
- 154 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Il secolo che si è appena concluso è oggetto di un vivace, a volte aspro, dibattito tra gli storici. La sua eredità è controversa, la memoria ancora divisa. Il volume di Mariuccia Salvati è un'agile guida alle idee, alle passioni e alle diverse interpretazioni del Novecento.
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Informazioni
Argomento
GeschichteCategoria
Geschichte des 21. JahrhundertsCapitolo secondo. Interpretazioni del Novecento (1)
La vita [...] continua da sé; ma la vita organizzata deve continuare. Si potrà non credere più al socialismo, ma il fatto che ci sono dei ricchi e dei poveri rimane; non si avrà più fiducia nella democrazia, ma non si vede a quale nuovo principio gerarchico ci si possa appellare per persuadere un individuo a riconoscersi inferiore in diritto a un altro individuo; le ragioni della patria non sono più chiare, ma il fatto di essere nati in un certo luogo e di vivere in un dato gruppo etnico rimane1.
Uno spazio per l’Europa
La futurologia di inizio Novecento ha in gran parte caratteri spaziali: nel senso che le proiezioni nel futuro della vecchia Europa prefigurano un passaggio nella leadership della civiltà e del progresso dai popoli europei ai loro «figli» americani. Di «secolo americano» sogna la stampa di fine Ottocento e dei primi anni del secolo: se ne trova traccia nelle arti visive (dalla pittura al cinema) e nella letteratura2. La previsione è talmente corrente da fornire il titolo all’opuscolo di un influente giornalista inglese, William Thomas Stead, L’americanizzazione del mondo, ovvero le tendenze del XX secolo (1902), o al noto libro di Herbert G. Wells (Il futuro in America, 1906) e materia documentaria ai famosi film-giornale di 42° parallelo di Dos Passos.
Conviene dunque prendere le mosse da questa autorappresentazione «spaziale» del secolo per indagarne la rispondenza oggi, in particolare nei bilanci storici imperniati sugli spostamenti negli equilibri geopolitici e sui mutamenti nella gestione del «territorio» (controllo, estensione, autonomia).
Una volta assunta quest’ottica, non è impossibile rintracciare isolate ma puntuali previsioni già a fine Ottocento, non solo in America, ma anche in Europa, circa la cesura epocale rappresentata dalle guerre degli anni Novanta in aree apparentemente periferiche rispetto al continente europeo. È soprattutto la letteratura a cogliere il senso profondo di quanto stava avvenendo tra il 1895 e il 1898. Ha scritto Paul Valéry:
Non so perché, all’epoca gli attacchi del Giappone contro la Cina e degli Stati Uniti contro la Spagna, che si susseguirono a distanza relativamente breve, mi fecero una particolare impressione. In fondo si trattò di conflitti molto limitati. [...] Eppure, avvertivo quegli eventi specifici non come incidenti o fenomeni limitati, ma quali sintomi o premesse, fatti significativi il cui senso superava di molto l’importanza intrinseca e la portata apparente. [...] Il colpo indiretto in Estremo Oriente, e quello diretto nelle Antille, mi fecero dunque percepire confusamente l’esistenza di qualcosa che poteva essere toccato e turbato da tali eventi. Mi trovai «sensibilizzato» a congiunture che facevano emergere una sorta di idea virtuale dell’Europa che fino a quel momento ignoravo di portare in me3.
L’intuizione di Valéry (in verità solitaria per tragica lungimiranza politica) che si fosse all’inizio della parabola discendente del dominio culturale e politico europeo prefigurava quello che, parecchi decenni più tardi (1964), la fortunata sintesi storica di Barraclough avrebbe definito «the dwarfing of Europe»4. Nella ricostruzione storica di Barraclough gli anni Novanta dell’Ottocento diventano anzi il momento di avvio di un processo che avrebbe caratterizzato l’età contemporanea ma che solo un completo rovesciamento di prospettiva rispetto alla visione storicista (il partire dal presente) consentiva di cogliere in tutta la sua novità . Al centro di tale narrazione storica stava, infatti, il punto di arrivo, e cioè la constatazione che l’Europa – dopo aver diffuso nei cinque continenti i fondamenti del sapere tecnico e scientifico che per secoli l’aveva resa la sovrana del mondo e dopo avere scatenato una nuova «guerra dei trent’anni» tra il 1914 e il 1945 come conseguenza di conflitti intra-europei, causati da una mentalità politica da «piccoli Europei» (la definizione è ancora di Valéry) – aveva dovuto finalmente accettare il dato di fatto del suo «rimpicciolirsi» nello scenario politico mondiale, già peraltro misurabile nel ventennio prebellico sul terreno demografico ed economico. Formatosi sugli studi di storia medievale, Barraclough poteva inscrivere la novità epocale del XX secolo non tanto in una linea di continuità con l’età immediatamente precedente – e dunque nella crisi del vecchio mondo liberale europeo (con le sue più dirette conseguenze: guerra, fascismo, comunismo) –, quanto nella più univer-sale caratteristica della storia umana, cioè il suo procedere «per balzi» (Rinascimento, Riforma). I fattori scatenanti del balzo che aveva marginalizzato l’Europa, ben visibili nell’assestamento mondiale degli anni Sessanta – e che consentivano di interpretare l’intera storia moderna (1498-1947) come una globale e conclusa «età europea» –, potevano essere così individuati e ricomposti in una trama storica che molto doveva ad alcuni geniali osservatori contemporanei dell’area delle scienze economico-sociali; dunque, evoluzione demografica, rivoluzione tecnologica, imperialismo, finanza, conflitti nazionali e di classe nella società di massa5.
Il punto di vista degli anni Sessanta inscriveva, tuttavia, a differenza del pessimismo fin-de-siècle di Valéry, il nuovo Atlante della storia contemporanea di Barraclough in un trend economico-politico forward-looking (rivolto al futuro) e in questa prospettiva il Novecento sembrava aver finalmente raggiunto quell’equilibrio di forze a livello mondiale che era stato lungamente e sanguinosamente cercato nel suo primo cinquantennio. Di questa «grande narrazione» facevano anche parte la definitiva sconfitta degli imperi e delle forze economico-sociali (le monarchie, l’aristocrazia militare) che avevano consentito (secondo l’intuizione già di Schumpeter) la durata dell’Antico regime ben dentro il Novecento, così come il ruolo miliare della prima guerra mondiale e il tentativo successivo di tornare alla normalità resistendo tenacemente al cambiamento attraverso una seconda sanguinosa «guerra dei trent’anni»6.
A seguito, tuttavia, della crisi petrolifera del 1973 (che indeboliva fortemente il monopolio della moneta americana a Occidente) e del crollo nel 1989-91 dell’impero sovietico, la storiografia, pur accogliendo in genere lo schema proposto da Barraclough nell’elencare i già citati fattori di novità che caratterizzerebbero l’età contemporanea e una data d’inizio collocabile (come voleva Valéry) con l’allontanamento di Bismarck dal cancellierato, doveva prendere atto che il Novecento nella sua interezza si era rivelato meno generoso e rassicurante di quanto non fosse sperabile negli anni Sessanta e di quanto non avesse tradizionalmente sostenuto la storiografia britannica di impianto whig. A fine secolo sono così prevalse le letture imperniate sul netto contrasto tra la prima e la seconda metà , a partire da un calcolo delle vittime di guerre e regimi politici. Particolarmente indicativo di questa impostazione è Dark Continent di Mark Mazower che, avendo posto al centro dell’attenzione il continente europeo, si sofferma soprattutto sul ruolo della Germania (e dello Stato-nazione) tanto nelle prime due guerre mondiali quanto nella ricostruzione capitalistica della seconda metà del secolo, suggerendo una forte contrapposizione tra i due periodi giustificata da un bilancio che vede nella prima metà 60 milioni di morti, razzismo e crisi economiche e nella seconda un solo milione di morti, benessere e sicurezza7. La contabilità dei morti, per quanto scientificamente e moralmente necessaria, non sembra tuttavia rappresentare di per sé una via sufficiente per giungere a una visione d’insieme dell’epoca Novecento. D’altra parte la contrapposizione tra la centralità dell’una o dell’altra metà del secolo, basata, per il primo cinquantennio, sulla priorità dell’Europa (e del totalitarismo) e, per il secondo, sull’inclusione nel computo delle perdite umane dei paesi coloniali e dell’Asia per cause legate alle diseguaglianze economiche (50-60 milioni di individui), vede competere due letture storiche pressoché inconciliabili, a seconda che prevalga il punto di vista dell’intellettuale occidentale o non occidentale, laico o religioso. Dopo una fase di predominio della prima lettura, si assiste più di recente a un riorientamento a favore della seconda lettura anche nel mondo occidentale8: le ragioni sono svariate, ma tra di esse va certamente annoverato anche il diverso impegno della Chiesa, di cui, peraltro, ancora si discute l’atteggiamento nei confronti del potere nazista9.
Non manca chi, muovendo da presupposti analoghi di interpretazione globale, giunge a conclusioni più ottimistiche: è il caso di Ralf Dahrendorf che, interrogandosi sul senso del Novecento, lo trova nel compimento della modernizzazione in quanto processo insieme costruttivo e distruttivo. Come tale, sostiene Dahrendorf, non bisogna dimenticare che il Novecento
È stato anche il secolo socialdemocratico, non perché il suo volto sia stato forgiato dai leader socialisti ma piuttosto per il fatto che il progetto socialdemocratico è stato la forza trainante di questo secolo breve, una forza contrastata, talvolta vacillante, ma alla fine vittoriosa.
Alla luce del concetto di modernizzazione, e degli effetti dei suoi ritardi, Dahrendorf legge sia gli ostacoli a quel processo opposti dalla Germania («il Novecento sarebbe potuto essere un ‘secolo tedesco’, nel senso buono del termine; ma solo dopo il 1945 la Germania ha colto la sua ‘seconda occasione’») e dal Giappone, sia la rivoluzione russa del 1917.
La modernizzazione avviata in ritardo o realizzata in modo esplosivo è stato il fattore di mutamento più importante del secolo. Il tessuto sociale ne è rimasto sconvolto; il processo ha lasciato tracce profonde di sofferenza e di colpa10.
In tutte queste letture, il punto di vista dello spazio (o della geopolitica) è dunque fondamentale nell’interpretazione del secolo, ma è esso stesso frutto di prospettive che trovano nel campo dell’agire umano la loro ragion d’essere.
Se, per esempio, torniamo al testo-base di Barraclough, notiamo che ciò che è venuto meno dopo di allora, nella storiografia del Novecento, non è tanto l’approccio globale quanto, sostanzialmente, la visione progressista ancora implicita nella sua periodizzazione. Così, in quella che è finora considerata la narrazione più avvincente dell’epoca Novecento (Il secolo breve di Hobs-bawm), l’accento si è spostato sulla ricerca del fattore caratterizzante dal quale far discendere la visione unitaria dell’epoca; tanto che, in maniera ce...
Indice dei contenuti
- Capitolo primo. Il secolo e le sue autorappresentazioni
- Capitolo secondo. Interpretazioni del Novecento (1)
- Capitolo terzo. Interpretazioni del Novecento (2)
- Capitolo quarto. «History as usual»
- Conclusioni. Il Novecento tra memoria e storia