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Dove tutti sanno fare tutto: Sellerio
La casa editrice Sellerio si trova al civico 50 di quella che, fino al 2016, è stata via Siracusa, una traversa di via Libertà, la strada principale di Palermo. Palazzi anni Cinquanta che potrebbero stare ovunque, un tratto alberato e tranquillo, quasi ombreggiato, che non ha il carattere e i colori intensi del centro storico. Una posizione centrale, nella Palermo nuova, a pochi passi dal Teatro Politeama e dalle ville liberty, ma allo stesso tempo defilata, adatta a una casa editrice diventata globale senza rinunciare ad essere locale. Dal 2016 il tratto di strada si chiama via Elvira ed Enzo Sellerio ed è l’omaggio della città a un’impresa che si è imposta ben al di fuori di quei confini pur restando legata in modo indissolubile alle sue radici. Lo testimonia anche la scelta del nome impresso sulle copertine della collana principale, “La memoria”: “Sellerio editore Palermo”. Sono pochissime in Europa le case editrici che hanno la città accanto al nome dell’impresa. Sellerio ce l’ha, anche se i rapporti con Palermo sono stati spesso assai complicati.
Appena si entra in questi due appartamenti al piano rialzato collegati tra loro, sembra che tutto parli delle origini. A cominciare dalla sala riunioni con il tavolo ovale, le grandi librerie antiche e la bella collezione di carta velina di arance, acquistata al mercatino da Enzo Sellerio che questa casa editrice l’ha fondata nel 1969 insieme alla moglie, Elvira Giorgianni. Kilim sui pavimenti, pitture su vetro alle pareti, tende ricamate, vasi e soprammobili, stretti corridoi foderati di libri, un mobilio da salotto borghese danno a queste stanze, vive nonostante la pace che vi regna, un’atmosfera calda.
Nel 2019 Sellerio ha compiuto cinquant’anni, Enzo ed Elvira sono scomparsi a pochi anni di distanza, lei nel 2010, lui due anni dopo. Il figlio Antonio (1972), uno dei pochi editori che è, nello stesso tempo, anche un manager (si è laureato alla Bocconi proprio con una tesi sull’azienda di famiglia), dalla morte della madre non solo manda avanti la casa editrice insieme con la sorella Olivia, ma l’ha in un certo senso trasformata senza tradirne l’identità. Altissimo, capelli rossi ereditati dal ramo russo della famiglia paterna, parla lentamente, con brevi pause, fedele alla consegna della madre, secondo la quale un editore deve essere “silenzioso e discreto”.
Per raccontare che cos’è oggi la casa editrice bisogna uscire e partire da un dato geografico. All’inizio Enzo ed Elvira affittarono l’appartamento che è ancora l’attuale sede. Dopo il terremoto del Belice, che si sentì molto anche a Palermo, la casa dove stavano non sembrò più sicura e così la famiglia si trasferì in un appartamento nel palazzo di fronte. All’ufficio originario ne aggiunsero un altro adiacente, e poi presero il magazzino di sotto. “Quando si separarono, nell’84, mio padre andò via di casa e si trasferì là”, ride Antonio, indicando un altro balcone dall’altra parte della strada, di fronte a quello della madre. Insomma, un incrocio di passioni e affetti, un quadrilatero di cultura e famiglia che esiste da sempre, da quando Enzo ed Elvira decidono di lanciarsi in questa impresa. “La vita mia e di mia sorella Olivia è stata totalmente condizionata dalla casa editrice”, racconta Antonio, anche se Olivia è un’apprezzata cantante jazz che, tra le altre cose, è presente con sue composizioni nella colonna sonora di alcuni episodi della serie di Montalbano.
In una stanzetta adiacente all’ingresso un anziano signore è alla scrivania chino sui fogli con l’aria di chi è lì da sempre. È il lettore di manoscritti. Quasi novantenne, Beppe Ajello sembra il personaggio di un romanzo: da lui, e da Delia Poerio, con cui divide la stanza, passa in prima battuta tutto ciò che arriva. Ma alla domanda su come funziona la casa editrice Antonio risponde senza esitazioni: “Faccio un ampio giro di consultazioni ma alla fine decido io”. Esattamente come faceva sua madre.
Le origini sono state raccontate molte volte: quando Sellerio nasce, gli unici fondi sono la liquidazione (12 milioni di lire) di Elvira, da sempre grandissima lettrice, all’epoca insoddisfatta del suo impiego all’Ente regionale per la riforma agraria. Enzo, fotografo internazionale spesso sulla rotta americana (lavora molto per “Vogue”, “Fortune”, “Life”), capisce che quell’impegno lo avrebbe allontanato sempre più da Palermo e, “pur non essendo uomo di famiglia – dice Antonio –, decide di fermarsi”.
Poco è cambiato da allora in via Siracusa 50: nel 2016 è stato abbattuto il muro (“abbiamo scoperto in quel momento che in realtà si trattava soltanto di una libreria”) eretto nell’84, quando Enzo ed Elvira si separano e sdoppiano la casa editrice in due società: a lei la narrativa e la saggistica, a lui i libri illustrati. Per il resto quasi tutto è rimasto uguale in questo appartamento dove ospiti fissi erano intellettuali come Aldo Scimè (“che non fu mai un autore Sellerio, ma era sempre presente e diceva la sua su tutto”) o l’archeologo Vincenzo Tusa. È rimasto uguale lo studio di Enzo, con gli oggetti di modernariato, i manifesti grafici, i grandi libri, le collezioni di oggetti e di immagini e anche i suoi post-it; è rimasta uguale la stanza di Elvira con lo scrittoio antico, i bozzetti delle copertine, la poltrona su cui Leonardo Sciascia, che con l’antropologo Antonino Buttitta si può considerare tra i primi sostenitori a credere nel progetto di Sellerio, passava quasi tutti i pomeriggi.
Il termine “famiglia” è spesso abusato quando si parla di piccole aziende ma sembra molto adatto a descrivere l’atmosfera che si respira in queste stanze e il modo in cui si lavora. Forse perché c’è tuttora un bel gruppo di persone che ha lavorato con Elvira per moltissimo tempo. Come Chiara Restivo, che della “Signora” è stata il braccio destro: è in via Siracusa da oltre quarant’anni e segue i rapporti con gli autori, si occupa dei diritti e fa anche qualche traduzione (dal francese). O come Floriana Ferrara, che da più di un trentennio si dedica al lavoro redazionale.
È l’ora di pranzo e Maurizio Barbato passa a salutare Antonio prima di uscire: è in casa editrice dall’83, per vent’anni ha lavorato a fianco di Sciascia e dopo la sua morte ha scritto tutti i risvolti, più di ottocento, della collana “La memoria” (quelli dei libri di Andrea Camilleri sono sempre stati affidati al critico Salvatore Silvano Nigro, altro fraterno collaboratore). “Ho cercato di mettere zavorra al grande lancio della casa editrice”, scherza Barbato. Scrivere le bandelle, d’altronde, è una cosa seria. Lo faceva Leonardo Sciascia, il cui contributo alla casa editrice è stato, soprattutto nei primi anni, anche di carattere pratico, dal momento che né Enzo né Elvira avevano alcuna esperienza nel campo. Lo scrittore, ricorda Antonio, preparava le schede per i venditori, andava a trovare i librai, spiegava come impostare le lettere da inviare agli editori stranieri, suggeriva i modelli dei contratti avendo come riferimento i suoi. Insomma, era amico, lettore, consulente, ufficio stampa.
Ciò che colpisce, di queste stanze, è che continuano a trasmettere un’idea di alto artigianato che è la cifra di questa casa editrice, legata fortemente alle sue radici isolane anche oggi che, grazie a fenomeni come i libri di Camilleri, ha conquistato l’Italia e un po’ anche l’Europa (solo in Gran Bretagna il commissario Montalbano, arrivato a salvare l’azienda nel momento di massima crisi, ha venduto 1 milione 200 mila copie). Non è un caso che oggi tra le 18 persone che lavorano per Sellerio (quasi tutte interne) ci siano anche due addetti alla comunicazione.
Nei primi anni i dipendenti erano soltanto tre (Enzo ed Elvira, però, lavoravano moltissimo), negli anni successivi ci sono stati cauti ampliamenti ma la filosofia non è cambiata. Tutto viene fatto internamente: amministrazione, correzione di bozze, gli ordinativi per la carta. “Ora – mi spiega Antonio – non c’è più la necessità di andare tutti i giorni nelle due tipografie che stampano i volumi Sellerio (una è a Brancaccio, l’altra all’Acquasanta) come un tempo, ma quanto costa un libro è un calcolo che qui sa fare chiunque”.
Le collaborazioni esterne sono soprattutto legate alle traduzioni e c’è una persona che aiuta la redazione a gestire i picchi editoriali, quando ci sono tappi o emergenze.
Naturalmente ognuno ha una mansione specifica ma l’aspirazione è che tutti siano in grado, all’occorrenza, di fare tutto. Proprio come alle origini. C’è un episodio significativo che risale al primo grande momento di svolta della casa editrice, nel 1978, quando L’affaire Moro di Sciascia ottiene un grande, inaspettato successo. La prima edizione esce in “La civiltà perfezionata”, raffinatissima collana arricchita da un’incisione originale in copertina. Insomma un prodotto alto: ogni singolo volume veniva avvolto nella carta velina e aveva le pagine intonse. Quando il libro di Sciascia comincia a vendere (arriverà a centomila copie), la casa editrice si scopre completamente impreparata e ha seri problemi nel soddisfare le richieste. Quindi tutta la redazione si ritrova impegnata a ricoprire il libro con la carta velina.
L’affaire Moro è stato un libro importante non soltanto dal punto di vista culturale, ma anche per la visibilità della Sellerio. Già da un anno le edizioni Sellerio usufruivano di un distributore nazionale – le Messaggerie Italiane – ma questo grande successo diede un impulso determinante alla diffusione delle pubblicazioni. È anche sulla base di quella esperienza che, nel 1979, nasce “La memoria”, l’ammiraglia della Sellerio, sin dall’inizio pensata per un pubblico più ampio. La collana ha nella sua natura il libro tascabile, di prezzo basso, realizzato però con materiali di grande qualità. Anche questa, come tutte le altre, è pensata graficamente da Enzo, che continuerà a farlo anche dopo la separazione da Elvira. In quarant’anni la collana è rimasta identica a se stessa senza dare l’impressione di essere datata. Antonio ricorda come nacque quel formato: “Mia madre prende il foglio di carta standard, 70x100, lo piega tante volte fin quando non trova una pagina che non dia sprechi e abbia un bel formato maneggevole”. Al padre Enzo si deve invece la grafica, il fondo scuro delle copertine e il quadrato con l’illustrazione in centro. Le prime prove sono grigie, poi diventano blu, con i colori delle scritte e la cornice interna alla copertina coordinati. Una scelta semplice ma innovativa che verrà copiata da altri editori stranieri e italiani.
Nelle sue intenzioni “La memoria” è “a prova di grafico”, spiega Antonio. Il ruolo non è previsto: non solo per una questione di costi, ma perché Enzo non vuole che la veste esterna diventi preponderante rispetto al testo e che si risolva in un esercizio di stile fine a se stesso. Inoltre vuole gabbie sobrie, molto riconoscibili. “È la ricerca di un’estrema coerenza tra contenuto e forma dal momento che sono i redattori stessi, e in ultima battuta mia madre, a scegliere le copertine”. Oggi un servizio esterno cura l’acquisizione delle immagini e a volte le realizza, ma la concezione della copertina avviene ancora all’interno, in redazione, anche perché la tecnologia digitale permette di fare decine di prove in breve tempo.
“La memoria” si inaugura con un altro libro di Sciascia, Dalle parti degli infedeli, e anche in questo caso un episodio illustra bene il carattere artigianale del lavoro. In teoria la collana avrebbe dovuto cominciare con Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, sempre dello scrittore di Racalmuto, ma, proprio quando si stava per andare in stampa, Sciascia consegnò Dalle parti degli infedeli e si decise di iniziare con questo testo che, a differenza dell’altro, era inedito. Gli interni degli Atti, però, erano già stati stampati e, non volendo buttarli, il libro passò da numero 1 a numero 10: si fece un timbro per stampare lo zero a mano (molte opere di Sciascia avranno il numero pieno, compreso il 100, mentre, dopo la sua morte, i numeri 200, 300 e così via verranno simbolicamente saltati).
Nella “Memoria” Sciascia infonde le sue letture, le sue passioni, le sue frequentazioni parigine. Fin da allora si punta moltissimo sugli autori italiani, sulle letterature europee, soprattutto francese e inglese, sulle opere latine e greche, sempre però con un occhio non alle opere principali ma a quelle minori, meno conosciute, nel segno della scoperta o del repêchage. Da subito c’è grande attenzione anche alla narrativa di genere, basti pensare alla pubblicazione di un classico del giallo americano come Due rampe per l’abisso di Rex Stout. Gli autori scoperti da Elvira sono molti, a cominciare dall’esordiente sessantunenne Gesualdo Bufalino, il “primo successo endogeno” della casa editrice, che nel 1981 vince il Campiello con Diceria dell’untore. “È stato un caso direi unico – dice Antonio –. Subito dopo gli ‘anni di piombo’ la vittoria di un autore anziano, sconosciuto a tutti, dalla scrittura raffinatissima, quasi barocca in alcune sfaccettature, sembrava impossibile”. Sulla sua scoperta da parte di donna Elvira verità e leggenda si confondono: “In ufficio con mia madre c’erano Leonardo Sciascia, Enzo Siciliano e Vincenzo Consolo. Mia madre aveva appena letto un testo di Bufalino che accompagnava un libro di fotografie su Comiso e fece una scommessa con loro, convinta che avesse un manoscritto nel cassetto. Lo chiamò davanti a tutti e lui le rispose: ‘Signora io non ho un manoscritto, ne ho due. Però uno non mi piace e non glielo mando, l’altro invece mi piace e glielo mando’”.
E poi Antonio Tabucchi, che esordiente non è ma che con Notturno indiano, uscito a pochi numeri di distanza da Assassinio al Comitato Centrale di Manuel Vázquez Montalbán, diventa un emblema della casa editrice. E poi Luisa Adorno, Carlo Lucarelli, Sergio Atzeni, Luciano Canfora, Gianrico Carofiglio, Laura Pariani e molti altri. Oggi la prima vocazione della casa editrice è la narrativa, ma con titoli che raccontino il mondo in cui viviamo, spiega Antonio: per questo Sellerio ha sempre evitato generi come horror, fantasy, erotismo. E se il giallo è stato, all’inizio, una scelta, dopo il successo di Camilleri il marchio palermitano è diventato un punto di riferimento del genere. Ma non tutti i gialli rientrano nella linea editoriale di Sellerio. Spesso, dice Antonio, “rifiutiamo testi che ci piacerebbe leggere ma lontani dalla nostra filosofia che è appunto raccontare il mondo, il quotidiano. Infatti i personaggi seriali dei nostri libri sono spesso persone comunissime che si confrontano con le vite reali”.
Catturare il pubblico italiano con la proposta di grandi e sconosciuti autori stranieri è stata l’intuizione di Sellerio fin dalle origini. Oggi il catalogo comprende scrittrici come la canadese Margaret Doody, la spagnola Alicia Giménez-Bartlett, il russo Sergej Dovlatov, ma negli ultimi tempi Sellerio si sta aprendo sempre di più alla narrativa dell’Est asiatico, con titoli di autori coreani, giapponesi, cinesi, perché “è un mondo che ha fortissime influenze su di noi e che in realtà conosciamo poco nei suoi aspetti di vita”. Recentemente è arrivato anche qualche titolo di letteratura americana che agli esordi non c’era, soprattutto perché forse non era nei gusti di Sciascia, anche se Elvira in realtà amava alcuni autori degli anni Cinquanta e Sessanta su cui si era formata. “Penso che quel genere funzioni più nei grandi gruppi” dice Antonio che, tuttavia, ha puntato su alcuni titoli, per esempio Una vita come tante dell’hawaiana-sudcoreana Hanya Yanagihara, diventato un longseller grazie al passaparola.
In casa editrice arrivano circa tremila inediti l’anno. Ajello e Poerio leggono tutto, preparano la lettera di rifiuto e la portano per la firma ad Antonio con un breve parere scritto. “In parte si tratta di poesie o romanzi improbabili e questi sono facilissimi da trattare, però la maggior parte merita almeno una lettura parziale – dice Antonio –, perché scritti in un italiano discreto o perché hanno almeno un aspetto interessante. Le proposte arrivano per posta e per mail. In quest’ultimo caso si tratta, il più delle volte, di un invio indistinto a più case editrici. Invece la stampa e l’invio fisico esprimono una scelta precisa che, spesso, ha a che fare con una conoscenza diretta del marchio e del suo catalogo”.
E poi naturalmente, anche qui come ovunque, ci sono i testi proposti dagli agenti letterari, segnalati da collaboratori della casa editrice o da altri editori. Quando un manoscritto attira la loro attenzione i lettori lo portano ad Antonio che, per prima cosa, se lo fa raccontare. Se non lo convince, finisce lì. “Se invece mi scatta qualcosa, raramente lo leggo subito, più spesso lo smisto a qualcun altro, a Mattia Carratello, per esempio, che lavora soprattutto sulla narrativa straniera ma cura anche alcuni italiani (lui stesso, naturalmente, è il terminale di alcune proposte), a Chiara Restivo o a Maurizio Barbato. A volte sono gli stessi lettori a passarselo tra loro, però la norma è che transitino da me”. Poi ci sono anche altre persone, esterne alla casa editrice, che in forma del tutto amicale leggono gli inediti: “Uno dei lettori di cui mi sono sempre fidato era la sorella di mia madre, mia zia Pitta, recentemente scomparsa”. Con Elvira accadeva più o meno la stessa cosa.
Se Sellerio rimane un punto di riferimento per i narratori siciliani, bisogna dire che negli ultimi anni si registra un ingresso piuttosto corposo di scrittori che con l’isola non hanno niente a che fare e che sono diventati una bandiera del marchio, come Antonio Manzini, Francesco Recami, Marco Malvaldi. Ci sono veneziani, come Andrea Molesini, o milanesi, da Giorgio Fontana ad Alessandro Robecchi, a Marco Balzano (che con Sellerio ha vinto il Campiello, prima di passare a Einaudi). “Un po’ un paradosso forse – scherza Antonio –. Sarebbe logico pensare che sia più facile incontrare un editor in un bar di Milano a cui proporre un libro piuttosto che venire a Palermo”.
Può capitare che un autore “scoperto” da Sellerio e che ha un certo successo venga poi reclutato da un grosso marchio, ma il caso Camilleri ha insegnato che non sempre è un male. Quando, nel ’98, Mondadori pubblica Un mese con Montalbano, Seller...