Il narratore
eBook - ePub

Il narratore

Considerazioni sull'opera di Nikolaj Leskov

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il narratore

Considerazioni sull'opera di Nikolaj Leskov

Informazioni su questo libro

Note a commento di Alessandro Baricco. Il narratore è un breve saggio scritto da Walter Benjamin nel 1936 e destinato a rimanere nel tempo un testo di riferimento per qualunque riflessione sullo statuto del narrare. Il suo pretesto è l'opera di Nikolaj Leskov, scrittore russo contemporaneo di Tolstoj e Dostoevskij, ma lo scopo è ricostruire la figura del narratore, i grandi e semplici tratti autentici che lo contraddistinguono, riportarne alla luce il significato originario. Ma non solo. Raccontando con una precisa drammaturgia da dove mai venga il narratore, Benjamin ci lascia in eredità la descrizione ideale di che cosa ancora oggi dovrebbe rappresentare chi narra storie, una figura che, innalzata nella cerchia dei maestri e dei saggi, «sa orientarsi sulla terra senza avere troppo a che fare con essa».
Ad accompagnarci alla scoperta di questo piccolo saggio è Alessandro Baricco che, con una nota introduttiva, una conclusiva e un commento puntuale a ogni capitolo, ci aiuta a comprendere perché Benjamin, meglio di ogni altro, può introdurci a riflettere su cosa mai veramente sia «il sortilegio della narrazione». «L'arte di narrare volge al tramonto perché vien meno il lato epico della verità, la saggezza. Ma si tratta di un processo che ha origini lontane. E nulla potrebbe essere piú sciocco che vedere in esso solo un "fenomeno di decadenza", per non dire un fenomeno "moderno"; mentre è solo un fenomeno concomitante di forze produttive storiche, secolari, che a poco a poco ha espulso la narrazione dall'ambito del discorso vivo e insieme fa percepire una nuova bellezza in ciò che svanisce».

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il narratore di Walter Benjamin, Renato Solmi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Teoria della critica letteraria. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

XIX.

Quanto piú Leskov discende lungo la scala delle creature, e tanto piú chiaramente la sua concezione si avvicina a quella dei mistici. Molti indizi, del resto, come vedremo, mostrano che anche qui si profila un tratto insito nella natura stessa del narratore. Solo pochi, è vero, si sono avventurati nelle profondità della natura inanimata, e ci sono pochi esempi, nella moderna letteratura narrativa, dove la voce del narratore anonimo, anteriore a ogni opera scritta, risuoni cosí chiaramente come nella storia di Leskov L’alessandrita1. Essa narra di una pietra, il piropo. La pietra è lo stadio piú basso della creatura. Ma per il narratore è direttamente connessa al piú alto. A lui è dato scorgere, in quella pietra semipreziosa, una profezia naturale della natura impietrita e inanimata al mondo storico in cui egli stesso vive. È il mondo di Alessandro II. Il narratore – o piuttosto l’uomo a cui attribuisce il proprio sapere – è un intagliatore di nome Wenzel, che ha raggiunto nel suo mestiere la maestria piú eccelsa. Lo si può collocare accanto agli argentieri di Tula e dire che – nel senso di Leskov – il perfetto artigiano ha accesso alla cella piú intima del regno creaturale. Egli è un’incarnazione del pio. Di questo intagliatore si dice: «Egli prese d’un tratto la mia mano, dov’era l’anello con l’alessandrita, che, come è noto, manda un bagliore rosso alla luce artificiale, ed esclamò: “...Eccola, guardate, la profetica pietra russa...! Figlia astuta della Siberia! È sempre stata verde come la speranza e solo di sera si è inondata di sangue. È sempre stata cosí dalle origini del mondo, ma si è nascosta a lungo ed è rimasta celata nella terra e ha permesso che la si scoprisse solo il giorno della proclamazione dell’età maggiore di Alessandro II, quando venne in Siberia un mago, un grande taumaturgo, per scoprire la pietra”. “Che follie va dicendo, – lo interruppi, – questa pietra non è stata scoperta da un mago, ma da uno scienziato chiamato Nordenskjöld!” “Un mago, le ripeto, un mago!, – gridò Wenzel ad alta voce. – Guardi un po’ che pietra è questa! Un verde mattino è in lei, e una sera di sangue... È il destino, il destino del nobile imperatore Alessandro!” Cosí dicendo il vecchio Wenzel si rivolse verso la parete, poggiò il capo sui gomiti e... cominciò a singhiozzare»2.
Sarebbe difficile accostarsi meglio al significato di questo importante racconto che con queste parole scritte da Paul Valéry in tutt’altri contesti.
«L’osservazione artistica, – scrive a proposito di un’artista la cui opera consiste in figure ricamate in seta, – può toccare una profondità quasi mistica. Gli oggetti che essa investe perdono i loro nomi. Ombre e luci formano sistemi e presentano problemi affatto speciali, che non rilevano di nessuna scienza, né procedono da nessuna prassi, ma acquistano tutta la loro esistenza e il loro valore da certi accordi singolari fra l’anima, l’occhio e la mano di chi è nato per coglierli in sé e per produrli a se stesso»3.
Anima, occhio e mano sono collocati, in queste parole, in un solo e medesimo nesso. Influenzandosi reciprocamente, essi determinano una prassi. Oggi questa prassi non ci è piú consueta. La parte della mano nella produzione si è fatta piú modesta, e il posto che teneva nella narrazione è vuoto. (Poiché la narrazione, nel suo lato materiale, non è già opera della voce sola. Nell’autentico narrare interviene bensí anche la mano, che coi suoi gesti, sperimentati nel lavoro, sostiene in cento modi le parole). Questa antica connessione di anima, occhio e mano, che affiora nelle parole di Valéry, è quella artigianale, che ritroviamo dove è di casa l’arte di narrare4. Possiamo anzi proseguire e chiederci se il rapporto che il narratore ha con la sua materia, la vita umana, non sia anch’esso un rapporto artigianale5. Se il suo compito non sia proprio quello di lavorare la materia prima delle esperienze – altrui e proprie – in modo solido, utile e irripetibile. È una lavorazione di cui può dare, forse, la migliore idea il proverbio, se lo si considera come ideogramma di un racconto. Si potrebbe dire che i proverbi sono rovine che stanno al posto di antiche storie, e in cui, come l’edera intorno a un resto di muro, una morale si avvolge intorno a un gesto6.
Cosí considerato, il narratore entra fra i maestri e i saggi. Egli «ha consiglio» – non, come il proverbio, per certi casi, ma, come il saggio, per molti. Poiché gli è dato riferirsi a un’intera vita. (Una vita, del resto, che comprende in sé non solo la propria esperienza, ma non poco di quella degli altri. Nel narratore anche ciò che ha appreso per sentito dire si assimila a ciò che è piú suo). Il suo talento è la sua vita; la sua dignità quella di saperla narrare fino in fondo. Il narratore è l’uomo che potrebbe lasciar consumare fino in fondo il lucignolo della propria vita alla fiamma misurata del suo racconto. Di qui deriva l’incomparabile atmosfera che – in Leskov come in Hauff, in Poe come in Stevenson – circonda il narratore. Il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso7.
1 Spiace, ma in questo ultimo capitolo quasi ogni frase meriterebbe un commento: quindi le mie intrusioni saranno inevitabilmente frequenti. Qui va annotata questa espressione «scala delle creature» perché riporta a un concetto esposto nel capitolo precedente e utile da ricordare: per dirla con Benjamin, «Il giusto è il portavoce della creatura e insieme la sua piú alta incarnazione». Il termine «creatura» è molto sottile. Benjamin usa anche l’espressione «mondo creaturale». L’inflessione biblica è inevitabile, e si lascia dietro una certa aura di sacralità: ma, al di là di questo riflesso, il mondo creaturale sembra significare, in Benjamin, qualcosa di molto vicino al semplice esistere delle cose semplici: lo stare innocente della natura, quello prefigurato e promesso dalle fiabe. Non sarà difficile, per chi è arrivato fin qui, riconoscere in questa complicità tra l’uomo giusto e il creato un riflesso chiaro di quella unità tra uomo e mondo che Lukács aveva prefigurato e che Benjamin usa per descrivere la simbiosi che c’era tra narratore e storia naturale. La novità è che qui la figura del giusto e la figura del narratore sono accostate per la prima volta in modo esplicito: ciò che si dice, di entrambe, è che la prossimità col creato è in loro cosí pronunciata che perfino dove il creato diventa muto e illeggibile, cioè nelle creature inanimate, esse hanno una mistica capacità di condividerne il segreto. Come insegna la storia di Leskov che segue.
2 Una piccola annotazione per comprendere a pieno la storia di Leskov. L’alessandrita è una pietra preziosa che fu per la prima volta scoperta in una miniera russa nel 1830. Deve il suo nome a una fortunata circostanza: fu scoperta lo stesso giorno in cui il Granduca Alessandro Nikolaevič, figlio primogenito dello zar Nicola I, entrava nella maggiore età. A scoprirla, in una località degli Urali, fu un esploratore finlandese di nome Nils Nordenskjöld (meno famoso ma non meno ardito del figlio Nils Adolf Erik, lo scopritore del passaggio a nord-est). L’alessandrita ha una curiosa caratteristica: alla luce naturale appare di colore verde, mentre esposta alla luce artificiale diventa di un fosco rosso-porpora. In ciò, l’intagliatore Wenzel (come peraltro molti, ai tempi) riconosce la pronuncia di una profezia: «un verde mattino è in lei, e una sera di sangue». In effetti, il bambino a cui la pietra doveva il suo nome divenne zar nel 1855, suscitò grandi speranze all’alba del suo regno, promettendo l’emancipazione dei servi della gleba, e finí la sua vita nel sangue, ucciso in un attentato nel 1881.
3 Se c’è un’arte della citazione, Benjamin ne era un virtuoso (a costo di citare a sproposito, come s’è visto). Il frammento di Valéry è splendido e testimonia di un’altra arte: quella di scrivere frammenti fatti apposta per essere citati (virgolettati di Valéry fioriscono ovunque). In particolare la terza frase è accecante. Chi ha la fortuna di aver fatto esperienza, in virtú di un qualche proprio talento, di cosa significhino l’assoluta intimità con un certo materiale e la prassi artigianale-artistica che ne discende, può trovare in ogni parola il nome esatto di ciò che ha provato. Sia egli un intagliatore di pietre, come Wenzel, o di parole, immagini, suoni. Cambia poco, l’essenza di quell’esperienza è tutta nelle righe di Valéry. Essa allude, va ricordato, a un momento particolare del fare artistico, quello in cui l’ossessivo chinarsi dell’artigiano sul materiale conduce entrambi al di là dei limiti consueti, in una regione del sentire che ha qualcosa di mistico: lí, è vero, si spegne qualsiasi sapere precedente, e sfuma ogni perizia tecnica. Ciò che lí accade è il formarsi di figure mai viste che pronunciano domande mai prima pronunciate e pongono problemi che esistono per la prima volta lí; ed è vero che quelle figure prendono forma per qualche magico e provvisorio ruotare simultaneo di facoltà diverse (anima occhio mano), un fenomeno che in passato si è cercato di fermare nel termine, ormai stanco, di ispirazione; ed è infine cosí maledettamente vero che tali figure sono visibili solo al talento di chi è nato per vederle e ripeterle a se stesso, e a nessun altro.
Come si vede, l’asticella è posta molto in alto, e il mestiere di tutti i Wenzel del mondo elevato a vette tali di raffinatezza quasi magica da rischiare di scoraggiare tutti gli apprendisti del caso. Ma penso che a Benjamin piacesse proprio questo, questo scagliare il narratore al di là di qualsiasi normalità e perfino di qualsiasi eccezionalità. Dopo averlo descritto a lungo come una figura sostanzialmente composta, quasi modesta, incline all’invisibilità, dedito alla castità, a una pagina dalla fine dà lo strattone decisivo: proprio in virtú di quella sua mitezza il narratore può dimorare, a tratti, oltre ogni consueta condizione umana: è suo privilegio parlare da un aldilà in cui sembra custodito il cuore del mondo. La cosa dice molto sulla considerazione altissima che Benjamin aveva del narrare, ma anche rivela qualcosa del mondo in cui sognava di vivere: era un mondo che si lasciava disvelare dall’apparente follia di Wenzel piú che dallo sguardo lucido dello scienziato; un mondo per artigiani visionari piú che per lucidi filosofi. Una simile fiabesca concezione del mondo è probabilmente l’assunto infantile a cui ogni vocazione artistica deve il suo incipit, il suo fascino e la sua fragilità.
(Devo aggiungere che la citazione di Valéry viene da un bellissimo saggio su Camille Corot, ritrovabile nel secondo volume delle Opere di Valéry, nella Pléiade.)
4 E in effetti la triade anima, occhio, mano – sintesi del fare artigiano – è perfetta e definitiva. L’occhio che vede, la mano che stringe: il resto è l’irripetibilità di ogni singolo artigiano – ma sí, chiamiamola anima. Non è diverso, dice Benjamin, per il narratore, artigiano fra gli altri. E questa è una lezione che va presa letteralmente. Se c’è un tratto in cui nei moderni mestieri della narrazione sopravvive l’orma del narrare antico e originario è proprio quello di poter essere riassunti, ancora una volta, nell’accordo singolare fra anima, occhio e mano che li genera. Che siano film, romanzi, o spettacoli teatrali e perfino articoli di giornale, sempre ancora occhio, mano e anima sono lí. La mano che dispone nello spazio, e corregge, e tiene ferme le cose, e le mette in movimento, e sta a un pelo dalla lama, e pulisce con un gesto veloce dai detriti, e accarezza alla fine per rilevare l’imperfezione, l’irregolarità. E l’occhio, che trova l’angolo giusto, sceglie le distanze, vigila sulla lama, sa essere immobile e muoversi velocissimo, mettere a fuoco e sfocare, vedere nel buio e filtrare la luce, aprirsi e chiudersi. Chi non riconosce, nelle storie narrate, le invisibili impronte lasciate da occhio e mano, non vede niente. E chi non sa lasciarla, quell’impronta, non narra niente. Né accade qualcosa, mai, senza che il mistero di una mente irripetibile, di una sensibilità unica e di un gusto inspiegabile non tenga tutto insieme, in un unico respiro, che ora non sapremmo come definire, ma una volta sí, lo chiamavamo anima.
(Tempo fa, e del tutto casualmente, leggendo un libro che apparentemente non ha nulla a che fare con queste riflessioni, mi è accaduto di incontrare, del tutto assurdamente, quasi la stessa triade di anima, occhio e mano, fermata sulla carta cinque secoli prima che Valéry la trovasse nei suoi pensieri. Il testo era un poema di Thomas Occleve, il De Regimine Principum. Occleve faceva di mestiere lo scrivano in un ufficio dell’amministrazione regia, e a un certo punto del suo poema descrive il suo mestiere, il suo gesto quotidiano, il gesto dello scrivere, e lo fa con queste parole: «Uno scrivano deve riunire in se stesso tre cose | e mai disgiungerle. | Mente, occhio e mano, mai separati uno dall’altro | e sempre tenuti insieme. | La mente tutta, senza mutamenti | sempre deve vigilare su occhio e mano | che a loro volta vigilano sulla mente. Non c’è altro modo». Per quanto abbia cercato, non ho trovato alcun nesso tra Valéry e Occleve, e dunque nulla mi autorizza a far derivare una citazione dall’altra. Resta la magia di questa parentela che corre attraverso i secoli. E quell’immagine: lo scrivano curvo al suo tavolo da lavoro, ritagliato via dal mondo, nella sua fatica di far lavorare insieme mano, occhio e mente. Non saprei spiegare meglio, a uno studente, a un figlio, cosa faccio di mestiere.)
5 «Possiamo anzi proseguire»: per quel che conta, è la frasetta che io prediligo in tutto questo saggio. Intanto tramanda un istinto che era tipico di Benjamin e che, ho sempre pensato, aiuta a distinguere il pensatore mediocre da quello di talento. Il primo usa le citazioni per sostiturle al proprio pensiero, per legittimarlo e concluderlo. Il secondo le usa come un trampolino da cui saltare verso i propri pensieri, come un lasciapassare verso le sue idee. Il pensatore mediocre si fa superare dalla citazione, quello di talento invece la convoca per superarla. Possiamo anzi proseguire è molto benjaminiano, perché lui era il classico pensatore di talento, e mai si sarebbe sognato di accontentarsi di Valéry.
E poi un’altra cosa. Non sfuggiva certo a Benjamin che la citazione di Valéry era splendida, e cosí non riesco a non immaginare che in lui, nell’annotarla, non si fosse affacciato un immediato istinto competitivo, come l’evidente necessità di accettare la sfida, e un infantile desiderio di dimostrare di poter fare meglio. Non saprei spiegare in modo diverso il fatto che nelle successive dieci righe Benjamin replichi esattamente il numero di bravura di Valéry scatenandosi poi in un crescendo di intelligenza ed eleganza che è sfrontatamente virtuosistico. Ha tutta l’aria di un duello, e io i duelli li trovo irresistibili.
6 Con tanti saluti al pur grande Valéry. Alla triade occhio, mano, anima, Benjamin sovrappone un’altra triade solido, utile e irripetibile. E lí poteva anche fermarsi, e portare a casa un bel pareggio. Ma, l’ho detto, era un duello. Ed ecco allora il virtuosismo sfacciato di quella storia dei proverbi, cosí accessoria, e tecnicamente cosí mostruosa. Lasciando perdere il western, è doveroso annotare quello splendido «possiamo chiederci se il compito del narratore non sia proprio quello di lavorare la materia prima delle esperienze – altrui e proprie – in modo solido, utile, e irripetibile». Domanda retorica, e, di nuovo, lezione altissima. Mi piace la perentorietà con cui riporta il gesto del narratore alla modestia del lavoro artigiano: in modo solido e utile. Ho ben presente cosa questo significhi quando si tratta, ad esempio, di scrivere. La solidità: scrivere qualcosa che stia insieme, e resti compatto anche quando l’ondata sismica dei lettori lo scuote, o il trascorrere del tempo lo trasporta, sballottandolo, da una stagione all’altra. L’utilità: questa vecchia eredità dell’antico «portare consiglio» del narratore originario. Lo so che a molti potrà sembrare un arcaismo anche un po’ bigotto, perfino buonista, ma so cosa vuol dire, se quel che stai facendo è scrivere. Significa fare sedie su cui la gente possa sedersi, e tazze senza cre...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il narratore
  3. Nota introduttiva di Alessandro Baricco
  4. Il narratore
  5. I.
  6. II.
  7. III.
  8. IV.
  9. V.
  10. VI.
  11. VII.
  12. VIII.
  13. IX.
  14. X.
  15. XI.
  16. XII.
  17. XIII.
  18. XIV.
  19. XV.
  20. XVI.
  21. XVII.
  22. XVIII.
  23. XIX.
  24. Nota conclusiva di Alessandro Baricco
  25. Il libro
  26. L’autore
  27. Dello stesso autore
  28. Copyright