1. Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente: è giĂ il titolo a fornire le tracce, che si tratterĂ di decifrare, per unâadeguata comprensione di questo libro, affascinante ma non facile.
1.1. Il sottotitolo â Frammenti filosofici â dĂ in primo luogo ragione della struttura non sistematica del testo: che si organizza in una tesi, in due excursus storico-intellettuali, in due capitoli, esemplificativi della tesi principale, sullâindustria culturale e sullâantisemitismo, e infine in una serie di appendici (Appunti e schizzi). Concentrata in un arco di tempo non troppo esteso è invece la composizione, a quattro mani: alla fine del 1942 esistono giĂ il primo capitolo, lâexcursus sullâOdissea, e lâabbozzo del capitolo sulla cultura di massa; del 1943 è la parte sullâantisemitismo. Il libro è stato pubblicato ciclostilato in America nel 1944 col titolo Philosophische Fragmente, e con poche aggiunte nel 1947 presso lâeditore Querido di Amsterdam, col titolo definitivo; è stato poi ristampato quasi invariato nel 1969 da Fischer a Francoforte1.
La struttura frammentaria e composita di Dialettica dellâilluminismo risponde poi a una necessitĂ âfilosoficaâ, cioè allâintento di cogliere il nucleo genetico delle principali categorie che strutturano il corso della civiltĂ occidentale, di quel âsistemaâ la cui caratteristica è tanto di costituire una âtotalitĂ â quanto di essere, al contempo, disarticolato in disiecta membra. TotalitĂ e crisi, unitĂ e lacerazione, sono lâoggetto di questi Frammenti filosofici, che non sono quindi una filosofia del frammento, ma una âteoria criticaâ della totalitĂ disgregata, come anche Minima moralia di Adorno â in pratica coevo a questo libro â non è unâetica minimalistica ma riflessioni sulla vita offesa e dispersa nella totalitĂ del dominio2.
La tensione tra frammentarietĂ e totalitĂ pertiene anche alla situazione storica e spirituale dei due autori. Horkheimer e Adorno nel loro esilio californiano â ultima tappa delle peregrinazioni, provocate dal nazismo, che hanno condotto i due principali esponenti dellâIstituto per la ricerca sociale da Francoforte prima a Ginevra, e poi a Londra, Parigi, New York, e infine a Los Angeles â vivono la contraddizione di essere filosofi tedeschi di origine ebraica, di cultura alto-borghese e di orientamento marxista, impegnati in varie ricerche empiriche commissionate loro dalle grandi fondazioni scientifiche statunitensi, che tuttavia vogliono dare testimonianza di un approccio al sociale e ai suoi problemi piĂş radicale di quello che la sociologia consente. Che sanno insomma di dover fare filosofia della societĂ , non solo di doverne descrivere i frammenti; di dovere criticare e dialettizzare le stesse categorie delle scienze sociali, per coglierne lâorigine unitaria3.
Nellâautointerpretazione della teoria critica come filosofia, ancorchĂŠ frammentaria, gioca cosĂ un ruolo decisivo anche il rifiuto esplicito di farsi validare o falsificare dallâempiria: anche se critica e spaesata, e non certo trionfalistica, la filosofia di Dialettica dellâilluminismo interpreta il reale non per adeguarvisi ma per ricondurlo alla sua veritĂ 4.
1.2. Per comprendere poi quale sia la filosofia che qui viene esposta è necessario chiedersi che cosa significhino i due termini del titolo vero e proprio, âilluminismoâ e âdialetticaâ.
A una prima approssimazione, âilluminismoâ vale qui non tanto nella sua accezione storica determinata, e neppure nel senso kantiano del ÂŤsapere aude!Âť, nĂŠ come lâuscita dellâuomo dalla colpevole minoritĂ della sua ignoranza, quanto, piĂş in generale, come logos, ratio, ovvero come pensiero razionalistico (definito anche âborgheseâ), sia nel suo versante âliberaleâ e positivistico sia, sebbene in misura diversa e con differenti modalitĂ , in quello dialettico. Quel pensiero â palesemente moderno, ma che Horkheimer e Adorno retrodatano a norma originaria della civiltĂ occidentale â di cui è portatore storico e idealtipico il soggetto (anchâesso giĂ da sempre âborgheseâ) impegnato a emanciparsi da ogni timore e autoritĂ esterna, e ad affermare la propria autonoma identitĂ razionale, la propria libertĂ . Mentre per âdialetticaâ si intende la contraddizione che a tale pensiero inerisce, senza che esso â in generale â se ne avveda. E il vero problema sta nel comprendere quale sia tale contraddizione, se essa sia superabile, e come e da chi, o se piuttosto infici irreparabilmente la ragione, il suo procedere e il suo telos.
2. Secondo Habermas, Dialettica dellâilluminismo presenta unâesposizione formalmente poco chiara, che non ne rende facilmente comprensibile lâandamento di pensiero5. Certo, balza allâocchio che questo testo esibisce un sistema argomentativo piĂş suggestivo che dimostrativo, e un linguaggio filosofico â splendidamente tradotto in italiano â piĂş carico di pathos assertorio che di analiticitĂ . E tuttavia è almeno evidente che lâintento del libro è di illuminare lâilluminismo su se stesso, e che il metodo è di controinterpretarne lâautointerpretazione, di comprendere e criticare la sua autonarrazione allâinterno di unâaltra, piĂş radicale. Questa comprensione critica sarĂ qui esposta dapprima in forma di âtesiâ, che poi verranno contestualizzate e approfondite.
2.1. Alla narrazione che la ragione illuministica fa di se stessa come di una lotta contro il mito, al compimento della quale câè il soggetto emancipato e finalmente in possesso della propria libera identitĂ razionale, Horkheimer e Adorno oppongono che lâantitesi fra mito e illuminismo è in realtĂ una complicitĂ segreta. Il mito è infatti, per loro, una forma di superamento della magia; questa, certo, era ÂŤfalsitĂ sanguinosaÂť, ed esprimeva anchâessa il desiderio dellâuomo di dominare la natura, e tuttavia operava in mimesi con lâoggetto, del quale rispettava, in qualche modo, le qualitĂ e la singolaritĂ , realizzando quindi, sulla natura, un dominio episodico e asistematico6.
Lâimpulso allâautoconservazione e al soddisfacimento che inerisce a ogni singolo individuo concreto â un impulso che gli autori riconoscono, nella sua materialitĂ , come positivo â assume giĂ nel mito un tratto che, rispetto alla magia, è illuministico, perchĂŠ il mito è impegnato a eliminare radicalmente la paura davanti alla natura, attraverso la spiegazione, lâErklären. Il mito è giĂ teoria, perchĂŠ costituisce lâunitĂ dello Spirito astratto allâinterno della quale sussume lâunitĂ â altrettanto astrattamente costituita â della natura; gli dei del mito preparano le essenze separate, gli universali, del logos. Nel livello della vera e propria filosofia, quindi, è a maggior ragione inevitabile che il soggetto pervenga alla propria identitĂ solo affidandosi al linguaggio della ratio, allo Spirito che razionalizza la natura distinguendo tanto fra soggetto e oggetto quanto fra essenza universale e fenomeno particolare. Ma queste distinzioni tolgono via le differenze qualitative nellâidentitĂ universale della ragione; quello che era il dominio immediato della magia è divenuto un dominio â Herrschaft (termine che in contesti weberiani è stato reso con âpotereâ, e che in ambito francofortese si traduce appunto con âdominioâ, mentre propriamente vale âsignoriaâ) â che si esprime nella mediazione (Vermittlung) razionale e nella sua universale capacitĂ di omologazione. Certo, il dominio del soggetto sullâoggetto è fondato sulla separazione fra nome e cosa, che a sua volta deriva dal distacco del padrone (Herr) dalla cosa, reso possibile dallâinterposizione del servitore; quindi il dominio ha unâorigine materiale, strutturale. Eppure, il tema centrale di Dialettica dellâilluminismo è che la potenza del dominio, nonostante questo abbia una base materiale, è nellâautonomia e universalitĂ logica di una sovrastruttura che si riproduce in ogni tempo e in ogni struttura produttiva7.
Quindi, lâindividuazione del singolo si dĂ solo nellâidentificazione autoritaria con la logica del potere: e il potere del soggetto sullâoggetto è pagato con la sottomissione di entrambi al potere universale, al sistema del dominio, del quale non sono che funzioni. GiĂ nel mito, e poi con ancora maggiore potenza e chiarezza nel logos, è insomma chiaro a Horkheimer e Adorno che soggetto e oggetto, e il loro rapporto di mediazione, possono darsi soltanto allâinterno di un orizzonte che è lâuniversalitĂ del dominio. Ma allora tanto il rapporto soggetto/oggetto quanto il rapporto fra singoli soggetti allâinterno della ratio e del dominio possono essere solo uno scambio di equivalenti, allâinsegna della cattiva uguaglianza, cioè dellâuguale fungibilitĂ , per il dominio, degli enti privati delle loro qualitĂ : ÂŤil prezzo dellâidentitĂ di tutto con tutto è che nulla può essere identico con se stessoÂť. Lâuniversale, quindi, implica giĂ quel Tutto che è Falso: âtotalitĂ â è il fatto che lâorizzonte universale della mediazione è logicamente inclusivo (non lascia spazio a nulla che non possa essere mediato, compreso in concetto) e insuperabile (se non vi fosse, non vi sarebbero soggetto e oggetto), che è cioè un trascendentale che struttura, costituisce e condiziona la storia, le istituzioni, le forme produttive e della cultura. Il lato totalitario dellâilluminismo è che â come risulta chiaro nel positivismo â esso consiste in una tautologica autoaffermazione8.
2.1.1. Nellâilluminismo non câè solo la contraddizione originaria per cui il soggetto perde â nella totalitĂ â la propria identitĂ precisamente quando la raggiunge: unâaltra aporia è quella che Horkheimer e Adorno constatano a proposito del rapporto fra logos e natura, che nellâautocomprensione dellâilluminismo è di esclusione, e invece è per loro di perversa co-implicazione. La prima forma di conoscenza attraverso la quale il soggetto vuole affermare se stesso e sottrarsi al mondo naturale delle potenze ostili per controllarlo è il rito sacrificale, il lato âoperativoâ del mito. E il rito, per gli autori, è violenza controllata e calcolante contro la natura. Lâorigine del pensiero non sta, pertanto, nellâuscita dalla natura â come lâilluminismo proclama â; piuttosto, il pensiero porta dentro di sĂŠ la natura negata, come una colpa rimossa che dĂ origine a una sorta di inconscia ma potente coazione, nel soggetto razionale, a negare la natura fuori di sĂŠ e dentro di sĂŠ: ma tale negazione coatta è anche unâinconscia e paradossale riproposizione della natura. Infatti, mentre il mito e il rito, e poi lâilluminismo, intendono negare la natura, per renderla uguale allo Spirito, proprio in questo artificio razionale continuano ad agire le forze della natura, sia perchĂŠ lâilluminismo fa paradossalmente ricorso alla nozione di âlegalitĂ naturaleâ sia perchĂŠ lo Spirito, la forma universale del logos, si presenta come un destino, tanto ânaturaleâ ed estraneo allâumanitĂ quanto le originarie potenze minacciose e irrazionali della natura: cosĂ, ÂŤogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura cade tanto piĂş profondamente nella coazione naturaleÂť. Lâuscita dallo stato di natura è dunque per lâilluminismo necessaria e impossibile: lâilluminismo si allontana dallâorigine â dalla natura â senza allontanarsene veramente, anzi, portandosela dentro come fatale opacitĂ ; la natura è sconfitta, eppure è vincitrice perchĂŠ lo Spirito, che si presenta come soppressione della natura, sopprime naturalmente â nel proprio procedere â il soggetto e infine se stesso. Ă questa la barbarie che fin dallâorigine abita nellâilluminismo. E se il progresso dello Spirito non è altro che lâautomatismo coatto delle dinamiche del dominio, allora anzichĂŠ la progrediente libertĂ il progresso è in veritĂ la coazione, la necessitĂ e infine la regressione barbarica9.
2.1.2. Oltre che inficiata di totalitarismo e di cattivo naturalismo...