitavecchia, e gli fu risposto che era stata già interrotta dal comandante del presidio per impedire il proseguimento di un treno con 800 fascisti che si erano rifiutati di scendere11. Alle 8.10 il ministero dell’Interno ordinava al generale Pugliese di occupare militarmente la sede dei fascisti nella capitale e di «arrestare tutti i capi fascisti, anche se appartenenti all’Esercito in posizione ausiliaria speciale»12. Alle 8.30 veniva affisso sui muri della capitale il manifesto del governo ai cittadini per dare notizia delle manifestazioni sediziose «che avvengono in alcune provincie d’Italia coordinate al fine di ostacolare il normale funzionamento dei poteri dello Stato e tali da gettare il Paese nel più grave turbamento. Il Governo fino a quando era possibile ha cercato tutte le vie di conciliazione nella speranza di ricondurre la concordia negli animi e di assicurare la tranquilla soluzione della crisi. Di fronte ai tentativi insurrezionali esso, dimissionario, ha il dovere di mantenere con tutti i mezzi e a qualunque costo l’ordine. E questo dovere compirà per intero a salvaguardia dei cittadini e delle libere istituzioni costituzionali»13. Alle 8.45 il ministero dell’Interno comunicò ai comandi militari che da quel momento era istituita la censura telegrafica e alle 9.10 fu comunicata la sospensione del servizio telefonico privato interurbano e internazionale14.
Il rifiuto del re
Verso le 9, Facta si recò a Villa Savoia con il testo del decreto che proclamava lo stato d’assedio: ma il sovrano non volle firmarlo.
Non si sa nulla di preciso sui motivi che indussero il re a cambiare radicalmente parere sullo stato d’assedio fra le 5 e le 9 del mattino. Le versioni sul contenuto dei colloqui fra il re e il presidente del Consiglio sono molto contrastanti, e varie sono le ipotesi formulate da testimoni e da storici per spiegare i motivi che avrebbero indotto il re a mutare la sua decisione: la volontà di evitare una sanguinosa guerra civile perché gli era stato detto che alle porte della capitale vi era una massa fascista soverchiante rispetto alle forze armate preposte a difenderla; la sensazione di essere stato abbandonato da un governo dimissionario e lasciato solo a decidere nella gravità dell’ora; i consigli o le pressioni di esponenti nazionalisti e di personalità filofasciste degli ambienti monarchici e militari; le simpatie fasciste della regina madre; i dubbi, che sarebbero stati insinuati nella mente dubbiosa del re da Thaon di Revel, da Diaz e da altri generali, sull’effettiva compattezza dell’esercito nell’obbedienza; la preoccupazione di salvare il trono, temendo o sospettando un accordo fra i fascisti e il duca d’Aosta per sostituirlo; la speranza di poter ancora disinnescare la carica eversiva fascista con una combinazione governativa, che le molteplici trattative fra Mussolini e i vari esponenti liberali facevano apparire possibile e prossima; e non sarebbe mancato neppure l’intervento della massoneria, simpatizzante per il fascismo, sul re e sui generali ad essa iscritti15. Fra i membri del governo, ci fu chi sospettò che fosse stato lo stesso Facta a consigliare il re a non firmare, perché convinto di poter addivenire a un accordo con Mussolini per un suo terzo ministero con partecipazione fascista16.
Ciascuno di questi motivi può aver influito sulla decisione del re. Nel 1941, parlando con il generale Paolo Puntoni, il re disse: «Nel 1922 ho dovuto chiamare al governo ‘questa gente’ perché tutti gli altri, chi in un modo chi in un altro, mi hanno abbandonato. Per 48 ore, io in persona ho dovuto dare ordini direttamente al questore e al comandante del corpo d’armata perché gli italiani non si ammazzassero fra loro»17. Nel settembre 1945, a un’esplicita domanda sulla «ragione più valida, più forte, più persuasiva che consigliò di non reagire alla marcia su Roma», domanda che gli era stata posta in un questionario da un gruppo di senatori monarchici antifascisti, Vittorio Emanuele aveva risposto: «Evitare spargimento di sangue, date le notizie delle provincie che erano già nelle mani dei fascisti e l’impossibilità di impedire l’occupazione di Roma. Nelle truppe e perfino nelle Guardie regie erano molti elementi filofascisti. Le autorità assicuravano che i fascisti armati giunti presso Roma erano più di centomila»18.
Forse fu veramente il timore di provocare una guerra civile la ragione che indusse il re a rifiutare la firma al decreto di stato d’assedio. Lo stesso timore, del resto, era stato manifestato da un uomo politico di lunga esperienza come Giolitti, così come era condiviso da Facta e dagli altri aspiranti a succedergli, tutti contrari a reprimere con la forza il fascismo e tutti disposti a formare un governo con i fascisti. Inoltre, la delibera dello stato d’assedio era stata presa all’ultimo momento da un governo dimissionario che da tempo era stato dichiarato morto dal suo stesso presidente, il quale nei mesi precedenti aveva dato ampia prova di essere impotente a fronteggiare la violenza fascista; e che ancora giorni prima riteneva tramontata la marcia fascista sulla capitale; e che persino poche ore prima di deliberare lo stato d’assedio era andato tranquillamente a dormire come se nulla di grave stesse accadendo; e che alla fine, improvvisamente destato alla realtà , si era reso conto del pericolo e aveva deliberato le misure estreme per reprimere un movimento sedizioso capeggiato da un uomo politico, col quale, tuttavia, tutti i candidati a presiedere il nuovo governo stavano trattando.
Eppure, sapevano tutti che Mussolini era il capo di bande armate, che da due anni spadroneggiavano nel paese proclamandosi milizia della nazione, anti-Stato, Stato in potenza, operando come un esercito di conquista, che assaltava e occupava città ; distruggeva le organizzazioni avversarie; imponeva dimissioni a consigli comunali e provinciali democraticamente eletti; perseguitava e metteva al bando dalla loro città parlamentari e membri del governo; dileggiava e ricattava persino il capo dello Stato, ponendogli come alternativa o la consegna del potere al duce del partito armato o la fine violenta della monarchia. Perch...