III. Filicudi è blu come il mare che la circonda
Non si approderà mai a Filicudi se si navigano le acque del Mediterraneo. Filicudi è un’isola che brilla al largo della Norvegia e che non si raggiunge certo salpando da Milazzo o da Napoli. Per arrivare sull’isola è necessario attraversare prima la Danimarca e poi superare lo stretto che porta in Svezia. Da lì si deve procedere verso ovest, tagliare orizzontalmente la Norvegia, e risalire lungo tutta la costa, tra fiordi, boschi e villaggi sul mare, e destreggiarsi tra i rifugi abitati dai troll. Superato il Circolo Polare Artico si può iniziare a rallentare fino a quando, di colpo, sporgendosi dall’estremità di un fiordo, non si vedrà Filicudi che risalta verde, sull’acqua blu. Anche a Filicudi si possono incontrare i troll, che vivono di solito nelle foreste magiche, in vicinanza dei laghi argentati o sulla punta delle lingue di terra scandinave protese nel mare. I troll escono dai rifugi solo quando c’è la luna e spariscono quando il sole si solleva in aria. Attenzione infatti, perché se un troll viene colpito dai raggi del sole diventa di pietra.
Lei non sembra avere quattro dita alle mani, né quattro dita ai piedi, non mi sembra che abbia una coda pelosa nascosta sul sedile né che sia irsuta, ma certamente mi pare di carattere benevolo, quindi sì, potrebbe anche essere un troll.
Ha decelerato subito dopo avermi affiancato, lei alla guida di un pick-up rosso, io a piedi col cappello in mano che arrancavo al primo tornante di strada asfaltata.
«Posso darle un passaggio?»
«Così però non posso dire di avere fatto l’autostop, vero?»
«Cosa?»
«Grazie, molto gentile. Grazie davvero.»
Apre la portiera. Indossa dei grandi occhiali da sole, e dei jeans o dei pantaloni di una tuta, qualcosa di assolutamente quotidiano. L’aria del pick-up ha un sapore artico, lo avverto ancora prima di aver chiuso lo sportello, e annoto in tempo il fatto che non ci sia traccia di Arbre Magique. Anzi, c’è anche un pacchetto di sigarette che si riflette sul parabrezza, eppure l’ossigeno di questa macchina è puro, come se ci fosse una betulla tagliata a pezzi sotto ai sedili.
«Dove va?»
Mi dà del lei, anche ora che mi vede da vicino, e potrebbe dire benissimo quanti anni ho. La sua stessa età .
«Non saprei. Sono appena sbarcato. Volevo solo fare il giro dell’isola.» Non le do del lei, non le do del tu.
Da quando sono sceso dall’aliscafo mi ha rivolto per primo la parola un lupo di mare e ora lei è la seconda persona che mi dà confidenza. L’uomo, con una bellissima barba bianca sagomata dal vento, e rughe profondissime intorno agli occhi, mi ha detto: «Che giornata, eh? È stato il più brutto inverno degli ultimi quarant’anni».
Ho fatto i complimenti per il sole e per la luce, e lui: «Sono venute certe burrasche quest’anno. E guardi oggi. Marzo è pazzo, si sa».
Non c’è da chiedersi se questo lupo di mare che mi ha guardato intensamente assomigli di più a sua madre o di più a suo padre, perché lui è figlio di questa latitudine e infatti nei tratti somatici si riconosce semplicemente il sole e il vento, perché è da loro che discende. Il volto è corroso dai raggi solari e disegnato dalle folate prese in barca o stando a casa, sulla sedia in veranda rivolta verso il mare. I tratti somatici si sono posizionati in base agli sbalzi di temperatura e all’intensità della luce e gli hanno disegnato così quel volto bruciato con cui va in giro. Le nostre strade si sono separate subito, lui scendeva verso il porto, io salivo verso l’ignoto.
Poi ho visto una Fiat 128 parcheggiata. E mi è sembrato strano. Una Fiat 128 in Norvegia.
Poi mi sono incamminato e sono tornato a pensare alle poche linee architettoniche delle case che avevo appena visto senza tanta concentrazione, all’odore di acqua salata e a qualche rete da pesca rossa che mi era rimasta sul fondo della retina, e soprattutto alla luminosità delle pareti che ricoprono le poche abitazioni affacciate sul porto, e ho concluso che ero arrivato in un villaggio di pescatori. È la prima volta che alle Eolie percepisco, e vedo, un villaggio di pescatori. Ci sono tre cose che marchiano chiaramente i villaggi dei pescatori, specie in Scandinavia. La prima cosa è il silenzio carico di attesa (attesa che qualcuno torni dalla pesca, attesa che arrivino le nuvole, attesa che tramonti il sole). La seconda è che questo silenzio è rotto solo dai gabbiani. Il terzo segnale che siamo in un villaggio di pescatori (nel Nord Europa) è che le vernici passate sulle case, vernici bianche e vernici rosse o blu o verdi, sono alterate dalla presenza del sole che smette di far essere colori i colori, e li rende dei materiali. Si può dire cioè che una casa è blu come se si dicesse è fatta di legno e si può dire che una casa è rossa come se si intendesse dire è una casa in pietra viva. Ci sono decine di posti così risalendo da Bergen fino ad Hammerfest.
«Può prendere una delle mulattiere che portano nelle diverse contrade.» Guida con sicurezza. Faccio caso al termine contrada e perdo qualche parola di quello che sta dicendo, riesco solo ad intuire che parla della corrente elettrica sulle strade, e mi pare di capire che la luce sulle strade non c’è per una scelta volontaria degli abitanti. Chissà . Una curva.
«Oppure c’è la strada asfaltata. Ma è più lunga. L’isola è tutta così. I posti lontani sono vicini anche se la strada è lunga. Perché con le mulattiere si arriva in cinque minuti dove uno vuole. Con la strada invece ci vuole sempre tantissimo tempo. Lei dove vuole andare?» Sorride, come se avesse già capito.
«...»
Ci guardiamo. Ma lei ha dei grandi occhiali da sole mentre io posso solo ricorrere allo sguardo perso nel paesaggio per rimandare un po’ la risposta. L’isola è lunga e storta, ha un grande monte da una parte e una collina più dolce che gli fa da coda.
«E quella laggiù cos’è?»
«Quella è Pecorini a mare.»
«Pecorini.»
«Sopra c’è Pecorini alta. Io invece abito là », aggiunge lei, spostando il mento in una direzione assolutamente imprecisa. Potrebbe abitare ovunque.
Nella parte scoperta del pick-up, dietro, ci sono degli oggetti grandi, ne percepisco solo le forme con la coda dell’occhio, sicuramente mi spiegherebbero molto di lei, che intanto rallenta e tira giù un po’ il finestrino, per farmi vedere meglio Pecorini a mare.
Da fuori entra l’odore di conifere. Un sapore balsamico mescolato a odore di erba appena falciata. Nel pick-up entra l’odore di Filicudi, che è lo stesso che c’è in macchina. Erbe aromatiche sparse su una lastra di ghiaccio.
«Magari allora vado a Pecorini a mare. Dipende. Non vorrei farle allungare, mi lasci quando vuole lei.» Voglio che senta quanto stride darsi del lei alla nostra età .
«Ho superato già il posto dove dovevo andare. Le stavo facendo fare un giro. Un giro per farle conoscere l’isola.»
«...»
Passa davanti ad un’edicola con una madonnina e si fa il segno della croce rapidamente, come se stesse scacciando un moscerino, e riprende a parlare.
«Gli abitanti qui si chiamano tutti Stefano o Giuseppe. Santo Stefano è il protettore dell’isola.»
Per essere un troll è veramente disponibile e non mi sembra che sulla sua testa né sul naso le cresca il muschio. E poi è piena mattina e lei va a spasso come se nulla fosse, senza diventare di pietra. Tuttavia, non è la prima volta che vengo in Norvegia e so bene che i troll femmina (le trolle, hulder) sono capaci di trasformarsi in meravigliose fanciulle.
«Mi dispiace che troverà tutto chiuso. D’estate è tutto aperto. I turisti stanno comprando tutta l’isola.»
Per dimenticare Panarea, e Elena, e i malati di vaiolo serviva un luogo completamente diverso. Dovevo proprio cambiare latitudine.
Ad un certo punto accosta e ferma l’auto. Scendiamo tutti e due. Non ha la coda. Oppure è nascosta molto bene ed è per questo motivo che porta i pantaloni abbondanti di una tuta. Non sono jeans, è proprio una tuta.
«Questa è la mulattiera che porta a Pecorini a mare. Deve svoltare sempre a destra, deve sempre scendere.»
Guardo verso il basso, guardiamo giù insieme, e l’epicentro esatto da cui provengono le mie vertigini è occupato da un paese sottile adagiato sulla costa, che sfiora le onde. L’aria soffia freschissima tutto intorno a noi e il mare sfavilla come se ci fosse stata passata sopra una cera con effetti di brillantezza.
«Sono stato già nelle altre isole Eolie. Sono tutte molto diverse una dall’altra. Però devo dire che Filicudi è la mia isola preferita.»
«Qui si possono fare moltissime passeggiate. E poi è un’isola silenziosa.»
Dal taccuino
Il momento più bello di quando si naviga in alto mare è approdare in isole sconosciute. Ogni isola del mondo, ogni scoglio, ha le sue storie, le sue leggende e spesso le sue liturgie. Le isole vulcaniche, sparse per il mondo, sono tutte uguali, tutte arcane. Sono tutte legate da qualcosa che le associa una all’altra. Oltre alle leggende delle isole, nelle isole con i vulcani si registrano le storie dei mostri attivi che gli abitanti odiano e venerano. Giava è un’isola magica. Bromo è un vulcano attivo. È un dio iroso che va tenuto calmo. Per capire cosa sono i vulcani delle Eolie bisogna imparare dai vulcani delle altre isole, e dalle interpretazioni che sono state date.
Ogni dicembre si tiene sul vulcano di Giava una cerimonia che risale al XV secolo e che si chiama Kesodo. Migliaia di indonesiani, insieme ai loro sacerdoti, salgono in processione fino ai bordi del cratere.
I pellegrini preparano in anticipo le offerte. I giorni precedenti al rito, cucinano il riso in grandi pentole. Il riso viene compresso in uno stampo e posto su una foglia di banano. Si chiama tumpang e la sua forma ricorda il profilo della montagna dove verranno portate le offerte.
Si preparano vassoi con i petali, e poi cipolle, cavoli, patate, spighe di granturco, una resina simile all’incenso, frutta, monete, banane e galline.
C’è un giorno in cui inizia la cerimonia e si va verso il vulcano. I sacerdoti benedicono le offerte con un’acqua sacra che trasuda dalle pareti di una grotta. Uomini e donne indossano abiti sacri, camicie nere, vesti bianche. Quando l’acqua sacra benedice i doni, un’orchestra composta da cimbali, gong e tamburi inizia a suonare. Si percorrono altri chilometri. Alcune offerte vengono lasciate in un tempio dove scenderanno gli dei per prenderle. Qualcuno inizia a pregare e la preghiera collettiva diventa un coro e l’orchestra segue il canto.
Il giorno dopo si sale a portare le offerte sul vulcano. Con i doni si evitano le calamità , si chiede la felicità per tut...