Prevenzione del rischio sanitario
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Prevenzione del rischio sanitario

Introduzione all'analisi del rischio

Giovanna Marzo, Massimo Massimelli

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Prevenzione del rischio sanitario

Introduzione all'analisi del rischio

Giovanna Marzo, Massimo Massimelli

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Il volume è una trattazione di avvio per chi si accosta alle tematiche del rischio sanitario, oppure per chi – già esperto quale amministratore, dirigente, operatore sanitario – avverta l’utilità di una chiara e organica visione di sintesi.
Esso offre un inquadramento d’insieme su rischi sanitari, rischi giuridici, fattori causali e predisponenti, monitoraggio e prevenzione, valori in gioco e prospettive.
La trattazione è seguita da una estesa Appendice che include modelli concettuali e il vocabolario analitico ragionato.
L’opera risponde alla diffusa esigenza di orientamento in una rete vieppiù complessa, soprattutto per il diffondersi di terminologie differenziate e talvolta “babeliche”.
Un sapere importante, elaborato in prevalenza da studiosi e tecnici di area medica, viene percorso, qui, ripensandone parole e concetti tramite un filtro di sensibilità giuridica; in particolare, è innovativa la trattazione dei rischi giuridici, già presenti da tempo con disagi ben noti, ma che oggi, ancor più, costituiscono l’ulteriore imponente frontiera per un vincente impegno prevenzionale. Giovanna Marzo è professore aggregato di Diritto Privato (Responsabilità civile: Responsabilità sanitaria) presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino; è avvocato cassazionista con ampia esperienza sia nella difesa di strutture ed operatori sanitari sia nell’attività di consulenza a strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private; è Presidente della Associazione Auxilia Iuris, ente accreditato Agenas per la formazione in campo giuridico-sanitario per il territorio nazionale.
Massimo Massimelli è medico legale libero professionista. Estese esperienze quali: già professore a contratto presso la Scuola di specializzazione di Medicina legale dell’Università di Torino; membro della Commissione Enpam OMCEO Torino; consulente medico legale di primarie compagnie assicurative; consulente medico legale del Fondo Regionale Piemonte; membro del Comitato scientifico della Associazione Auxilia Iuris.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788833794143
Argomento
Law
Categoria
Medical Law

1

‘PREVENIRE’, ‘PREVENZIONE’

SOMMARIO: 1.1. ‘Prevenire’. – 1.2. ‘Prevenzione’: contenimento delle “negatività”. – 1.3. ‘Prevenzione’: contenimento dei “rischi”. – 1.4. Prevenzione reattiva e prevenzione proattiva. – 1.5. Prevenzione unilaterale e prevenzione bilaterale. – 1.6. Prevenire conviene?

1.1. ‘Prevenire’

‘Prevenire’1: giungere prima (prima di qualcun altro, oppure prima di qualcos’altro).
In questa accezione, il verbo ‘prevenire’ è intransitivo come del resto è ragionevole aspettarsi in rapporto al componente (il verbo ‘venire’) che è intransitivo. Esempio di contesto: ‘considerato che gli invitati, quando arrivano, devono trovare tutto a posto, non vedo altra soluzione: noi preverremo‘ (attenzione: qui troviamo ‘preverremo’, non ‘li preverremo’, perché, se vi fosse il complemento oggetto, sarebbe un’altra accezione).
L’accezione è rara, ma riscontrabile.
‘Prevenire’2: precedere.
In questa accezione, il verbo ‘prevenire’ diventa transitivo (la qual cosa è paradossale, ma è così).
Alcuni esempi: ‘considerato che gli invitati, quando arrivano, devono trovare tutto a posto, allora noi li preverremo’; oppure, ‘questa volta Tizio è entrato nella leggenda: ha prevenuto tutti i concorrenti di quasi due ore’; oppure, ‘voleva acquistare lui quell’alloggio, ma io l’ho prevenuto’.
Formulazioni come queste sono rare, tuttavia maggiormente riscontrabili rispetto a quelle afferenti alla accezione1 (intransitiva).
‘Prevenire’3: preorientare.
Accezione in cui il verbo resta transitivo. Esempio: ‘è opportuno prevenire Alfredo rispetto ai pettegolezzi che cominciano a circolare’.
L’accezione è diffusa soprattutto nel senso spregiativo localizzato nel participio passato (‘prevenuto’): infatti, quando si dice che ‘Tizio è prevenuto’ si vuol dire che Tizio è orientato in senso sfavorevole nei confronti di qualcuno o di qualcosa, e tale orientamento si è formato prima di qualsiasi valutazione ragionata ed obiettiva. L’accezione spregiativa è presente anche nella forma sostantiva, dove ‘prevenzione’ diventa sinonimo di ‘preconcetto’ e ‘pregiudizio’.
‘Prevenire’4: precludere (impedire che qualcosa si verifichi).
Accezione in cui il verbo resta transitivo. Esempi: ‘prevenire il crollo’, ‘prevenire l’intrusione’.
Questo uso risulta non solo nella comunicazione corrente ma anche, talvolta, persino nella informazione di livello tecnico. Per esempio: ‘CNR su come prevenire il contagio al chiuso: mantenere il giusto grado di umidità e un adeguato ricambio di aria evita la propagazione del virus negli ambienti al chiuso, specie dove il rischio è più alto, come ospedali e studi medici’ (nella frase si nota l’assimilazione tra ‘prevenire’ ed ‘evitare’, assimilazione che poi, a ragion veduta, sarebbe da ridimensionare. Per di più, nel caso, l’enunciazione è errata poiché i soli due fattori non sarebbero comunque sufficienti a evitare il contagio; ma qui ci si limita al significato della frase).
È possibile ricordare, in questo contesto, il famoso motto secondo cui longe praestantius est praeservare quam curare. La frase viene ordinariamente tradotta come ‘è meglio prevenire che curare’, e viene intesa nel senso che è meglio far sì che non si arrivi a eventi da sottoporre a cura.

1.2. ‘Prevenzione’: contenimento delle “negatività”

‘Prevenzione’

Il termine ‘prevenzione’ è largamente in uso ad ogni livello di discorso, sia comune sia tecnico.
Quanto alla sintassi, ‘prevenzione’ è connettibile a:
  • un genitivo che specifica la tipologia delle negatività1 (prevenzione degli infortuni, prevenzione delle patologie neurologiche, prevenzione degli errori nella diagnostica per immagini);
  • un aggettivo che specifica il campo delle negatività (prevenzione laburistica, dentale, cardiovascolare);
  • un aggettivo che specifica i fattori delle negatività2 (prevenzione sismica, prevenzione idrogeologica, prevenzione nosocomiale).
Fare ricorso a un termine così generale come ‘negatività’ è inconsueto. Infatti, di solito, in letteratura si trovano, prevalentemente, riferimenti pur ampi ma circoscritti come “pericoli”, “rischi”, “errori”, “eventi aversi”, “danni”, oppure altro ancora. Ma è preferibile un punto di partenza onnicomprensivo per gestire poi il nodo delle specificazioni.
Quanto al significato, ‘prevenzione’ registra due orientamenti:
  • attività finalizzata a impedire le negatività (“i pericoli” o “i rischi” o altro ancora, poi si vedrà);
  • attività finalizzata a impedire o ridurre le negatività (“i pericoli” o “i rischi” o altro ancora, poi si vedrà).

‘Impedire’ versus ‘ridurre’

‘Impedire’ non richiede particolari attenzioni, ma ‘ridurre’ sì:
  • in senso ampio, ‘ridurre’ viene riferito al grado di probabilità e al grado di dannosità di ciò che si vuole contrastare (quindi: faccio prevenzione se mi indirizzo a diminuire il numero degli episodi di invalidità, e faccio prevenzione anche se mi adopero affinché, per il caso in cui l’invalidità si verifichi, l’invalidità sia minore);
  • in senso stretto, ‘ridurre’ viene inteso come attenuazione della probabilità (invece, qualora entrasse in gioco la riduzione della dannosità, secondo alcuni si uscirebbe dall’area della prevenzione per entrare nell’area della protezione)3.
La nozione in senso stretto traccia un confine tra la prevenzione (destinata a incidere sulla probabilità) e la protezione (destinata a incidere sulla dannosità). Tuttavia, un confine così netto sembra non tenere conto di una considerazione: un intervento orientato al contenimento della dannosità può vedersi pur sempre come orientato alla “prevenzione di un maggior danno” (qualora un danno dovesse verificarsi). È da ammettere che, se si mirasse soltanto alla diminuzione della dannosità (abbandonando il contrasto alla probabilità) sarebbe difficile ravvisare prevenzione; tuttavia, se gli interventi finalizzati a ridurre la probabilità venissero integrati da interventi finalizzati a ridurre la dannosità, questi ultimi potranno vedersi come prevenzione. In definitiva, il ‘ridurre’ dovrebbe essere inteso in senso sia quantitativo sia qualitativo.
Precisato ciò, il punto di maggiore rilievo si localizza nel seguente interrogativo: la prevenzione va identificata come attività finalizzata a “impedire” oppure a “impedire/ridurre” ciò che viene contrastato?
Se si accoglie la prima impostazione, l’eventuale concretarsi di una qualsiasi “negatività” costituisce “prova” che non vi è stata prevenzione; se si accoglie la seconda, la prevenzione è pienamente compatibile con il concretarsi di negatività (purché l’impegno sia stato adeguatamente orientato a contrastarle).
Quali delle due impostazioni è appropriata per i saperi tecnici?
La risposta è indubbia: la prevenzione va intesa nella sua accezione estesa, cioè come attività finalizzata a precludere o ridurre negatività.
Basti un argomento: le negatività, in ogni campo, non sono eliminabili (e non lo saranno mai per una serie infinita di fattori oggettivi e soggettivi). E allora sarebbe ingenuità, o inadeguatezza scientifica e culturale, avvalersi di una nozione che sarebbe derealistica (priva di concretezza).

Prevenzione: attività per il contenimento delle negatività da contrastare

Se le negatività non sono eliminabili, ne discende che talune formulazioni correnti (secondo cui la prevenzione è attività sia di eliminazione sia di riduzione) possono essere riviste abbandonando il riferimento radicale (alla “eliminazione”). Inoltre, per quanto attiene al “ridurre”, si va diffondendo l’immagine, alternativa, del “contenimento”: è un ritocco terminologico senza modifiche sostanziali. In conclusione, è possibile identificare la prevenzione come attività di contenimento quantitativo o qualitativo delle negatività che ci si orienti a contrastare. Ciò non esclude che il fine di “eliminazione” possa continuare ad essere menzionato accanto a quello di “contenimento”. Continua ad essere così in vasta letteratura. Tuttavia, la menzione della finalità “intransigente” finisce per assumere un significato meramente virtuale.
Sottolineare il carattere necessario e sufficiente della funzionalità di contenimento non è una pedanteria teorica. È una sottolineatura opportuna sul terreno giuridico, politico e culturale. Altrimenti, se si lasciasse spazio a concezioni irrealistiche della prevenzione, verrebbero rafforzate aspettative improprie (pronte a tradursi in amplificazioni conflittuali e giudiziarie, come se già non bastasse l’atmosfera corrente con i suoi tratti di ben note esasperazioni).

1.3. ‘Prevenzione’: contenimento dei “rischi”

La percezione più adeguata, quando ci si accosta ai temi della prevenzione, è che si tratti di una attività di contrasto nei confronti di un vasto mondo di “avversari” (fattori di rischio, pericoli, rischi, incidenti, eventi avversi, sinistri, infortuni, errori, insuccessi, danni). Per dare un nome a tutto questo mondo si è fatto ricorso a “negatività”.
Ma c’è sempre un momento in cui gli approcci specialistici preferiscono circoscrivere i propri oggetti. L’impostazione più diffusa consiste nell’identificare la prevenzione come attività per il contenimento dei rischi. Anche la legislazione, con specifico riferimento alle norme più recenti in materia sanitaria, ha sposato questo orientamento istituendo l’obbligo di prevenzione e individuandone l’oggetto nel rischio (nel caso, il rischio sanitario). Il rischio è dunque il riferimento dominante nell’accostarsi ai temi della prevenzione4.

1.4. Prevenzione reattiva e prevenzione proattiva

Quando ci si occupa di prevenzione del rischio (sanitario, ma non solo) è in primo piano la distinzione tra prevenzione reattiva e prevenzione proattiva5. La differenza riguarda il modo in cui viene progettata l’attività di prevenzione.
La domanda è: cosa devo fare per prevenire un rischio? È possibile rispondere facendo ricorso a due impostazioni.
  • Impostazione reattiva. Parto da una negatività che mi è accaduta e, partendo da lì, procedo con un’analisi a ritroso. Cerco di capire perché è accaduto ciò che non doveva accadere. Nel percorso, ricostruisco le tappe della concatenazione causale o contribuente o favorente. Tale ricostruzione svela ciò che in futuro dovrò contrastare, e imposto in tal senso il progetto prevenzionale.
  • Impostazione proattiva. Non aspetto che accada qualcosa di negativo. Prefiguro i percorsi delle attività che occorrono per adempiere alle mie funzioni. Analizzo i percorsi e, procedendo non a ritroso ma in avanti, prefiguro le insidie da temere e le cautele da allestire6.
Questa presentazione dei due approcci è frequente ma risulta verosimilmente estremizzata ai danni dell’approccio reattivo...

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