Arlecchino servitore di due padroni
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Arlecchino servitore di due padroni

Carlo Goldoni

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Arlecchino servitore di due padroni

Carlo Goldoni

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"Arlecchino servitore di due padroni", è una celebre commedia di Carlo Goldoni, scritta dall'autore veneto nel 1745. In piena sintonia con la tradizione della Commedia dell'Arte, Goldoni scrisse l'opera in forma di canovaccio in funzione di Antonio Sacco, il quale, secondo l'usanza del tempo, recitava improvvisando. Con successive riscritture, l'opera si dotò di un copione steso per intero, così come voleva la graduale riforma del suo autore. Carlo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793) è stato un commediografo, scrittore, librettista e avvocato italiano, cittadino della Repubblica di Venezia. Goldoni è considerato uno dei padri della commedia moderna e deve parte della sua fama anche alle opere in lingua veneta.

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Informations

Éditeur
Passerino
Année
2019
ISBN
9788834148419

Atto Secondo


SCENA PRIMA

Cortile in casa di Pantalone
Silvio e il Dottore.
SILVIO Signor padre, vi prego lasciarmi stare.
DOTTORE Fermati; rispondimi un poco.
SILVIO Sono fuori di me.
DOTTORE Per qual motivo sei tu venuto nel cortile del signor Pantalone?
SILVIO Perché voglio, o che egli mi mantenga quella parola che mi ha dato, o che mi renda conto del gravissimo affronto.
DOTTORE Ma questa Ăš una cosa che non conviene farla nella propria casa di Pantalone. Tu sei un pazzo a lasciarti trasportar dalla collera.
SILVIO Chi tratta male con noi, non merita alcun rispetto.
DOTTORE È vero, ma non per questo si ha da precipitare. Lascia fare a me, Silvio mio, lascia un po' ch'io gli parli; puĂČ essere ch'io lo illumini e gli faccia conoscere il suo dovere. Ritirati in qualche loco, e aspettami; esci di questo cortile, non facciamo scene. AspetterĂČ io il signor Pantalone.
SILVIO Ma io, signor padre...
DOTTORE Ma io, signor figliuolo, voglio poi esser obbedito.
SILVIO SĂŹ, v'obbedirĂČ. Me n'anderĂČ. Parlategli. Vi aspetto dallo speziale. Ma se il signor Pantalone persiste, avrĂ  che fare con me ( parte).


SCENA SECONDA

Il Dottore, poi Pantalone.
DOTTORE Povero figliuolo, lo compatisco. Non doveva mai il signor Pantalone lusingarlo a tal segno, prima di essere certo della morte del torinese. Vorrei pure vederlo quieto, e non vorrei che la collera me lo facesse precipitare.
PANTALONE (Cossa fa el Dottor in casa mia?).
DOTTORE Oh, signor Pantalone, vi riverisco.
PANTALONE Schiavo, sior Dottor. Giusto adesso vegniva a cercar de vu e de vostro fio.
DOTTORE SĂŹ? Bravo, m'immagino che dovevate venir in traccia di noi, per assicurarci che la signora Clarice sarĂ  moglie di Silvio.
PANTALONE Anzi vegniva per dirve... ( mostrando difficoltĂ  di parlare).
DOTTORE No, non c'Ăš bisogno di altre giustificazioni. Compatisco il caso in cui vi siete trovato. Tutto vi si passa in grazia della buona amicizia.
PANTALONE Seguro, che considerando la promessa fatta a sior Federigo... ( titubando, come sopra).
DOTTORE E colto all'improvviso da lui, non avete avuto tempo a riflettere; e non avete pensato all'affronto che si faceva alla nostra casa.
PANTALONE No se pol dir affronto, quando con un altro contratto...
DOTTORE So che cosa volete dire. Pareva a prima vista che la promessa col turinese fosse indissolubile, perché stipulata per via di contratto. Ma quello era un contratto seguito fra voi e lui; e il nostro Ú confermato dalla fanciulla.
PANTALONE XĂš vero; ma...
DOTTORE E sapete bene che in materia di matrimoni: Consensus et non concubitus facit virum.
PANTALONE Mi no so de latin; ma ve digo...
DOTTORE E le ragazze non bisogna sacrificarle.
PANTALONE Aveu altro da dir?
DOTTORE Per me ho detto.
PANTALONE Aveu fenio?
DOTTORE Ho finito.
PANTALONE Possio parlar?
DOTTORE Parlate.
PANTALONE Sior dottor caro, con tutta la vostra dottrina...
DOTTORE Circa alla dote ci aggiusteremo. Poco piĂč, poco meno, non guarderĂČ.
PANTALONE Semo da capo. Voleu lassarme parlar?
DOTTORE Parlate.
PANTALONE Ve digo che la vostra dottrina xĂš bella e bona; ma in sto caso no la conclude.
DOTTORE E voi comporterete che segua un tal matrimonio?
PANTALONE Per mi giera impegnĂ , che no me podeva cavar. Mia fia xĂš contenta; che difficoltĂ  possio aver? Vegniva a posta a cercar de vu o de sior Silvio, per dirve sta cossa. La me despiase assae, ma non ghe vedo remedio.
DOTTORE Non mi maraviglio della vostra figliuola; mi maraviglio di voi, che trattiate si malamente con me. Se non eravate sicuro della morte del signor Federigo, non avevate a impegnarvi col mio figliuolo; e se con lui vi siete impegnato, avete a mantener la parola a costo di tutto. La nuova della morte di Federigo giustificava bastantemente, anche presso di lui, la vostra nuova risoluzione, né poteva egli rimproverarvi, né aveva luogo a pretendere veruna soddisfazione. Gli sponsali contratti questa mattina fra la signora Clarice ed il mio figliuolo coram testibus non potevano essere sciolti da una semplice parola data da voi ad un altro. Mi darebbe l'animo colle ragioni di mio figliuolo render nullo ogni nuovo contratto, e obbligar vostra figlia a prenderlo per marito; ma mi vergognerei d'avere in casa mia una nuora di cosÏ poca riputazione, una figlia di un uomo senza parola, come voi siete. Signor Pantalone, ricordatevi che l'avete fatta a me, che l'avete fatta alla casa Lombardi verrà il tempo che forse me la dovrete pagare: sÏ, verrà il tempo: omnia tempus habent ( parte).


SCENA TERZA

Pantalone, poi Silvio.
PANTALONE AndĂš, che ve mando. No me n'importa un figo, e no gh'ho paura de vu. Stimo piĂč la casa Rasponi de cento case Lombardi. Un fio unico e ricco de sta qualitĂ  se stenta a trovarlo. L'ha da esser cussĂŹ.
SILVIO (Ha bel dire mio padre. Chi si puĂČ tenere, si tenga).
PANTALONE (Adesso, alla segonda de cambio) ( vedendo Silvio).
SILVIO Schiavo suo, signore ( bruscamente).
PANTALONE Patron reverito. ( La ghe fuma).
SILVIO Ho inteso da mio padre un certo non so che; crediamo poi che sia la veritĂ ?
PANTALONE Co ghe l'ha dito so sior padre, sarĂ  vero.
SILVIO Sono dunque stabiliti gli sponsali della signora Clarice col signor Federigo?
PANTALONE Sior sĂŹ, stabiliti e conclusi.
SILVIO Mi maraviglio che me lo diciate con tanta temeritĂ . Uomo senza parola, senza riputazione.
PANTALONE Come parlela, padron? Co un omo vecchio della mia sorte la tratta cussĂŹ?
SILVIO Non so chi mi tenga, che non vi passi da parte a parte.
PANTALONE No son miga una rana, padron. In casa mia se vien a far ste bulae?
SILVIO Venite fuori di questa casa.
PANTALONE Me maraveggio de ella, sior.
SILVIO Fuori, se siete un uomo d'onore.
PANTALONE Ai omeni della mia sorte se ghe porta respetto.
SILVIO Siete un vile, un codardo, un plebeo.
PANTALONE SĂš un tocco de temerario.
SILVIO Eh, giuro al Cielo... ( mette mano alla spada).
PANTALONE Agiuto ( mette mano al pistolese).


SCENA QUARTA

Beatrice colla spada alla mano, e detti.
BEATRICE Eccomi; sono io in vostra difesa ( a Pantalone, e rivolta la spada contro Silvio).
PANTALONE Sior zenero, me raccomando ( a Beatrice).
SILVIO Con te per l'appunto desideravo di battermi ( a Beatrice).
BEATRICE (Son nell'impegno).
SILVIO Rivolgi a me quella spada ( a Beatrice).
PANTALONE Ah, sior zenero... ( timoroso).
BEATRICE Non Ăš la prima volta che io mi sia cimentato. Son qui, non ho timore di voi ( presenta la spada a Silvio).
PANTALONE Aiuto. No gh'Ăš nissun? ( Parte correndo verso la strada). Beatrice e Silvio si battono. Silvio cade e lascia la spada in terra, e Beatrice gli presenta la punta al petto.


SCENA QUINTA

Clarice e detti.
CLARICE OimĂš! Fermate ( a Beatrice).
BEATRICE Bella Clarice, in grazia vostra dono a Silvio la vita; e voi, in ricompensa della mia pietĂ , ricordatevi del giuramento ( parte).


SCENA SESTA

Silvio e Clarice.
CLARICE Siete salvo o mio caro?
SILVIO Ah, perfida ingannatrice! Caro a Silvio? Caro ad un amante schernito, ad uno sposo tradito?
CLARICE No, Silvio, non merito i vostri rimproveri. V'amo, v'adoro, vi son fedele.
SILVIO Ah menzognera! Mi sei fedele, eh? FedeltĂ  chiami prometter fede ad un altro amante?
CLARICE CiĂČ non feci, ne farĂČ mai. MorirĂČ, prima d'abbandonarvi.
SILVIO Sento che vi ha impegnato con un giuramento.
CLARICE Il giuramento non mi obbliga ad isposarlo.
SILVIO Che cosa dunque giuraste?
CLARICE Caro Silvio, compatitemi, non posso dirlo.
SILVIO Per qual ragione?
CLARICE Perché giurai di tacere.
SILVIO Segno dunque che siete colpevole.
CLARICE No, sono innocente.
SILVIO Gl'innocenti non tacciono.
CLARICE Eppure questa volta rea mi farei parlando.
SILVIO Questo silenzio a chi l'avete giurato?
CLARICE A Federigo.
SILVIO E con tanto zelo l'osserverete?
CLARICE L'osserverĂČ per non divenire spergiura.
SILVIO E dite di non amarlo? Semplice chi vi crede. Non vi credo io giĂ , barbara, ingannatrice! Toglietevi dagli occhi miei.
CLARICE Se non vi amassi, non sarei corsa qui a precipizio per difendere la vostra vita.
SILVIO Odio anche la vita, se ho da riconoscerla da un'ingrata.
CLARICE Vi amo con tutto il cuore.
SILVIO Vi aborrisco con tutta l'anima.
CLARICE MorirĂČ, se non vi placate.
SILVIO Vedrei il vostro sangue piĂč volentieri della infedeltĂ  vostra.
CLARICE SaprĂČ soddisfarvi ( toglie la spada di terra).
SILVIO SĂŹ, quella spada potrebbe vendicare i miei torti.
CLARICE CosĂŹ barbaro colla vostra Clarice?
SILVIO Voi mi avete insegnata la crudeltĂ .
CLARICE Dunque bramate la morte mia?
SILVIO Io non so dire che cosa brami.
CLARICE Vi saprĂČ compiacere ( volta la punta al proprio seno).


SCENA SETTIMA

Smeraldina e detti.
SMERALDINA Fermatevi; che diamine fate? ( leva la spada a Clarice). E voi, cane rinnegato, l'avreste lasciata morire? ( a Silvio). Che cuore avete di tigre, di leone, di diavolo? Guardate lĂŹ il bel suggettino, per cui le donne s'abbiano a sbudellare! Oh siete pur buona, signora padrona. Non vi vuole piĂč forse? Chi n...

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