
- 256 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Una donna spezzata
Informazioni su questo libro
Monique ha sempre creduto nel suo matrimonio e nel suo ruolo di moglie: muoversi sicura per casa, gestire la vita familiare, provvedere agli altri con la certezza di essere necessaria. Ma è bastata una frase a far crollare ogni illusione: «C'è una donna». E se Monique è tradita dal marito, la madre di Philippe lo è dal figlio, che al progressismo materno preferisce lo spirito pratico e conservatore della moglie. Infine, Murielle: due matrimoni finiti male e il suicidio della figlia la condannano a una vita disperante che la rende cruda e volgare, astiosa verso il mondo e verso un Dio che forse non esiste.Tre racconti, tre donne, tre crisi. E un tema comune: la solitudine che si deve affrontare quando ogni certezza crolla ma che può anche essere il punto di partenza per un'analisi della propria esistenza e dei propri errori.
Un libro che è una critica alla donna borghese e allo stesso tempo un invito alla forza e alla speranza: «La porta si aprirà lentamente, e vedrò che cosa c'è dietro. C'è l'avvenire».
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Informazioni
eBook ISBN
9788858413838Categoria
Letteratura generaleLunedí 13 settembre. Les Salines
È uno scenario piuttosto straordinario quest’abbozzo di città abbandonata ai bordi di un villaggio e al margine dei secoli. Ho percorso una metà dell’emiciclo, ho salito la gradinata del padiglione centrale, e per un pezzo sono rimasta a contemplare questi edifici costruiti per fini utilitari e che non sono mai serviti a niente. Sono solidi, esistono, eppure il fatto di essere abbandonati li trasforma in un simulacro fantastico; di che cosa, non si sa. L’erba calda, sotto il cielo d’autunno, e l’odore delle foglie morte m’assicuravano che non avevo lasciato questo mondo, ma ero tornata indietro, nel passato, di duecento anni. Sono andata a prendere della roba nella macchina; ho steso in terra una coperta, vi ho posato dei cuscini, la radio a transistor, e mi sono messa a fumare, ascoltando Mozart. Dietro due o tre finestre polverose indovinavo delle presenze: sono sicuramente uffici. Un camion si è fermato davanti a uno dei pesanti portoni, alcuni uomini l’hanno aperto, hanno caricato dei sacchi nel cassone. Nient’altro ha turbato il silenzio di questo pomeriggio: nessun visitatore. Finito il concerto, mi son messa a leggere. Mi sentivo doppiamente spaesata: me ne andavo lontano, lungo la riva di un fiume sconosciuto: alzavo gli occhi, e mi ritrovavo in mezzo a queste pietre, lontana dalla mia vita.
Poiché la cosa piú sorprendente è la mia presenza qui, e il fatto che mi senta cosí allegra. Temevo la solitudine di questo ritorno verso Parigi. Finora, quando non c’era Maurice, le bambine mi accompagnavano in tutti i miei viaggi. Pensavo che avrei sentito la mancanza dei rapimenti di Colette, delle esigenze di Lucienne. E invece, ecco che provo un tipo di gioia che avevo del tutto dimenticato. Un senso di libertà che mi ringiovanisce di vent’anni. Al punto che, chiuso il libro, mi sono messa a scrivere, per me stessa, come a vent’anni.
Ogni volta che mi separo da Maurice, non è mai a cuor leggero. Il congresso dura appena una settimana, eppure, mentre andavamo da Mougins all’aeroporto di Nizza, avevo la gola stretta. Anche lui era commosso. Quando l’altoparlante ha chiamato i viaggiatori per Roma, mi ha abbracciata forte, – Sta’ attenta a non ammazzarti, in macchina. – Sta’ attento a non ammazzarti in aereo –. Prima di scomparire si è voltato ancora una volta: c’era un’ansia, nei suoi occhi, che mi ha toccata a fondo. Il decollo mi è parso drammatico. I quadrimotori partono pian piano, è un lungo arrivederci. Il jet si è strappato da terra con la brutalità di un addio.
Ma ben presto ho cominciato a sentirmi felice. No, l’assenza delle mie figlie non mi rattristava, al contrario. Potevo guidare in fretta, o piano, come mi pareva, andare dove volevo, fermarmi dove mi saltava. Ho deciso di passare questa settimana a vagabondare. Mi alzo con la luce del giorno. La macchina mi aspetta sulla strada, in cortile, come un animale fedele: è umida di rugiada; le asciugo gli occhi, e fendo gioiosamente la giornata che comincia a indorarsi di sole. Posata accanto a me, la mia sacca bianca con le carte Michelin, la Guide bleu, dei libri, un golf, le sigarette, è una compagna di viaggio piena di discrezione. Nessuno si secca quando chiedo alla padrona dell’albergo la ricetta del suo pollo ai gamberi.
Sta per scendere la sera, ma l’aria è ancora tiepida. È uno di quei momenti toccanti, in cui la terra è cosí ben intonata agli uomini che sembra impossibile che tutti non siano felici.
Martedí 14 settembre
Una delle cose che piacevano tanto a Maurice è l’intensità di quella che lui chiamava «la mia attenzione alla vita». Durante questo breve colloquio a tu per tu con me stessa, si è rianimata. Ora che Colette è sposata, e Lucienne è in America, avrò tutte le possibilità di coltivarla. – Ti annoierai. Dovresti metterti a fare qualcosa, prenderti un lavoro, – mi ha detto Maurice a Mougins. Ha insistito. Ma, almeno per ora, non ne sento il bisogno. Finalmente, voglio vivere un po’ per me stessa. E approfittare con Maurice di questa solitudine a due di cui siamo stati privati per tanto tempo. Ho un mucchio di progetti in testa.
Venerdí 17 settembre
Martedí ho telefonato a Colette: aveva l’influenza. Quando le ho detto che sarei tornata subito a Parigi si è messa a protestare. Jean-Pierre le faceva un’ottima assistenza. Ma ero in pensiero, e sono rientrata il giorno stesso. L’ho trovata a letto, molto dimagrita: ha la febbre tutte le sere. Già in agosto, quando l’ho accompagnata in montagna, non ero affatto tranquilla per la sua salute. Non vedo l’ora che Maurice la visiti, e vorrei che consultasse anche Talbot.
Ed eccomi qui con una persona in piú da proteggere. Quando ho lasciato Colette, mercoledí, dopo cena, c’era un’aria cosí bella che sono scesa in macchina fino al Quartiere Latino e mi son seduta sulla terrazza di un caffè a fumarmi una sigaretta. Al tavolo accanto c’era una ragazzina che divorava con gli occhi il mio pacchetto di Chesterfield, e alla fine me ne ha chiesta una. Ho attaccato discorso, ma lei eludeva le mie domande, finché si è alzata per andarsene; una quindicina d’anni, né studentessa né ragazza di vita, m’incuriosiva: le ho proposto di riportarla a casa in macchina. Ha rifiutato; è stata un po’ lí, esitante, e alla fine ha confessato che non sapeva dove andare a dormire.
Era scappata quella mattina stessa dal Centro dov’è stata messa dalla pubblica assistenza.
L’ho tenuta qui da me due giorni. Sua madre, una specie di minorata mentale, e il padrigno, che la detesta, hanno rinunciato ai loro diritti su di lei. Il giudice che si occupa del suo caso le ha promesso di mandarla in un foyer dove le insegneranno un mestiere. In attesa, vive «provvisoriamente» da sei mesi in questo istituto dal quale non esce mai, salvo la domenica per andare a messa, se lo desidera, e dove non le fanno fare niente. Stanno là dentro una quarantina di adolescenti: materialmente non mancano di nulla, ma muoiono di noia, di disgusto, di disperazione. La sera, a ciascuna viene distribuito un sonnifero, e loro, di nascosto, lo mettono da parte. E un bel giorno buttano giú la provvista tutta in un colpo. «Ci vuole una fuga, un tentativo di suicidio, perché il giudice si ricordi di noi», mi ha detto Marguerite. Le fughe sono facili, frequenti, e se non durano troppo tempo non comportano sanzioni.
Le ho giurato che smuoverò cielo e terra per farla trasferire in un foyer, e si è lasciata convincere a rientrare al Centro. Ardevo di rabbia quando l’ho vista oltrepassare quel portone, con la testa bassa, trascinando i piedi. È una bella ragazza, nient’affatto sciocca, molto carina di modi, e non chiede altro che di lavorare; e le stanno massacrando gli anni piú belli, a lei e a migliaia d’altre. Domani telefonerò al giudice Barron.
Com’è dura Parigi! Perfino in queste molli giornate d’autunno questa durezza mi opprime. Mi sento vagamente depressa, stasera. Sto pensando di trasformare la stanza delle bambine in un living-room piú intimo dello studio di Maurice e della sala d’attesa. E mi rendo conto che Lucienne non abiterà mai piú qui. La casa sarà piacevole, ma ben vuota. Ma soprattutto mi tormento al pensiero di Colette. Per fortuna Maurice rientrerà domani.
Mercoledí 22 settembre
Una delle ragioni – la principale, anzi –, per cui non ho nessuna voglia di prendermi un lavoro è che mi sarebbe di troppo sacrificio non essere a completa disposizione delle persone che hanno bisogno di me. Passo quasi tutte le mie giornate al capezzale di Colette: la febbre non le passa; «non è niente di grave», dice Maurice. Ma Talbot esige delle analisi. Mi passano per la testa delle idee terribili.
Il giudice Barron mi ha ricevuta stamattina. È stato molto gentile. Trova che il caso di Marguerite Drin è deplorevole; e di casi come il suo ve ne sono a migliaia. Il dramma è che non esiste nessun posto per tenere queste bambine, né c’è del personale che si occupi di loro come si dovrebbe. Il governo non muove un dito. E perciò gli sforzi dei giudici minorili e delle assistenti sociali s’infrangono contro un muro. Il Centro in cui si trova Marguerite è soltanto un luogo di transito; dopo tre o quattro giorni avrebbero dovuto mandarla in un altro posto. Ma dove? È il deserto. Queste ragazzine finiscono per restare lí, dove niente è stato previsto per occuparle né per distrarle. Comunque, lui cercherà di trovare un posto per Marguerite, da qualche parte. E farà una raccomandazione alle assistenti del Centro perché mi autorizzino ad andare a trovarla. I suoi genitori non hanno firmato il documento che li avrebbe fatti decadere definitivamente dai loro diritti, ma quanto a riprendersi la piccola non se ne parla neppure; non ne vogliono sapere, e d’altronde, per lei sarebbe la soluzione peggiore.
Sono uscita dal Palazzo di Giustizia irritata contro l’incuria del sistema. Il numero dei giovani delinquenti è in continuo aumento ma l’unica cosa che si fa è di raddoppiare il rigore.
Visto che, mi trovavo a passare davanti alla Sainte-Chapelle, sono entrata e ho salito la scala a chiocciola. C’erano parecchi turisti stranieri e una coppia che guardava le vetrate, la mano nella mano. Io ho guardato distrattamente; mi era tornato il pensiero di Colette ed ero preoccupata.
Sono preoccupata. Non riesco a leggere. La sola cosa che potrebbe sollevarmi sarebbe di parlare con Maurice, ma non tornerà prima di mezzanotte.
Da quando è tornato da Roma passa le sue serate in laboratorio con Talbot e Couturier. Dice che stanno per arrivare alla meta. Posso ben capire che sacrifichi tutto alle sue ricerche. Ma è la prima volta nella mia vita che ho una grossa preoccupazione senza che ci sia lui a condividerla.
Sabato 25 settembre
La finestra era buia. Me l’aspettavo. Prima – prima di che? – quando per un caso straordinario uscivo senza Maurice, al ritorno, c’era sempre una striscia di luce in mezzo alle tende rosse. Salivo di corsa i due piani, suonavo, troppo impaziente per cercare la mia chiave. Son salita senza correre, ho infilato la chiave nella serratura. Come era vuoto l’appartamento! E com’è vuoto! È naturale, visto che dentro non c’è nessuno. Eppure no: di solito, quando torno a casa, ritrovo Maurice anche se lui non c’è. Questa sera le porte si aprono su stanze deserte. Le undici. Domani si sapranno i risultati delle analisi, e ho paura. Ho paura, e Maurice non c’è. Lo so. Deve concludere le sue ricerche. Pure, sono arrabbiata con lui. «Io ho bisogno di te e tu non ci sei», mi viene voglia di scrivere queste parole su un pezzo di carta e di lasciarlo bene in vista nell’ingresso, prima di andare a letto. Oppure starò zitta, come ieri, come l’altro ieri. Era sempre qui, quando avevo bisogno di lui.
... Ho bagnato le piante; mi son messa a riordinare la biblioteca, e d’un tratto mi sono interrotta. La sua indifferenza, quando gli ho parlato di sistemare questo living-room, mi ha sbalordita. Devo purtroppo confessarmi la verità. L’ho sempre voluta, la verità, e se l’ho ottenuta è perché la volevo. Ebbene: Maurice è cambiato. Si è lasciato divorare dalla sua professione. Non legge piú. Non ascolta piú musica. (Mi piaceva tanto il nostro silenzio, e il suo viso attento, quando ascoltavamo Monteverdi o Charlie Parker). Non facciamo piú le nostre passeggiate per Parigi o nei dintorni. Si può quasi dire che non c’è piú una vera conversazione fra noi. Comincia ad assomigliare ai suoi colleghi, che non sono altro che delle macchine per far carriera e per guadagnare soldi. Sono ingiusta. Lui se ne infischia dei soldi, dell’affermazione sociale. Ma da quando, contro il mio parere, ha deciso di specializzarsi, dieci anni fa, a poco a poco – ed è proprio quello che temevo – si è inaridito. Perfino a Mougins, quest’anno, mi è parso lontano: impaziente di tornare alla sua clinica, al suo laboratorio, distratto, addirittura imbronciato. Via! Tanto vale che mi dica la verità fino in fondo, se mi sentivo il cuore stretto, all’aeroporto di Nizza, era proprio per queste tristi vacanze che avevamo dietro di noi. E se ho provato una felicità cosí intensa, nelle saline abbandonate, è perché Maurice, a centinaia di chilometri di distanza, tornava ad essermi vicino. (Com’è curioso tenere un diario: le cose che vi si tacciono sono piú importanti di quelle che vi si annotano). Si direbbe che la sua vita privata non lo riguardi piú. Come rinunciò facilmente al nostro viaggio in Alsazia, la primavera scorsa! Pure, la mia delusione lo afflisse. Gli dissi allegramente: «Certo, la guarigione della leucemia merita qualche sacrificio!» Ma in altri tempi, per Maurice, la medicina significava persone in carne ed ossa da soccorrere. (Com’ero delusa, com’ero demoralizzata, durante il mio stage al Cochin, per la fredda condiscendenza dei grandi luminari, per l’indifferenza degli studenti; e nei begli occhi scuri di quell’esterno vidi una costernazione, una rabbia simile alla mia. Credo fu proprio da quel momento che cominciai ad amarlo). Temo che i suoi malati, ormai, per lui non siano piú che semplici casi. Gl’interessa di piú conoscere che guarire. E perfino nei suoi rapporti con le persone a lui piú vicine è divenuto astratto; lui che era cosí vivo, cosí allegro, ancora cosí giovane, a quarantacinque anni, come quando lo conobbi. Sí, qualcosa è cambiato, visto che sto scrivendo su di lui e su di me, dietro le sue spalle. Se l’avesse fatto lui, l’avrei considerato un tradimento. Eravamo l’uno per l’altro di una trasparenza assoluta.
Lo siamo ancora. È soltanto la mia collera, che ci separa: farà presto a disarmarla. Mi chiederà un po’ di pazienza: dopo i periodi di agitazione frenetica viene la bonaccia. Anch...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Una donna spezzata
- Lunedí 13 settembre. Les Salines
- L’età della discrezione
- Monologo
- Nota biobibliografica
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
- Copyright