In un tempo in cui tende a crescere il tasso di specializzazione, a tutti i livelli, il momento in cui si cerca di delineare la “carta di identità” di una disciplina è sempre molto delicato e la nostra riflessione sulla PS non fa eccezione. Va anche detto che – soprattutto nel campo delle scienze umane – molti degli interrogativi che si propongono all’interno di un dominio disciplinare non necessariamente sono assenti da altri, per cui vi possono essere significative zone di intersezione, tra discipline differenti, che – oltre a costituire un incentivo implicito per il lavoro interdisciplinare – rappresentano anche motivi fisiologici di sovrapposizione (e talora di confusione), che non è facile (e talvolta neppure possibile) eliminare. In più va detto che, nel processo di progressiva specializzazione disciplinare, vi sono interrogativi che prendono forma in un certo modo all’interno di un campo più ampio, per poi divenire occasione per la nascita di un campo più specifico. Si pensi, per citarne uno fra i molti, alla nascita della Psicologia (oggi dovremmo dire delle discipline psicologiche ), che prende forma – come molti campi del sapere – all’interno della filosofia (il termine stesso, psico-logia , nella sua radice greca, indica lo studio dell’anima) ed ancora oggi possiamo parlare di una Psicologia filosofica (che viene così aggettivata, proprio per distinguerla da quella scientifica [1] ), accanto alle varie branche della psicologia (clinica e sociale), della psicoanalisi, della neuropsichiatria che – da prospettive differenti – convergono verso oggetti di studio in parte simili e in parte differenti.
Un analogo processo si può osservare nell’ambito della pedagogia, che a sua volta ha le proprie radici nella filosofia, se pensiamo che tra le opere di Platone ve ne è una (la Repubblica) che pone al centro il tema dell’educazione e un’altra (il Menone) che affronta in modo sistematico il tema della conoscenza, riservando ampio spazio all’insegnamento. La stessa espressione “metodo socratico”, che si utilizza ampiamente nel dibattito pedagogico contemporaneo, fa esplicitamente riferimento ad uno stile educativo che si ispiri al modo di lavorare di Socrate, maestro di Platone, che è certamente uno dei padri della filosofia, ma pone questioni rilevanti di tipo pedagogico e didattico.
Potremmo dire che prima prendono forma gli interrogativi umanamente significativi, poi – progressivamente – le persone si strutturano per poterli affrontare con strumenti concettuali quanto più rigorosi ed efficaci possibile, quindi si collocano tali interrogativi all’interno dei campi di ricerca in quel momento attivi, con gli strumenti concettuali disponibili. Se gli interrogativi permangono in tutta la loro carica “sfidante” o aprono comunque nuovi orizzonti, si apre anche lo spazio per approfondire gli strumenti concettuali con cui affrontarli e, man mano che il set di strumenti concettuali cresce e si codifica sempre meglio, si possono anche aprire nuovi campi disciplinari e nuove metodologie o paradigmi scientifici. Man mano che cresce e si consolida la comunità scientifica di coloro che operano all’interno di quel campo disciplinare, con l’analisi riflessiva degli strumenti concettuali individuati e progressivamente affinati, si può arrivare a definire lo statuto epistemologico di un campo del sapere, cioè a codificarlo come scienza e distinguere, all’interno di un determinato ambito scientifico, diverse metodologie di lavoro, scuole di pensiero, paradigmi epistemologici.
Fin qui abbiamo utilizzato quasi indifferentemente i termini scienza e disciplina, ma – prima di procedere – ci sembra opportuno un chiarimento che riprenda la distinzione effettuata da Von Humboldt [2] per cui possiamo intendere per scienza un insieme ordinato e coordinato di leggi e di teorie, atto ad interpretare e conoscere un aspetto della realtà umana e naturale, particolari fenomeni e avvenimenti, rilevarne l’origine e seguirne lo sviluppo, con criteri di rigore che le sono propri e che vengono convalidati da una comunità scientifica. Per disciplina possiamo invece intendere una scienza o parte di essa, o un insieme di diverse scienze tra loro raccordate in quanto possono inserirsi in un percorso di studi, entro il quale hanno un preciso valore “formativo”, sul piano culturale e su quello della crescita della persona. Come il concetto di scienza si è evoluto nel tempo [3] , così anche il numero delle scienze è cresciuto con l’identificazione di nuovi ambiti di indagine o il modificarsi dei punti di vista da cui osservare la realtà e formulare ipotesi e modelli esplicativi. Fin dal mondo antico l’intelligenza euristica di chi individua un nuovo campo del sapere e metodologie adeguate a “dominarlo” viene avvolta nell’alone del mito: l’arte medica viene posta sotto gli auspici divini di Asclepio nell’antica Grecia, mentre in Egitto le scienze e le arti vengono fatte risalire al dio Toth. In diverse epoche sono stati effettuati dei tentativi di classificazione delle scienze, con la costante tensione verso l’unità del sapere [4] , ma inesorabilmente la necessità di rendere più acuto lo sguardo della conoscenza umana ha portato a rivedere tali classificazioni e a rendere più fluidi i confini tra campi di ricerca un tempo separati. La nascita di una nuova scienza comporta elementi ben precisi: una definizione chiara di un oggetto (materiale e formale) che costituisca il campo di indagine, dell’apparato metodologico necessario per esplorarlo, dei criteri di validazione delle conclusioni a cui si perviene.
Per disciplina si potrebbe intendere – e il significato è d’uso comune – una qualsiasi branca del sapere scientifico, ma in questa sede proponiamo di dare al termine un significato più specifico. Per cui chiameremo disciplina una scienza, o parte di essa, o un insieme di diverse scienze tra loro raccordate, in quanto possono inserirsi in un percorso di studi, entro il quale hanno un preciso valore “formativo” [5] , sul piano culturale e sul piano della crescita della persona. In tal senso le discipline hanno sempre ragione di mezzo (in vista di finalità di tipo formativo) e mai di fine. Per esempio, anche a livello accademico, è diverso il ruolo della matematica in un corso di studi di ingegneria, di economia, di matematica pura, o al limite in un piano di studi di filosofia particolarmente orientato all’area della logica formale ... la scienza di riferimento è sempre la stessa, ma non in tutti i casi la finalità per cui la si studia è quella di formare dei “matematici”. Tale distinzione si fa ancora più significativa se oltre alle finalità per cui si inserisce una disciplina in un piano di studi prendiamo in considerazione l’età delle persone a cui ci si rivolge e i compiti formativi propri della fase evolutiva che stanno vivendo: un docente di scuola primaria che insegna ai suoi bambini la storia locale non avrà come obiettivo quello di formare degli “storici”, ma di aiutarli a prendere coscienza del proprio rapporto con il tempo, all’interno di uno spazio, di una comunità, di un insieme di persone che in quei luoghi hanno vissuto molto prima che il bambino vi iniziasse la propria avventura personale. Volendo sottolineare specificamente la funzione “umanizzante” di una disciplina, ci sembra illuminante la definizione proposta da Giuseppe Lombardo Radice:
Si può definire la disciplina come un interiore conformarsi dell’alunno alla legge che sente viva e operosa nel maestro, o meglio: la formazione di una legge di vita, che si genera nella coscienza del maestro e dell’alunno, nell’atto della loro comunione che è l’educazione [6] .
Gli stessi criteri utili per identificare una disciplina vengono presentati con significative differenze dai diversi autori. Schwab [7] evidenzia un duplice livello a cui si strutturano le discipline: la struttura sostanziale e la struttura sintattica. La prima riguarda i contenuti culturali, ovvero l’insieme organizzato delle conoscenze (informazioni, concetti, teorie) che caratterizzano la disciplina; la seconda riguarda invece i metodi utilizzati per procurarsi tali conoscenze, attraverso le forme di indagine che sono proprie di una determinata scienza. In tale impianto prevale la centratura sui contenuti culturali (siano essi di tipo dichiarativo o di tipo metodologico) rispetto alle istanze formative, per cui - per completare il quadro - si potrebbe aggiungere un terzo livello che chiameremo struttura formativa, anche se risulta difficile caratterizzarla sulla base di un’analisi strutturale dell’impianto epistemico di una scienza. Per questo preferiamo prendere in esame anche un altro punto di vista. Jerome Bruner ritiene che «la struttura di ogni campo del sapere si caratterizzi secondo tre criteri, ciascuno dei quali influisce sulla capacità da parte del discente di dominare un determinato campo: il modo in cui viene rappresentata, la sua economia e la sua reale efficacia» [8] . Le modalità con cui un campo del sapere può essere rappresentato dipendono dalla sua struttura epistemica e vanno dalla rappresentazione attiva di azioni orientate a raggiungere un fine, alla rappresentazione iconica mediante grafici o immagini, alla rappresentazione simbolica che si traduce in regole o proposizioni. L’ economia di un campo disciplinare dipende dal modo in cui sono organizzate le conoscenze e dal numero di informazioni necessarie (o di operazioni concettuali da compiere) per comprenderne un’altra. La caratteristica più importante di una disciplina, dal punto di vista pedagogico, è quella che è stata identificata come efficacia, ovvero il valore generativo che essa possiede per ciascun discente. Più in generale si può dire che «alla base della metodologia di pensiero propria di una data disciplina vi è un complesso di proposizioni generative, connesse tra loro e in varia misura implicite» [9] . Dal nostro punto di vista riteniamo che tale insieme di proposizioni generative non necessariamente debba essere “dedotto” dall’impianto epistemologico di un’unica scienza di riferimento, ma possa essere costruito a partire da un insieme di obiettivi formativi che ne hanno palesato l’urgenza. Vi è un ulteriore elemento utile per identificare l’identità strutturale di una disciplina, che si può desumere dalle ricerche più recenti dello stesso Bruner sul principio narrativo. Premesso che «la narrazione ha la stessa importanza per la coesione di una cultura che per la strutturazione di una vita individuale» [10] , si può affermare che:
Un sistema educativo deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un’identità al suo interno. Se quest’identità manca, l’individuo incespica nell’inseguimento di un significato. Solo la narrazione consente di costruirsi un’identità e di trovare un posto nella propria cultura [11] .
In generale si può considerare la conoscenza come un cammino [12] , in cui l’oggetto culturale scandisce l’itinerario ed offre lo sfondo di riferimento (il “paesaggio”), ma l’attenzione dell’insegnante (e delle istituzioni educative formali) è centrata sull’allievo, ovvero su colui che compie il cammino. Del resto, anche l’etimologia del termine (dal latino discere = imparare) indica una centralità dell’alunno e del suo apprendimento (quanto meno in termini di auspicio), piuttosto che la centralità dei “contenuti” e del loro insegnamento.
Vi sarebbero anche altri due termini che oggi vengono utilizzati soprattutto in rapporto agli insegnamenti scolastici, uno è quello probabilmente più diffuso, per cui si parla di materie di insegnamento, l’altro – entrato in auge in tempi più recenti – fa riferimento ai saperi [13] . Il termine materia è molto usato nella quotidianità scolastica, sostanzialmente per indicare quella che nell’accezione di Von Humboldt abbiamo chiamato disciplina, termine che riteniamo preferibile perché nella sua semantica richiama l’idea di un ordine e di una organizzazione della mente (che viene “disciplinata” dall’apprendimento), mentre il termine materia sembra più centrato sui “contenuti” (gli oggetti culturali) che di fatto costituiscono il “programma” d...