Il labirinto del continuo
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Il labirinto del continuo

Numeri, strutture, infiniti

Giorgio Chinnici

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Il labirinto del continuo

Numeri, strutture, infiniti

Giorgio Chinnici

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Un libro che racconta l'evoluzione del concetto di numero: una storia appassionante che porta a scoprire e indagare il significato profondo dell'infinito, le sue molteplici forme, le sue sorprendenti e paradossali manifestazioni. Nel labirinto del continuo, espressione di Leibniz per indicare i problemi filosofici legati ai numeri, la matematica trova un filo d'Arianna che permette di districarsi, descrivendo spazio e tempo. Il volume affronta il rapporto tra matematica e filosofia nell'interpretazione del mondo, dai numeri naturali fino alle derivate, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820391195
1 Numeri
“E sai fare l’addizione?” chiese la Regina Bianca. “Quanto fa uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno?” “Non lo so”, disse Alice. “Ho perso il conto”.
Lewis Carroll, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò (1871)
Astrazioni
La capacità di contare ha accompagnato l’uomo fin da epoche antichissime, perse nella nebbia del tempo.
Nei primi stadi del suo sviluppo l’essere umano possedeva il concetto di quantità in una maniera piuttosto rozza che non andava molto al di là della semplice contrapposizione tra un singolo oggetto e molteplici oggetti dello stesso tipo: tra un albero e una foresta, tra una preda e diverse prede, tra un nemico e svariati nemici. Ovvero, l’uomo primitivo al pari di quello moderno poteva distinguere a un livello cognitivo immediato tra uno, due e molti, o comunque riconoscere, senza bisogno di contare esplicitamente, le piccole quantità forse fino a tre o quattro; mentre tutto il resto era semplicemente tanti.
Questo fatto ha lasciato le sue tracce nel linguaggio. In italiano, come in quasi tutte le altre lingue vive o estinte, esiste la categoria grammaticale del numero: sostantivi, pronomi, aggettivi, articoli vengono marcati con una terminazione o una forma diversa per indicare un solo esemplare (“il mio nuovo libro”) oppure più di uno (“i miei nuovi libri”). In greco antico e in sanscrito oltre al singolare e al plurale esiste il duale, il quale marca esplicitamente un concetto quando si fa riferimento esattamente a due esemplari. Il duale era infatti presente nel proto-indoeuropeo, il progenitore comune delle moderne lingue indoeuropee, e si conserva in alcune di queste ultime come lo sloveno, il lituano e il gaelico scozzese; è inoltre una caratteristica di lingue semitiche quali l’arabo e l’ebraico biblico. Ed è poi molto interessante il fatto che certe lingue (il bayso in Africa, l’hopi degli Indiani d’America, il warlpiri in Australia) abbiano il numero grammaticale paucale, distinguano cioè grammaticalmente tra uno, pochi e molti. Una traccia di questa distinzione si trova anche in russo e altre lingue slave: in “un libro” il sostantivo libro va declinato al nominativo, in “due-tre-quattro libri” al genitivo singolare e da “cinque libri” in poi al genitivo plurale.
A un certo punto dell’evoluzione sociale dell’umanità diventò indispensabile indicare la quantità con maggiore esattezza. Bisognava sapere quanti capi facevano parte del proprio gregge, o quanti giorni erano passati da un dato evento. Prima ancora di inventare delle parole per indicare tutti i numeri e prima di rappresentarli mediante simboli all’interno di un sistema di scrittura, gli uomini svilupparono una naturale tecnica di conteggio basata sulla corrispondenza. Più esattamente, sulla corrispondenza uno a uno ovvero biunivoca. Per enumerare un gruppo non troppo grande di persone, animali, cose o persino concetti, facevano corrispondere a ognuno di essi le dita delle mani e magari anche quelle dei piedi. Al fine poi del conteggio di quantità maggiori e soprattutto per poter disporre di una registrazione che permanesse nel tempo, gli antichi iniziarono a mettere da parte un sassolino per ogni capo di bestiame, per esempio, o a fare un nodo in una cordicella, o a incidere una tacca in una pietra; o su un osso, come quello ritrovato a Ishango al confine tra Uganda e Congo e che si ritiene risalga addirittura a ventimila anni fa.
Il passo fondamentale dunque è stato comprendere che cosa hanno in comune due mani e due notti, o cinque pecore e cinque piante, o tre buoi e tre tacche. Un procedimento mentale sofisticato e per nulla scontato, che ha portato all’idea di numero come concetto astratto. I numeri naturali, le entità usate per contare, vengono così ad assumere una loro esistenza, almeno come costrutti mentali, del tutto indipendente e non limitata alla loro manifestazione in circostanze particolari concrete. Delle entità su cui si può ragionare direttamente e a cui si possono attribuire proprietà. Portarsi a un livello più alto di astrazione significa ragionare con maggiore generalità: una cosa è parlare di “due mani”, ben altra cosa è parlare del numero “due”. Evidentemente, poi, è proprio su questo processo di astrazione che si basa l’impiego di simboli per rappresentare i numeri naturali.
Il termine “astratto” non va quindi inteso nel senso negativo che talvolta gli si attribuisce nel linguaggio di tutti i giorni. La capacità di pensiero astratto è, al contrario, proprio ciò che caratterizza le facoltà intellettuali superiori dell’uomo. L’intelligenza è il sapere cogliere i concetti universali astraendoli, appunto, dalle manifestazioni particolari, concetti che altrimenti rimarrebbero sepolti e invisibili sotto la coltre dei dettagli concreti. Come dice Jorge Luis Borges (1899-1986) nel racconto Funes, o della memoria (Funes el memorioso, 1942):
Sospetto, tuttavia, che non fosse molto capace di pensare. Pensare è dimenticare le differenze, generalizzare, astrarre. Nel sovraffollato mondo di Funes non c’erano che dettagli, quasi immediati.
Il geniale scrittore argentino immagina in questo racconto che il giovane Ireneo Funes, a seguito di un incidente in cui era stato travolto da un cavallo, avesse acquisito una memoria prodigiosa, sovrumana quanto opprimente, che gli impediva ogni astrazione:
Infatti, Funes non solo ricordava ogni foglia di ogni albero di ogni montagna, ma persino ognuna delle volte che l’aveva percepita o immaginata.
[…]
Questi, non dimentichiamolo, era quasi incapace di idee generali, platoniche. Non solo gli era difficile comprendere che il simbolo generico cane includesse così tanti disparati individui di diversa taglia e diversa forma; lo infastidiva anche che il cane delle tre e quattordici (visto di profilo) portasse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto (visto di fronte).
Il processo di astrazione, inoltre, serve a creare un modello mentale dell’oggetto o del fenomeno in esame, tenendo conto solo delle caratteristiche rilevanti e che ci interessano, ed eliminando tutte le altre. Costruire un modello maneggiabile è l’unica maniera di fare scienza.
Inoltre, è ancora un processo di astrazione quello che ci porta al concetto di figura geometrica. Dai casi particolari di un appezzamento di terreno di forma quadrata o di una ruota di forma circolare si arriva all’idea universale di quadrato o di cerchio, all’essenza di ciò che appare quadrato o circolare. Nel mondo che ci circonda non ci sarà mai un cerchio che sia esattamente tale, ma solo approssimazioni più o meno buone ai fini pratici. Il cerchio perfetto in senso matematico, come ogni altra forma geometrica esatta, è una potente astrazione, anch’essa nata agli albori della civiltà da un’esigenza pratica: quella di misurare o calcolare la lunghezza di un segmento, l’area di una superficie e infine il volume di un solido.
Grazie al modello astratto del quadrato geometrico è possibile calcolare l’area a partire dal lato, astraendo dalle particolarità dell’appezzamento reale e da caratteristiche irrilevanti di quest’ultimo come il tipo di terreno o la distanza dalla città. A modelli astratti si ricorre del resto non solo in matematica ma anche nelle scienze: si pensi per esempio ai concetti di forza e di energia.
Questa idea è stata pure ripresa dall’arte moderna: alcune correnti della pittura e della scultura sono incentrate proprio sull’astrazione dell’essenziale dall’oggetto o dalla scena da raffigurare.
Insiemi
Come si può intravvedere da quanto discusso, c’è poi un altro concetto astratto fondamentale per la matematica che emerge quasi in punta di piedi a fianco di quello di numero: il concetto di insieme. Si può pensare infatti che un numero naturale rappresenti la cardinalità di un insieme finito, la quantità degli elementi che ne fanno parte. Il numero cinque è cioè, in astratto, ciò che hanno in comune non solo un insieme di cinque gettoni e l’insieme delle dita di una mano, bensì tutti gli insiemi ...

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