Dialettica dell'illuminismo
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Dialettica dell'illuminismo

Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Renato Solmi

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Dialettica dell'illuminismo

Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Renato Solmi

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Scritta in stretta collaborazione dai due pensatori tedeschi durante la guerra, l'opera risponde al bisogno di tradurre sul piano speculativo una duplice esperienza: quella dell'Europa devastata dal fascismo, che gli autori si erano lasciata alle spalle, e quella della società americana che li aveva accolti. Entrambe le esperienze provano - ed è la tesi del libro - che l'illuminismo ha la tendenza a rovesciarsi nel suo contrario, non solo nell'aperta barbarie del fascismo, ma anche nell'asservimento totalitario delle masse attraverso la blandizie dell'industria culturale. Secondo gli autori, la libertà nella società è inseparabile dal pensiero illuministico. Il concetto stesso di questo pensiero, tuttavia, implica già il germe di quella regressione che oggi si verifica ovunque. Per questo essi affermano che se l'illuminismo non accoglie in sé la coscienza di questo momento regressivo, firma la propria condanna, e che è un dovere di tutti riflettere sull'aspetto distruttivo del progresso. Gli autori vollero qui dare un contributo, poi risultato essenziale, a questa che è una «comprensione teoretica dell'oggi«. Già edita una prima volta nel '47, l'opera è tra l'altro uscita nei «Paperbacks» nel 1980.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2017
ISBN
9788858426654

Introduzione

1. Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente: è già il titolo a fornire le tracce, che si tratterà di decifrare, per un’adeguata comprensione di questo libro, affascinante ma non facile.
1.1. Il sottotitolo – Frammenti filosofici – dà in primo luogo ragione della struttura non sistematica del testo: che si organizza in una tesi, in due excursus storico-intellettuali, in due capitoli, esemplificativi della tesi principale, sull’industria culturale e sull’antisemitismo, e infine in una serie di appendici (Appunti e schizzi). Concentrata in un arco di tempo non troppo esteso è invece la composizione, a quattro mani: alla fine del 1942 esistono già il primo capitolo, l’excursus sull’Odissea, e l’abbozzo del capitolo sulla cultura di massa; del 1943 è la parte sull’antisemitismo. Il libro è stato pubblicato ciclostilato in America nel 1944 col titolo Philosophische Fragmente, e con poche aggiunte nel 1947 presso l’editore Querido di Amsterdam, col titolo definitivo; è stato poi ristampato quasi invariato nel 1969 da Fischer a Francoforte1.
La struttura frammentaria e composita di Dialettica dell’illuminismo risponde poi a una necessità ‘filosofica’, cioè all’intento di cogliere il nucleo genetico delle principali categorie che strutturano il corso della civiltà occidentale, di quel ‘sistema’ la cui caratteristica è tanto di costituire una ‘totalità’ quanto di essere, al contempo, disarticolato in disiecta membra. Totalità e crisi, unità e lacerazione, sono l’oggetto di questi Frammenti filosofici, che non sono quindi una filosofia del frammento, ma una ‘teoria critica’ della totalità disgregata, come anche Minima moralia di Adorno – in pratica coevo a questo libro – non è un’etica minimalistica ma riflessioni sulla vita offesa e dispersa nella totalità del dominio2.
La tensione tra frammentarietà e totalità pertiene anche alla situazione storica e spirituale dei due autori. Horkheimer e Adorno nel loro esilio californiano – ultima tappa delle peregrinazioni, provocate dal nazismo, che hanno condotto i due principali esponenti dell’Istituto per la ricerca sociale da Francoforte prima a Ginevra, e poi a Londra, Parigi, New York, e infine a Los Angeles – vivono la contraddizione di essere filosofi tedeschi di origine ebraica, di cultura alto-borghese e di orientamento marxista, impegnati in varie ricerche empiriche commissionate loro dalle grandi fondazioni scientifiche statunitensi, che tuttavia vogliono dare testimonianza di un approccio al sociale e ai suoi problemi piú radicale di quello che la sociologia consente. Che sanno insomma di dover fare filosofia della società, non solo di doverne descrivere i frammenti; di dovere criticare e dialettizzare le stesse categorie delle scienze sociali, per coglierne l’origine unitaria3.
Nell’autointerpretazione della teoria critica come filosofia, ancorché frammentaria, gioca cosí un ruolo decisivo anche il rifiuto esplicito di farsi validare o falsificare dall’empiria: anche se critica e spaesata, e non certo trionfalistica, la filosofia di Dialettica dell’illuminismo interpreta il reale non per adeguarvisi ma per ricondurlo alla sua verità4.
1.2. Per comprendere poi quale sia la filosofia che qui viene esposta è necessario chiedersi che cosa significhino i due termini del titolo vero e proprio, ‘illuminismo’ e ‘dialettica’.
A una prima approssimazione, ‘illuminismo’ vale qui non tanto nella sua accezione storica determinata, e neppure nel senso kantiano del «sapere aude!», né come l’uscita dell’uomo dalla colpevole minorità della sua ignoranza, quanto, piú in generale, come logos, ratio, ovvero come pensiero razionalistico (definito anche ‘borghese’), sia nel suo versante ‘liberale’ e positivistico sia, sebbene in misura diversa e con differenti modalità, in quello dialettico. Quel pensiero – palesemente moderno, ma che Horkheimer e Adorno retrodatano a norma originaria della civiltà occidentale – di cui è portatore storico e idealtipico il soggetto (anch’esso già da sempre ‘borghese’) impegnato a emanciparsi da ogni timore e autorità esterna, e ad affermare la propria autonoma identità razionale, la propria libertà. Mentre per ‘dialettica’ si intende la contraddizione che a tale pensiero inerisce, senza che esso – in generale – se ne avveda. E il vero problema sta nel comprendere quale sia tale contraddizione, se essa sia superabile, e come e da chi, o se piuttosto infici irreparabilmente la ragione, il suo procedere e il suo telos.
2. Secondo Habermas, Dialettica dell’illuminismo presenta un’esposizione formalmente poco chiara, che non ne rende facilmente comprensibile l’andamento di pensiero5. Certo, balza all’occhio che questo testo esibisce un sistema argomentativo piú suggestivo che dimostrativo, e un linguaggio filosofico – splendidamente tradotto in italiano – piú carico di pathos assertorio che di analiticità. E tuttavia è almeno evidente che l’intento del libro è di illuminare l’illuminismo su se stesso, e che il metodo è di controinterpretarne l’autointerpretazione, di comprendere e criticare la sua autonarrazione all’interno di un’altra, piú radicale. Questa comprensione critica sarà qui esposta dapprima in forma di ‘tesi’, che poi verranno contestualizzate e approfondite.
2.1. Alla narrazione che la ragione illuministica fa di se stessa come di una lotta contro il mito, al compimento della quale c’è il soggetto emancipato e finalmente in possesso della propria libera identità razionale, Horkheimer e Adorno oppongono che l’antitesi fra mito e illuminismo è in realtà una complicità segreta. Il mito è infatti, per loro, una forma di superamento della magia; questa, certo, era «falsità sanguinosa», ed esprimeva anch’essa il desiderio dell’uomo di dominare la natura, e tuttavia operava in mimesi con l’oggetto, del quale rispettava, in qualche modo, le qualità e la singolarità, realizzando quindi, sulla natura, un dominio episodico e asistematico6.
L’impulso all’autoconservazione e al soddisfacimento che inerisce a ogni singolo individuo concreto – un impulso che gli autori riconoscono, nella sua materialità, come positivo – assume già nel mito un tratto che, rispetto alla magia, è illuministico, perché il mito è impegnato a eliminare radicalmente la paura davanti alla natura, attraverso la spiegazione, l’Erklären. Il mito è già teoria, perché costituisce l’unità dello Spirito astratto all’interno della quale sussume l’unità – altrettanto astrattamente costituita – della natura; gli dei del mito preparano le essenze separate, gli universali, del logos. Nel livello della vera e propria filosofia, quindi, è a maggior ragione inevitabile che il soggetto pervenga alla propria identità solo affidandosi al linguaggio della ratio, allo Spirito che razionalizza la natura distinguendo tanto fra soggetto e oggetto quanto fra essenza universale e fenomeno particolare. Ma queste distinzioni tolgono via le differenze qualitative nell’identità universale della ragione; quello che era il dominio immediato della magia è divenuto un dominio – Herrschaft (termine che in contesti weberiani è stato reso con ‘potere’, e che in ambito francofortese si traduce appunto con ‘dominio’, mentre propriamente vale ‘signoria’) – che si esprime nella mediazione (Vermittlung) razionale e nella sua universale capacità di omologazione. Certo, il dominio del soggetto sull’oggetto è fondato sulla separazione fra nome e cosa, che a sua volta deriva dal distacco del padrone (Herr) dalla cosa, reso possibile dall’interposizione del servitore; quindi il dominio ha un’origine materiale, strutturale. Eppure, il tema centrale di Dialettica dell’illuminismo è che la potenza del dominio, nonostante questo abbia una base materiale, è nell’autonomia e universalità logica di una sovrastruttura che si riproduce in ogni tempo e in ogni struttura produttiva7.
Quindi, l’individuazione del singolo si dà solo nell’identificazione autoritaria con la logica del potere: e il potere del soggetto sull’oggetto è pagato con la sottomissione di entrambi al potere universale, al sistema del dominio, del quale non sono che funzioni. Già nel mito, e poi con ancora maggiore potenza e chiarezza nel logos, è insomma chiaro a Horkheimer e Adorno che soggetto e oggetto, e il loro rapporto di mediazione, possono darsi soltanto all’interno di un orizzonte che è l’universalità del dominio. Ma allora tanto il rapporto soggetto/oggetto quanto il rapporto fra singoli soggetti all’interno della ratio e del dominio possono essere solo uno scambio di equivalenti, all’insegna della cattiva uguaglianza, cioè dell’uguale fungibilità, per il dominio, degli enti privati delle loro qualità: «il prezzo dell’identità di tutto con tutto è che nulla può essere identico con se stesso». L’universale, quindi, implica già quel Tutto che è Falso: ‘totalità’ è il fatto che l’orizzonte universale della mediazione è logicamente inclusivo (non lascia spazio a nulla che non possa essere mediato, compreso in concetto) e insuperabile (se non vi fosse, non vi sarebbero soggetto e oggetto), che è cioè un trascendentale che struttura, costituisce e condiziona la storia, le istituzioni, le forme produttive e della cultura. Il lato totalitario dell’illuminismo è che – come risulta chiaro nel positivismo – esso consiste in una tautologica autoaffermazione8.
2.1.1. Nell’illuminismo non c’è solo la contraddizione originaria per cui il soggetto perde – nella totalità – la propria identità precisamente quando la raggiunge: un’altra aporia è quella che Horkheimer e Adorno constatano a proposito del rapporto fra logos e natura, che nell’autocomprensione dell’illuminismo è di esclusione, e invece è per loro di perversa co-implicazione. La prima forma di conoscenza attraverso la quale il soggetto vuole affermare se stesso e sottrarsi al mondo naturale delle potenze ostili per controllarlo è il rito sacrificale, il lato ‘operativo’ del mito. E il rito, per gli autori, è violenza controllata e calcolante contro la natura. L’origine del pensiero non sta, pertanto, nell’uscita dalla natura – come l’illuminismo proclama –; piuttosto, il pensiero porta dentro di sé la natura negata, come una colpa rimossa che dà origine a una sorta di inconscia ma potente coazione, nel soggetto razionale, a negare la natura fuori di sé e dentro di sé: ma tale negazione coatta è anche un’inconscia e paradossale riproposizione della natura. Infatti, mentre il mito e il rito, e poi l’illuminismo, intendono negare la natura, per renderla uguale allo Spirito, proprio in questo artificio razionale continuano ad agire le forze della natura, sia perché l’illuminismo fa paradossalmente ricorso alla nozione di ‘legalità naturale’ sia perché lo Spirito, la forma universale del logos, si presenta come un destino, tanto ‘naturale’ ed estraneo all’umanità quanto le originarie potenze minacciose e irrazionali della natura: cosí, «ogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura cade tanto piú profondamente nella coazione naturale». L’uscita dallo stato di natura è dunque per l’illuminismo necessaria e impossibile: l’illuminismo si allontana dall’origine – dalla natura – senza allontanarsene veramente, anzi, portandosela dentro come fatale opacità; la natura è sconfitta, eppure è vincitrice perché lo Spirito, che si presenta come soppressione della natura, sopprime naturalmente – nel proprio procedere – il soggetto e infine se stesso. È questa la barbarie che fin dall’origine abita nell’illuminismo. E se il progresso dello Spirito non è altro che l’automatismo coatto delle dinamiche del dominio, allora anziché la progrediente libertà il progresso è in verità la coazione, la necessità e infine la regressione barbarica9.
2.1.2. Oltre che inficiata di totalitarismo e di cattivo naturalismo...

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