Espulsi.
Se penso a un bambino, la prima cosa che mi viene in mente Ăš che dovrebbe crescere libero e sicuro. Libero di conoscere, sperimentare, muoversi e incontrare; ma nello stesso tempo protetto e accompagnato in questi percorsi da adulti in grado di trasmettere quella sicurezza che permetta di guardare il mondo in modo sereno e aperto. Le leggi razziali furono per lâinfanzia ebraica il ribaltamento di questi principĂź. Lo ha raccontato, con rara sensibilitĂ , Georges Perec:
Desideravo una medaglia e un giorno la ottenni. La maestra me lâappuntĂČ sul grembiulino. Allâuscita, per le scale, ci fu un parapiglia che si ripercosse di gradino in gradino e di bambino in bambino. Io ero a metĂ della scala e feci cadere una bambina. La maestra credette che lâavessi fatto di proposito, si precipitĂČ su di me e, nonostante le mie proteste, mi strappĂČ la medaglia.
Mi vedo scendere correndo per rue des Couronnes, in quel modo particolare di correre che hanno i bambini, ma sento ancora fisicamente quella spinta sulla schiena, prova inconfutabile dellâingiustizia, e la sensazione cinestetica di una perdita dâequilibrio causata da altri, arrivata dallâalto e ricaduta su di me, Ăš rimasta cosĂ fortemente impressa nel mio corpo che mi domando se quel ricordo in realtĂ non nasconda il suo esatto contrario: non il ricordo di una medaglia strappata, bensĂ quello di una stella appuntata1.
Le leggi razziali furono innanzitutto unâidentitĂ imposta, sconosciuta e incomprensibile, non perchĂ© ebraica ma perchĂ© fondata sulla colpa. I bambini furono espulsi dalla scuola e da tutti gli spazi pubblici, esclusi e separati dai coetanei, costretti in una dimensione privata che aveva i confini di una gabbia, immobilizzati in una quotidianitĂ che riproduceva tempi e ritmi che non appartengono allâinfanzia e ai quali, per molto tempo, questa dovette adattarsi. Quellâimposizione fu perĂČ solo una parte del ribaltamento, perchĂ© si accompagnĂČ alla distruzione progressiva quanto inesorabile del mondo conosciuto. Guido Lopez, che aveva quattordici anni, si vide «improvvisamente frantumato» quando venne espulso dalla scuola2. Era la sicurezza di una vita, che un bambino non mette in discussione, che da un giorno allâaltro iniziĂČ a sgretolarsi: nei volti dei genitori e nei loro sempre piĂș indecisi comportamenti, nel modificarsi delle relazioni e dei gesti, nelle ombre che accompagnavano le giornate prima luminose.
Tutto cominciĂČ dalla scuola, e non fu affatto casuale. Lâinizio delle lezioni venne fissato, nel 1938, il 17 ottobre3. Quel giorno â invitava una circolare emanata il 30 settembre dal ministro dellâEducazione, Giuseppe Bottai â si sarebbero svolte cerimonie ai sacrari dei caduti della «rivoluzione fascista», alle quali avrebbero partecipato i provveditori delle province. Nelle singole classi gli insegnanti, insieme agli alunni e a una rappresentanza delle famiglie, avrebbero assistito al discorso del capo dâistituto. Il ministro si preoccupĂČ di suggerire i temi da affrontare e non volle far mancare un riferimento alla razza:
Ad alti fini della Scuola fascista ho accennato. Sono essi quelli stessi che la Rivoluzione persegue nei riguardi di tutto il popolo italiano, riportandolo, libero da intrusioni e da scorie alla espressione genuina delle sue essenziali tendenze, e rendendolo sempre piĂș unito e compatto, per razza e tradizione, per volontĂ e per ideali, attorno al suo Duce4.
Tra gli alunni, inquadrati nella GioventĂș italiana del Littorio, attenti ad ascoltare le parole dei capi dâistituto, non vi furono bambini e ragazzi ebrei. La sera precedente, in una conversazione radiofonica, Bottai aveva voluto sottolineare come dallâinizio dellâanno la scuola avesse
[...] giĂ predisposto i suoi quadri, sceverandone e separandone gli elementi razzialmente estranei [...] La Scuola italiana agli italiani, sâĂš detto. Gli ebrei avranno, nellâambito dello Stato, la loro scuola, glâitaliani la loro.
Parole che sembravano annunciare la perdita della cittadinanza ma che per il momento individuavano un percorso di netta separazione. Il ministro volle ribadire il concetto:
La Scuola non ha dubbi. [...] La sua separazione dagli ebrei Ú, letteralmente e sostanzialmente, una separazione. Non vuol essere né una persecuzione, né una mortificazione. Separa principß, idee, pensieri, filosofie, sistemi, metodi, ideologie5.
Separava innanzitutto persone, e di ciĂČ Bottai aveva assoluta consapevolezza, come aveva scritto nel suo diario alla data del 2 settembre 1938, dichiarando di presentare in Consiglio dei ministri i provvedimenti per la difesa della razza nella scuola italiana «con una tal quale commozione, non so se piĂș per la âcacciataâ dei docenti attuali o per la permanente interdizione della scuola di stato agli ebrei, anche alunni»6.
La mattina dopo Cesare Finzi camminava tranquillamente, con la spensieratezza dei suoi otto anni, nella stradina del paese di Folgaria, in Trentino, dove stava trascorrendo le vacanze con i genitori. Il padre gli aveva dato il compito di acquistare il «Corriere Padano», il giornale di Ferrara, dove abitava la famiglia Finzi. Ma i quotidiani locali non arrivavano fino a Folgaria, cosĂ Cesare comprĂČ il «Corriere della Sera». Un grande titolo in prima pagina informava che insegnanti e studenti ebrei erano esclusi dalle scuole pubbliche:
Capisco subito che la cosa riguarda anche me: a ottobre dovrei frequentare la quarta elementare presso la scuola pubblica Umberto I di Ferrara. Cosa significano queste parole? Non potrĂČ piĂș andare a scuola? PerchĂ©? Certo, sono ebreo, ma che differenza câĂš fra me e gli altri bambini? E se anche ci fosse una differenza, perchĂ© non dovrei piĂș andare a scuola? A dire il vero, non sono mai stato uno scolaro brillante nĂ© ho mai avuto un amore particolare per la scuola, ma veramente non mi sarĂ piĂș permesso andarci?7
Se nei primi sei mesi del 1938 vi erano stati segnali sempre meno equivocabili, nel corso dellâestate si era determinata unâaccelerazione in termini di interventi, prese di posizione e documenti pubblici che, per quanto riguardava i bambini ebrei, culminarono nel Regio decreto legge 1390, del 5 settembre 1938, sui Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, nel quale, allâarticolo 2 si deliberava: «Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica». Quel decreto venne poi integrato dai successivi del 23 settembre 1938, n. 1630, sullâIstituzione di scuole elementari per fanciulli di razza ebraica e del 15 novembre 1938, n. 1779, sullâIntegrazione e coordinamento in un unico testo delle norme giĂ emanate per la difesa della razza nella scuola italiana. Tutto fu accompagnato da circolari applicative del ministro, tanto odiose quanto capillari, cosĂ che appare del tutto condivisibile il giudizio per cui «i ministri succedutisi alla guida dei dicasteri dellâEducazione nazionale e della Cultura popolare (in particolare Giuseppe Bottai e Dino Alfieri) realizzarono negli ambiti di loro competenza unâarianizzazione che puĂČ essere definita totalitaria»8.
La prima presa di posizione ufficiale del fascismo e di Mussolini fu il testo dellâ«Informazione diplomatica» n. 14 del 16 febbraio 1938. In quella nota â che come le precedenti e le successive aveva la funzione di far conoscere lâopinione del regime su determinate questioni internazionali â, dopo aver escluso misure di ogni genere contro gli ebrei, alla fine era scritto:
Il Governo si riserva tuttavia di vigilare sullâattivitĂ degli ebrei venuti di recente nel nostro paese e di far sĂ che la parte degli ebrei nella vita complessiva della Nazione non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e allâimportanza numerica della loro comunitĂ 9.
Un ebreo ogni mille italiani â cosĂ come verrĂ esplicitamente detto nellâ«Informazione diplomatica» n. 18 del 5 agosto 1938 â era la misura del peso che essi dovevano avere. Quella cornice, tuttavia, aveva giĂ trovato i suoi contenuti nel documento Il fascismo e i problemi della razza, noto altrimenti come «Manifesto degli scienziati razzisti» del 13 luglio 1938. Nel solco del piĂș tradizionale razzismo, ma rafforzato da una forte caratterizzazione biologica, il documento definiva la diversitĂ degli ebrei e dichiarava la necessitĂ della separazione: il punto 9 recitava che «gli ebrei non appartengono alla razza italiana», sostenendo altresĂ che essi «rappresentano lâunica popolazione che non si Ăš mai assimilata in Italia perchĂ© essa Ăš costituita da elementi razziali non europei»; il punto 10 affermava che «i caratteri fisici e psicologici europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo», e che perciĂČ lâunione era ammissibile solo nellâambito delle razze europee. Il 25 luglio il Partito nazionale fascista emise un comunicato nel quale riprese e certificĂČ ufficialmente i contenuti del manifesto. Nel mese di agosto fu annunciata e poi svolta una rilevazione degli ebrei italiani e stranieri residenti nel Regno. I dati disponibili erano assai imprecisi, non aggiornati, e nel complesso risultĂČ che erano presenti in Italia circa 47 000 ebrei di cui poco meno di 10 000 stranieri.
Conseguenza quasi naturale di tali ragionamenti e azioni concrete fu che gli ebrei dovevano essere esclusi innanzitutto dalle istituzioni, dai luoghi delle decisioni, della formazione dellâopinione pubblica, della cultura. A pochi giorni dalla pubblicazione del «Manifesto degli scienziati razzisti», il 19 luglio Bottai annotava nel diario: «Mussolini ci Ă preannunziato, nei confronti degli ebrei, soluzioni graduali, tendenti a escluderli dallâesercito, dalla magistratura, dalla scuola»10. Sebbene, nel corso delle settimane successive, non sarebbero mancati ripensamenti da parte del duce, la strada era tracciata. Come avrebbe scritto in seguito un commentatore fascista:
Affermatasi la determinazione di attuare una energica difesa della razza italiana, allo scopo di mantenerne integre le particolari caratteristiche fisiche e spirituali, era logico che il primo settore nel quale si doveva operare fosse quello dellâeducazione nazionale: settore quanto mai delicato, perchĂ© la Scuola, nellâattuare il compito, ad ...