Antologia di Spoon River
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Antologia di Spoon River

Edgar Lee Masters, Fernanda Pivano

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Antologia di Spoon River

Edgar Lee Masters, Fernanda Pivano

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L' Antologia di Spoon River è stata pubblicata per la prima volta da Einaudi nel 1943, tradotta da Fernanda Pivano e scoperta da Cesare Pavese. Da allora sono state fatte innumerevoli edizioni; il numero di copie vendute, da autentico bestseller, è straordinario, soprattutto se si tiene conto del fatto che si tratta di un libro di poesia, tradotto per di piú da un'altra lingua. Dal libro sono stati tratti dischi, riduzioni teatrali, musicali, radiofoniche, televisive. E intere generazioni l'hanno scelto come testo da leggere e come oggetto di studio. Con tre scritti di Cesare Pavese e una nota introduttiva di Guido Davico Bonino. In appendice un'intervista a Fernanda Pivano.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2017
ISBN
9788858425862
Subtopic
Poesia

Tre scritti di Cesare Pavese

I. Polemica antipuritana con ardore puritano1.
I pochi accenni che si sono fatti finora in Europa a questo libro rivelano il falso atteggiamento che, per tutte le cose del Nordamerica, da noi piace prendere. Persino Régis Michaud che, per quanto io sappia, è la persona al mondo che ha sinora meglio giudicato di quella letteratura, giunto nel suo Panorama2 al paragrafo Edgar Lee Masters (p. 188), fa intendere che la Spoon River Anthology è essenzialmente un’opera rappresentativa delle folle ingabbiate e livellate, refoulées, dal puritanesimo e dalla nuova civiltà degli Stati. Sarà poi meglio non rilevare (perché daremmo loro un’importanza che non meritano) ciò che del libro dicono certi corrispondenti italiani di laggiú, i quali hanno ridotto la Spoon River a un documento culturale etnico, specchio giornalistico di una civiltà, che, come ce la presentan loro, comincerebbe davvero a dar noia, da contrapporre – per tarparla – alla «bimillenaria tradizione nostra». Perché, quando due ragazzi litigano, è sicuro che, a corto di ragioni, vien fuori la gara: – Io sono il figlio del maresciallo. – E io, del capitano.
Tutti vi sapranno dire che il gran merito di Lee Masters è di aver cominciato, al suo paese, la descrizione realistica, spietata, della cittadina di provincia, del villaggio, puritani. Le date sono date: Spoon River, 1915, – Winesburg Ohio, 1919 – My Antonia e Main Street, 1920. Edgar Lee Masters batte quindi il record: è il padre dell’odierna letteratura; dopo di che, si passa a parlar d’altro.
Ora – lasciando stare che in America il villaggio era già stato passato al crogiolo da Hawthorne per lo meno nel 1846 – sarebbe, ai nostri occhi, un titolo ben magro per i nuovi scrittori, quello di aver per tutta novità rivolta l’attenzione a un loro ambiente locale, pieno di problemi locali e risolti questi ultimi in modi di vita locali. Ché, se poi vogliamo leggere sulla vita di provincia, sono anche troppi gli scrittori europei che ne han trattato.
Dov’è, dunque, il grande interesse di quei libri?
La verità mi pare anzitutto questa: che, se si prende Edgar Lee Masters, come vogliono, per un antipuritano, lo si riduce a un ben misero e trascurabile libellista. Sono già seccanti in casa propria, i problemi di questo genere. Vero che, come del resto in tutti i libri – americani o europei – che valgono qualcosa, c’è nella Spoon River un ambiente, un’esperienza, indigeni; un ricorrere di modi di vita e di tipi nazionali che, a ogni modesto frequentatore di cinema, saltano agli occhi come conoscenze vecchie. Ma questo non è che la schiettezza del libro, la sua diretta ispirazione dalla vita, la sua materia e, ripeto, tutti i libri di qualche valore piú o meno mostrano questa caratteristica.
Bisogna capire che, con questo sfondo nazionale, il fatto importante non sta nella polemica contro certi modi puritani (polemica, del resto, ridotta a ben poco nel libro) ma nell’ardore invece veramente da puritano con cui sono affrontati, oltre il particolare momento storico, il problema del senso dell’esistenza e il problema delle proprie azioni: ardore e problemi essenzialmente morali e di non lontano sapore biblico. Ché se poi nella ricerca qualche botta va alla struttura storica, puritanesca, del paese, questo può interessar molto gli americani che questa struttura se la vedono intorno e sentono addosso, ma poco noi, a meno che la poesia dell’autore non abbia mutata quella, che per gli indigeni e gli studiosi è una chiara allusione, in una figura che sia, non piú un semplice nome storico, ma una nuova creatura. E, per far questo, per riuscire in quest’opera di creazione – ch’io credo in gran parte compiuta – mi pare persin banale dire che l’autore ha dovuto amare il suo ambiente, godersi i propri personaggi, sentirli nascere nel suo spirito.
Sono rarissime le caricature polemiche in Lee Masters. L’ardore di ognuna delle centinaia di anime sepolte in Spoon River si è fatto il suo ardore, e veramente il poeta ci parla per la bocca di ognuna. Ha una tal serietà e sincerità, questa ricerca sempre rinnovata del valore dell’esistenza in articulo mortis, che, anche per Lee Masters, vien da ripetere quello che è ormai un luogo comune nella storia della cultura nordamericana: all’opposizione contro il puritanesimo ci sono sempre stati i piú grandi puritani.
La Spoon River Anthology, uscita a pezzo a pezzo su un settimanale del Middle West3, è un gran corpo di epigrafi sepolcrali poste sulle labbra, secondo il buon gusto classico, ai morti stessi, di un villaggetto tipico nordamericano, Spoon River. Naturalmente vien subito da pensare che ci sia qui un influsso dell’Antologia Palatina. E, a parte lo spirito che, in quegli addii ellenistici alla vita, di vergini, di naviganti, di cortigiane, di guerrieri, di filosofi, di contadini e di poeti, è un tenero o stoico rimpianto per la luce del sole – mentre vedremo tutta la complessa modernità e trascendenza delle aspirazioni di Spoon River – a parte lo spirito, non è impossibile che Lee Master da quegli epigrammi abbia tratta l’idea formale del suo libro: il titolo e lo stampo dell’epigrafe, rapida, sentenziosa, classica. Ma anche in ciò abbiamo un rinnovamento: la forma, pur serbando il verso, ignora la rimá e il ritmo. Questo ha cominciato a dar nel naso a molti: han trovato che cosí vien fuori uno stile odiosamente prosaico. È inutile discutere: se uno non sente da sé la solennità tragica e definitiva di quelle poche frasi, poste a concludere una vita, in un verseggiare cosí sobrio e pacato, che ha semplicemente l’ufficio di segnare il pensiero, dubito che qualunque discorso lo possa mai educare.
Prendiamo quest’epigrafe:
FRANCIS TURNER
Non potevo correre o giocare
da ragazzo.
Da uomo non potevo che centellinare,
non bere –
perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Eppure giaccio qui
carezzato da un segreto che soltanto Maria conosce:
c’è un giardino d’acace,
di catalpe, di pergole coperte di viti –
là in quel pomeriggio di giugno
al fianco di Maria –
baciandola coll’anima sulle labbra
l’anima d’improvviso mi è fuggita.
Qui le pause non sono arbitrarie. Le prime martellano appunto perché esprimono il ritorno beffardo di quel destino. E quando un pensiero, come nel quinto verso, non ha ragione di venir spezzato, l’autore non si fa scrupolo di scriverlo tutto di seguito. E si osservi poi, ancora, l’importanza della pausa di brevità nel verso «al fianco di Maria» che fa tenere il fiato per il volo che segue.
Riprendendo, invece, l’altro appunto, ben piú serio, che da un po’ di tempo sotto forma di lode imperversa in America, i morti di Spoon River sarebbero dei refoulées di quella civiltà, che polemizzano scoprendo le loro piaghe segrete. E qui, attaccano subito i nostri giornalisti: un’umanità da manicomio, ecco che cosa ci sa proporre l’America! ma la bimillenaria...
Sentite quest’uomo se vi pare un refoulé:
JACK IL CIECO
Avevo suonato tutto il giorno alla fiera
ma, guidando a casa, Butch Weldy e Jack Mc-Guire
che erano bell’e sbronzi, mi fecero suonare e suonare
al canto di Susie Skinner, frustando i cavalli
finché quelli scapparono.
Cieco com’ero, cercai di saltar giú
mentre il carretto cadeva nel fossato,
e venni preso nelle ruote e ucciso.
C’è un cieco qui che ha una fronte
grossa e bianca come una nuvola.
E noi tutti, suonatori, dai piú grandi ai piú umili,
compositori di musica e narratori di storie,
sediamo ai suoi piedi
e lo ascoltiamo cantare della caduta di Troi...

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