C’è chi pensa che il mio lavoro sia facile, ma non sa che non si tratta semplicemente di collegare un proiettore. Devi essere presente al momento giusto per cambiare le bobine e devi sistemarle in maniera che la visione non sia discontinua, che il film non balbetti, non so se mi spiego. Se non lo fai nel modo giusto, be’, può accadere che una bobina sbatacchi ed ecco che il film non riparte nel modo giusto, oppure che la pellicola si incastri e venga bruciata dalla lampadina. A quel punto tutti comincerebbero a strillare, cosa non proprio buona per gli affari e neanche per te, perché il capo lo viene a sapere e visti i casini che scoppiano in sala non può certo far finta di nulla.
Non che mi sia capitato tanto spesso, due o tre volte la pellicola si è sfilata, una volta l’ho bruciata, ma il casino non è dipeso da me. Era stata avvolta male, si era attorcigliata in un punto non facilmente visibile quando l’ho tirata fuori. Non è stata colpa mia. Anche il capo se n’è reso conto.
Ma devi comunque fare molta attenzione.
Non è un lavoro tosto come scavare un fossato, cosa che ho fatto, visto che non ho finito le superiori. Mancava poco piú di un anno, ma ho dovuto abbandonare gli studi a causa di alcuni problemi. Non hai molte possibilità , se non possiedi un diploma.
In ogni caso, pensavo che un giorno ci sarei ritornato, avrei fatto un esame e preso il diploma, cosa che in realtà non è mai accaduta. Fin dai primi tempi, sfruttavo i miei pochi guadagni per andare al cinema. C’era un vecchio, Bert, che lavorava lÃ, lo conoscevo perché era amico di mio padre, anche se non strettissimo. Andavo là e chiedevo di lui. Mi lasciava entrare gratis, potevo vedere i film dalla cabina di proiezione. Bert era davvero una brava persona. Ha fatto tanto per me. Lo considero un po’ il mio angelo custode. Gli devo la carriera.
Mentre ero lÃ, finito il doppio spettacolo, nel momento in cui il film doveva ricominciare, mi mostrava in cosa consisteva il suo lavoro. Perciò quando Bert decise di mollare e andare in pensione, io presi il suo posto. Avevo venticinque anni. Sono cinque che faccio questo mestiere.
Una delle cose piú piacevoli è che posso vedere i film senza pagare un centesimo, anche se per certi una volta basta e avanza. Se dovessi vedere di nuovo Sette spose per sette fratelli mi metterei a piangere. Non mi piacciono i film in cui si canta e roba simile.
Magari non guardi, ma ti tocca sentire le stesse parole all’infinito, e se la pellicola viene proiettata per una settimana e oltre sei in grado di ripetere tutte le battute come un disco rotto. Ne ho pure riciclate un paio di buone, di quelle che i ragazzi dicono alle ragazze per rimorchiarle, ma niente, per me non hanno funzionato.
Non sono bellissimo, ma nemmeno un mostro, il fatto è che non sono bravo con le donne. Per niente. Non ho mai imparato. Mio padre era un donnaiolo. Aveva i capelli neri e ricci, l’aria sveglia, gli occhi azzurri e luminosi. Un fisico notevole ottenuto grazie al lavoro. Faceva svenire le donne. Una volta ottenuto ciò che voleva, si scocciava, proprio come era accaduto con mia madre, ed era pronto a trovarne un’altra. Già , aveva un gran talento per portarsele a letto, e pure per spillargli qualche soldo. Sapeva essere tutto ciò che desideravano, fino a quando, semplicemente, non lo era piú.
Diceva sempre: «A proposito delle donne, devi sapere che ce n’è una che diventa maggiorenne ogni giorno, e altre che non lo sono ancora ma lo diventeranno. Non devi fare altro che adularle. Si bevono tutte le stronzate che dici. Prima ancora di rendertene conto hai già ottenuto quello che volevi, e hai una nuova montagna da scalare».
Papà era quel tipo di persona.
Bert diceva sempre: «Chi riesce a infilarsi con tanta facilità dentro le mutandine di una donna, finisce per credere che sia tutto lÃ. Che non ci sia altro. Ma non è cosà che dovrebbero andare, le cose. Io e Missy siamo sposati da cinquant’anni, nessuno dei due ha avuto particolarmente fretta di vedere l’altro senza mutande, ma la mattina, a colazione, abbiamo ancora voglia di guardarci negli occhi».
Questo era, in breve, il consiglio di Bert.
Be’, c’era anche un’altra cosa. Diceva sempre: «Non perdere tempo a cercare di capire cosa sta pensando lei, non ci riusciresti. E lei non saprà mai cosa pensi tu. Basta esserci l’uno per l’altra». Fatto sta che io non avevo mai avuto una donna per la quale esserci. Credo dipendesse molto anche dalla mia postura. Bert diceva: «Stai dritto, Cartwright. Piantala di stare curvo. Non hai nessuna gobba. Guardala negli occhi, per l’amor di Dio».
Io non lo so perché lo faccio, stare curvo intendo, succede e basta. Forse perché sono alto e magro come un filo d’erba. Ho sempre cercato di fare attenzione a questa cosa, ma a volte non riesco a evitarla, è come se avessi il peso dei ricordi che grava sulle mie spalle.
L’altra sera Lowenstein ha assunto una nuova maschera. È uno schianto. La fa vestire di rosso. Sempre. C’è parecchio rosso all’interno del cinema. Gli schienali delle sedie sono rivestiti di una specie di panno rosso. Alcuni col tempo si sono unti, a causa della gelatina per i capelli che usano i ragazzi. Il sipario sul palco è rosso. Adoro il momento in cui viene tirato e poi aperto e io posso far cominciare il film. Mi piace proprio guardarlo aprirsi. Mi prende, mi emoziona in uno strano modo. Lo dissi a Bert, una volta, convinto che avrebbe riso di me, e invece lui rispose: «Succede anche a me, ragazzo».
Ci sono pagliacci, e giocolieri, numeri con i cani, maghi di merda e roba del genere il sabato mattina, prima dei cartoni. Si esibiscono sul palco e i ragazzini si scatenano, urlano e lanciano popcorn e caramelle.
Di tanto in tanto un cane decide di cagare in scena, o uno dei pagliacci cade dalla bicicletta e fa un salto carpiato sulla prima fila, o un giocoliere sbaglia un lancio e la palla gli finisce in testa. Ai ragazzini questo piace ancora di piú. Credo che in fondo la gente sia veramente strana, perché le cose che divertono davvero sono quasi sempre le piú imbarazzanti o dolorose, non pare anche a voi?
Ma questa maschera, di nome Sally, fa sembrare le attrici dei film avanzi di cibo dozzinale. È di una bellezza strepitosa. È piú giovane di me, forse di sei o sette anni, ha lunghi capelli biondi e il viso liscio come quello di una bambola di porcellana. A parte i vestiti rossi che deve mettersi al lavoro, indossa soprattutto abiti dai colori tenui. Si cambia nel cinema, si trucca. Quando viene fuori con uno di quei vestiti rossi e con i tacchi, illumina tutto come il naso di Rudolph. Sono i Lowenstein a procurarle quei vestiti. La signora Lowenstein glieli cuce praticamente addosso, e dovete credermi: le stanno a pennello. Non fraintendetemi se dico questa cosa, ma Sally aderisce a quei vestiti in modo tanto perfetto che se fosse abbronzata si vedrebbe attraverso il tessuto.
Il signor Lowenstein, che ha minimo sessantacinque anni, una volta era con me al bancone delle caramelle, e io stavo prendendo un hot dog e una bibita da portare nella cabina di proiezione. Mangio sempre cosÃ, a pranzo e a cena, perché è gratis. Insomma, proprio mentre il cinema stava aprendo, poco prima di mezzogiorno, vedemmo Sally uscire dal camerino di fronte a noi, la stessa stanza usata dai pagliacci, dai giocolieri e dai cani. Venne fuori in uno di quei vestiti rossi e con i tacchi, i capelli biondi che ondeggiavano sulle spalle, e ci sorrise.
Sentii le gambe che mi cedevano. Quando entrò in platea per cominciare il suo lavoro, Lowenstein disse: «Credo che Maude dovrebbe allargare un po’ quel vestito».
Io non dissi nulla, ma pensai: «Spero proprio di no».
Ogni giorno salgo in cabina e sbircio Sally da lassú. Lei sta accanto al sipario, dove ci sono alcune lampadine rosse. Non fanno una luce forte, servono nel caso qualcuno volesse andare al bagno, o al bar, e trovare la strada senza rompersi una gamba.
Il lavoro di Sally consiste nell’indicare alle persone i posti a sedere, cosa piuttosto sciocca, visto che si siedono dove vogliono. È una spesa superflua per il cinema, ma i Lowenstein pensano che costituisca un’attrattiva per molti ragazzi. Suppongo che neanche quelli sposati disdegnino un’occhiatina. È davvero strepitosa. Finisce che non faccio altro che guardarla. Mi siedo lassú e la guardo. Di solito mi annoiavo, mi mettevo a guardare le file posteriori, dove i ragazzi si sbaciucchiano e limonano, ma mi è sempre sembrata una cosa sbagliata, insomma, star là a guardarli fare le loro cose, e mi sembrava sbagliato anche quello che facevano nel cinema. Ma forse ero solo geloso.
E cosà avevo cominciato a fissare Sally tutto il tempo, da quando le era stato assegnato il posto dove doveva stare tutta la sera, la lampadina rossa accesa su di lei che faceva sembrare i suoi capelli biondi un po’ rossicci, e il suo abito di un rosso ancor piú acceso. E un giorno ero talmente intento a guardarla che, dannazione, per la prima volta dopo un sacco di tempo dimenticai di cambiare una bobina e feci un casino con la pellicola. Dovetti darci dentro non poco per sistemare le cose, con tutta quella gente di sotto che si lamentava e protestava e roba del genere.
Lowenstein non era contento, e quella sera mi fece un discorsetto. Sapevo che aveva ragione, e sapevo che non era grave. Lui sapeva che i casini possono succedere. Sapeva che sono...