La tela di Penelope
eBook - ePub

La tela di Penelope

Storia della Seconda Repubblica

  1. 286 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La tela di Penelope

Storia della Seconda Repubblica

Informazioni su questo libro

La tela di Penelope è un libro riuscito sin dal titolo. Non c'è dubbio che sia prezioso. Un vero e proprio 'memento' per noi, e per chi verrà dopo di noi: perché allinea scandali cui in molti si erano assuefatti, fissa nella memoria errori da non ripetere, ripercorre vicende che tendiamo a rimuovere. Aldo Cazzullo, "Corriere della Sera"

La frammentazione che caratterizza centrodestra e centrosinistra sfocia in una conflittualità paralizzante. Esecutivo dopo esecutivo, si tesse qualcosa che ogni volta rimane incompiuto. Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica è uno snodo cruciale che indirizza verso un'altra tessitura. Una tela di Penelope dopo l'altra siamo arrivati ai nostri giorni. Mirella Serri, "Sette - Corriere della Sera"

La classe politica non ha voluto perdere gli appuntamenti internazionali decisivi, tra cui l'ingresso nell'euro. Tuttavia poco e nulla è stato fatto per adeguare il Paese a quelle scelte. Da dove ricominciare? Il libro non può dirlo, ma di sicuro aiuta a capire. Piero Craveri, "Il Sole 24 Ore"

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La tela di Penelope di Simona Colarizi,Marco Gervasoni in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Economics e Italian History. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Argomento
Economics

I. Il crollo della Prima Repubblica (1989-1993)

1. Una società dinamica, una politica immobile

Il Capodanno 1989 era stato festeggiato con fuochi d’artificio e fiumi di spumante, eterno rito celebrativo di un nuovo inizio pieno di promesse e di sogni per il futuro. Al futuro una gran parte degli italiani guardava con la tranquilla certezza di chi si lasciava alle spalle un decennio di benessere e di crescita, scandito da un secondo boom economico che aveva accompagnato il cambiamento profondo della società e dell’economia del paese, ormai al quinto posto tra le maggiori potenze del mondo1.
L’industria brindava all’aumento della produzione che aveva segnato un +6% nel 1988; e non erano solo il comparto dell’auto e la siderurgia a tirare. Dall’esame sugli utili e i dividendi aziendali presentato da «Studi Finanziari» l’incremento di redditività sfiorava il 20%, a segnalare la prospettiva di un nuovo miracolo economico, tanto più che l’inflazione ancora alta (al 5,75% nei primi giorni del 1989) mostrava una tendenza incoraggiante al raffreddamento2.
Dopo pochi mesi le più rosee aspettative sembravano realizzarsi: il 7 luglio 1989 «la Repubblica» titolava Italia il gigante d’Europa, citando la previsione del mensile londinese «Euromoney», convinto che l’Italia nel giro di dieci anni sarebbe diventata la prima in Europa a livello economico. Anche l’Ocse certificava che la crescita del 3,5% del Pil italiano – superiore a quella tedesca prevista al 3% – collocava il nostro paese al vertice della graduatoria delle nazioni europee. Lira forte, specchio dell’Italia che va, era un altro titolo comparso in prima pagina sulla «Repubblica» del 29 luglio 1989: l’economia marciava spinta dalla domanda interna ed estera, i capitali affluivano, crescevano il reddito, gli investimenti, i consumi, le importazioni3.
Del resto bastava guardare allo sviluppo delle regioni del Nord e del Centro Italia, dove la grande industria si era rinnovata in modo consistente su modelli di produzione snella, come quello giapponese, grazie all’elasticità garantita dall’automazione, dalla robotizzazione e dalla diffusione della microelettronica. La spinta maggiore alla crescita si registrava in Lombardia e nei territori della fascia adriatica settentrionale e centrale dove una dinamica piccola e media impresa diffusa ormai a macchia d’olio incrementava giorno dopo giorno la sua competitività sui mercati nazionali e internazionali nella produzione di beni materiali e immateriali. Al fianco dei settori tradizionali del commercio, del turismo, della ristorazione fiorivano i servizi alle persone e alle imprese con elevato contenuto di specializzazione: comunicazione, informazione, spettacolo, pubblicità, software, tempo libero, salute, finanza4.
Protagonisti di questa vera e propria rivoluzione ­iniziata già nei Settanta erano i «nuovi borghesi», imprenditori o lavoratori autonomi che investivano nella loro attività un rilevante capitale umano. Il capitale fisico fornito dalle famiglie originarie di contadini e di mezzadri era stato messo a profitto dai figli, che avevano creato questa fitta rete di microaziende, più o meno cresciute col passare degli anni a comporre dei veri e propri distretti industriali, legati da vincoli profondi al territorio, alla comunità di parenti, amici, conoscenti5. Il tessuto sociale di intere regioni appariva ormai quasi omogeneo, composto prevalentemente da una grande classe media con forti tendenze individualistiche alla quale appartenevano categorie di lavoratori non più distinguibili gli uni dagli altri, omologati da tenori di vita che i consumi determinavano.
E i consumi determinavano anche i valori di questa vasta e opulenta area geografica, tra le più ricche dell’intera Europa, con un reddito pro capite annuo superiore ai 20 milioni e con depositi bancari oltre i 18 milioni6. Laboriosità, risparmio e intraprendenza, fondativi delle società locali, rappresentavano virtù primarie coltivate con passione non solo per sfrenata ambizione di guadagno, ma del guadagno inteso come realizzazione di beni materiali e di beni simbolici, come esaltazione delle proprie capacità, di autoconsapevolezza, di potere.
Nella sfera degli interessi si trasferivano sentimenti e pulsioni che un tempo suscitava la politica, inariditasi col declino delle grandi ideologie novecentesche e incapace di intercettare il sentire di questi nuovi ceti, vistosamente segmentati e non più riconducibili ai soggetti collettivi del passato fordista. Anzi, proprio l’orgogliosa rivendicazione di sé espressa da tanta parte di questi italiani finiva per confliggere con i partiti e i governanti percepiti come immobili, incompetenti, capaci solo di porre vincoli e ostacoli all’espansione del mercato e alla libertà d’impresa.
Si salvavano in parte i dirigenti politici locali che nel contatto quotidiano con l’evoluzione economica e sociale del territorio, erano riusciti a gestire le istituzioni comunali e provinciali in armonia con le esigenze e gli interessi della popolazione. Ma il discredito che si accumulava sul Parlamento e sul governo nazionale, acquistava una valenza di contestazione nei confronti dell’intera società politica.
Il desiderio di rinnovarla non si traduceva però in mobilitazione politica proprio per il progressivo disinteresse diffusosi in larghi strati della popolazione. Gli anni di piombo avevano lasciato un segno profondo per lo meno su due generazioni di italiani; tuttavia era soprattutto il cambiamento sociale e culturale a incidere sul distacco e la diffidenza verso gli appelli dei comunisti e del piccolo drappello di oppositori ai governanti che parlavano un linguaggio anacronistico, indecifrabile ai più. Indecifrabile perché a trasmettere il messaggio politico erano gli intellettuali, in particolare quelli che da sinistra guardavano sconsolati alle trasformazioni in atto. Non piacevano loro «il tempo presente, gli eccessi nei consumi, la volgarità televisiva, gli individualismi, gli egoismi e ogni comportamento sociale riconducibile alla nuova ricchezza prodotta nei ‘maledetti’ anni Ottanta», scriveva Giuliano Ferrara7.
Al fondo di questa ripulsa stava un’incomprensione profonda di fronte a un mondo che girava troppo in fretta e, come sottolineava Norberto Bobbio, metteva in «fuorigioco» l’intera galassia della cultura, incapace di dare alla classe politica la spinta necessaria per rimettersi in sintonia col paese e rilanciare «questa nostra democrazia così sgangherata, così corrotta, così inefficiente» e tuttavia «l’unica cosa che ci rimane»8. Gli intellettuali non capivano il cambiamento, ma molti di loro erano consapevoli di quanto fosse necessario riformare l’immobile sistema dei partiti, compreso il Pci, da un decennio ormai declinante e ripiegato su se stesso in un processo di revisione troppo lento e faticoso. Proprio per accelerarlo si erano mobilitati in tanti, professionisti, giuristi, operatori dei media decisi a trasformare il vecchio tronco comunista in un nuovo dinamico soggetto politico, liberato dai soffocanti apparati burocratici di marca sovietica e dagli anacronistici legami ideologici.
Un nuovo soggetto politico era comunque già nato e aveva iniziato a rastrellare consensi al Nord cavalcando tutti i motivi della protesta neoborghese con messaggi semplificati e non ideologici, direttamente riferiti ai bisogni e alle aspettative delle comunità locali alle quali i suoi esponenti si rivolgevano con il dialetto del luogo9. Liga Veneta e Lega Lombarda raccoglievano il coro di lamenti sulle carenze di infrastrutture, sull’oppressione di una burocrazia elefantiaca e improduttiva, sui servizi angusti e arretrati comunque non proporzionati alla pressione fiscale e agli investimenti pubblici che, per esempio, in Lombardia erano solo dell’11% a fronte di un’incidenza della ricchezza prodotta pari al 20% del Pil; e l’elenco includeva l’incuria delle istituzioni a risolvere problemi vecchi e nuovi che minacciavano l’integrità del territorio, principalmente la criminalità e l’immigrazione in crescita.
Nel 1989 le leghe erano ancora un fenomeno marginale, ma alle elezioni europee di giugno dalle urne era uscito un risultato sorprendente che premiava i «lumbard» del senatore Umberto Bossi: 11% a Varese, Sondrio e Bergamo, 10% a Cremona e Como, 9% a Pavia e un 3,4% persino a Milano, metropoli non certo assimilabile alle altre province, capitali dei distretti industriali dove fioriva il microcapitalismo10. Un successo così marcato in confini geografici e socioeconomici ben definiti, amplificava pulsioni secessioniste, alimentate dal desiderio orgoglioso di fare parte a sé unito all’avversione crescente verso chi raccoglieva senza merito e verso chi distribuiva a piene mani la ricchezza prodotta dai lombardi e dai veneti.
I loro soldi andavano a sostenere quella parte...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. Il crollo della Prima Repubblica (1989-1993)
  3. II. La transizione continua (1994-1996)
  4. III. La legislatura dell’Ulivo (1996-2001)
  5. IV. Una stagione di movimenti (2001-2004)
  6. V. L’impossibile governo (2004-2008)
  7. VI. Ultimo atto (2008-2011)