Il mondo in cucina
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Il mondo in cucina

Storia, identità, scambi

Massimo Montanari, Fausta Cataldi Villari, Arianna Maiorani, Gian Andrea Tabacchi

  1. 216 pages
  2. Italian
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Il mondo in cucina

Storia, identità, scambi

Massimo Montanari, Fausta Cataldi Villari, Arianna Maiorani, Gian Andrea Tabacchi

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Più ancora della parola, il cibo si presta a mediare fra culture diverse, aprendosi a ogni sorta di invenzioni, incroci e contaminazioni. In questo volume, storici, antropologi, sociologi raccontano il ruolo della cucina come strumento di identità e come veicolo e prodotto dello scambio culturale.

Il mondo in cucina indaga i flussi di idee, prodotti, uomini che attraverso le diverse età e in tutti i continenti hanno influenzato la costruzione di identità culinarie. Riservando sorprese che mettono in discussione semplificazioni e stereotipi. Paolo Denicolai, "L'Indice"

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Information

Year
2015
ISBN
9788858121412
Topic
Art

Il Mediterraneo, crogiuolo di tradizioni alimentari.
Il lascito islamico alla cucina catalana medievale

di Antoni Riera-Melis

1. Introduzione

Il bacino mediterraneo è un’ampia depressione circondata da montagne, con strette pianure litorali dove prevale un suolo scarsamente poderoso e poco fertile; uno spazio più favorevole alla pastorizia transumante che all’agricoltura permanente dei terreni1. Tre grandi penisole e un insieme di isole dividono in compartimenti le sue acque e facilitano la navigazione, la pesca e il commercio2. Fin dal Neolitico, le rive del Mediterraneo hanno costituito la meta di numerose migrazioni. Popoli provenienti dall’Asia, dall’Africa e dall’Europa ne hanno forzato le frontiere e si sono insediati fra le comunità preesistenti, in cerca di condizioni di vita migliori: terreni più fertili per coloro che provenivano dai deserti africani e asiatici, un clima meno aspro per gli oriundi della Scandinavia e della Germania. Ogni gruppo, con il suo apporto culturale specifico, ha contribuito all’arricchimento comune. Sulle rive del vecchio mare hanno convissuto influenzandosi a vicenda lingue, religioni, strutture di parentela, sistemi alimentari, modelli politici, eccetera.
Non posso qui passare in rassegna tutti gli scambi culturali prodottisi nel Mediterraneo dal Neolitico fino ai nostri giorni; concentrerò la mia riflessione sull’epoca medievale.
Tra i secoli V e XV, il Mediterraneo conobbe numerose migrazioni tra le quali, per dimensione demografica e impronta culturale, si distinguono le migrazioni germaniche e l’espansione islamica.
Le radicate contraddizioni culturali che durante la tarda antichità avevano messo in opposizione Romani e Germani, all’inizio del V secolo, cominciarono a sgretolarsi in conseguenza di un complesso fenomeno di integrazione. L’insediamento dei Visigoti e degli Svevi in Hispania, degli Ostrogoti in Italia, dei Vandali nell’Africa Proconsolare, dei Franchi e dei Burgundi nella Gallia, degli Angli e dei Sassoni in Britannia fa sì che le due civiltà entrino in contatto diretto e che si intensifichino i trasferimenti dall’una all’altra. I cisalpini riscoprono i boschi e le zone incolte e i transdanubiani adottano una buona parte degli elementi della vecchia agricoltura mediterranea. Da questa sintesi nascono, tra le altre cose, un diverso rapporto delle comunità rurali con la natura, nonché un paesaggio e dei sistemi alimentari nuovi. La dietetica medievale, il cui primo rappresentante è Antimo3, conferisce un gran valore alla carne, al vino, al lardo e al formaggio e relega in secondo piano il pane, l’olio e la birra.
Poiché il fenomeno di integrazione dei Romani con i «barbari», dei cristiani con i pagani, è stato molto ben analizzato da Massimo Montanari4, dirigerò la mia attenzione su un altro grande processo di trasferimento culturale. Concentrerò la mia riflessione intorno al lascito culinario islamico, questione che suscita ancora importanti controversie, spesso derivate da impostazioni più ideologiche che scientifiche, da riflessi identitari di fronte alla globalizzazione economica e culturale. Esaminerò in parte il rinnovamento agricolo e alimentare cui i musulmani diedero impulso, tra il 700 e il 1250, nel Magreb, in al-Andalus e in Sicilia; in seguito analizzerò come alcune di queste piante si integrarono, durante il Basso Medioevo, nel modello delle coltivazioni e nelle diete dei catalani.

2. I contributi islamici alle cucine cristiane

Il lascito alimentare musulmano è ancora oggetto di opinioni discordanti tra gli specialisti, i quali non raggiungono un accordo nemmeno riguardo all’insieme di piante orientali che l’espansione islamica portò in Occidente. Le cucine medievali cristiana e musulmana, secondo alcuni storici5, condivisero numerose e importanti peculiarità:
Si possono distinguere tre caratteristiche principali, ognuna con elementi analoghi riscontrabili nella cucina araba medievale: l’uso dello zucchero come dolcificante, dello zafferano come colorante e una particolare importanza data alle spezie. Ci sono, inoltre, svariati altri elementi ricorrenti, tra i quali l’impiego dell’acqua di rose, di arance e limoni, di mandorle e melagrane, che scaturiscono dalle opere arabe ma giocano anche un ruolo relativamente minore nei testi europei6.
Altri autori tendono invece a minimizzare l’impronta islamica nella cucina occidentale, affermando che le differenze tra le due tradizioni alimentari sono molto più importanti delle coincidenze:
Quanto all’influenza araba, essa fu tardiva e limitata. Ovviamente non lo si può negare: certi piatti occidentali trovano incontestabilmente la loro origine nel repertorio culinario dei paesi dell’Islam [...]. Ed è anche certo che alcuni prodotti sono stati adottati in occidente a causa dell’influenza araba [...]. Ma ciò non significa che la cucina occidentale tragga le sue caratteristiche essenziali dalla cucina araba, vale a dire l’uso di numerose e svariate spezie, il gusto per l’aspro, la combinazione agro-dolce. Poiché le differenze sono molte7.
L’espansione islamica, integrando in una grande unità economica e culturale aree che possedevano tradizioni diversissime e che fino ad allora si erano evolute separatamente, creò tra l’India e la Penisola Iberica le condizioni per un profondo rinnovamento agrario, in cui i terreni irrigui giocarono un ruolo decisivo. Nei paesi islamici, con un certo anticipo rispetto al «mutamento feudale» europeo, il modello di coltivazione si ampliò, le tecniche si evolsero e le impostazioni di gestione si orientarono decisamente verso modelli di tipo intensivo e aperti al mercato. La «rivoluzione agraria» musulmana dell’Alto Medioevo ha avuto in A.M. Watson8 il suo massimo difensore. Il contributo di al-Andalus in questo processo è stato analizzato, tra...

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