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La Rivoluzione francese
- 656 pagine
- Italian
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La Rivoluzione francese
Informazioni su questo libro
La più moderna e ampia storia della Rivoluzione: una vivace narrazione condotta secondo i metodi della nuova storiografia francese.Collocata in un ampio arco storico, la Rivoluzione viene articolata nelle diverse rivoluzioni che i vari ceti sociali condussero al suo interno. E assume una nuova fisionomia: il Terrore passa in secondo piano rispetto all'Assemblea Costituente e al Direttorio; Marat e Robespierre cedono il passo ai protagonisti del nuovo corso «borghese».
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Informazioni
VIII.
Termidoro, o il peso dei ricordi1
La Convenzione sopravvisse a Robespierre quindici mesi.
In apparenza nulla è cambiato: l’Assemblea è sempre la stessa, e sempre la stessa è la lotta contro l’Europa dei re e degli aristocratici. In realtà è cambiato tutto: dal 10 termidoro Parigi danza, Parigi canta, Parigi respira tutta un’altr’aria. Per mesi e mesi, attraverso mille difficoltà e mille scossoni, la Convenzione tenterà di realizzare il suo ideale, il governo dei notabili.
Il periodo termidoriano ha lasciato nella nostra memoria collettiva un’impressione di squallore. Sul piano politico, il suo fallimento è totale: il regime cui ha dato vita crolla senza dramma né gloria sotto la lieve spinta dei soldati di Bonaparte. Lo stridente contrasto fra la miseria popolare e il lusso sfacciato dei nuovi ricchi trova il suo giusto collocamento nel museo delle vergogne nazionali; e quanto ai costumi, le censure e i tabù più opposti si uniscono per condannarli: il moralismo luigi-filippista rasenta le nostalgie della virtù robespierrista.
Gli storici ne hanno messo in rilievo i due temi fondamentali, la reazione e il ritorno al 1789. «Reazione termidoriana»: Aulard e Mathiez hanno fatto propria quest’espressione usata dai vinti di germinale dell’anno II, scostandosi però alquanto dal suo significato originario. Sconosciuta ai dizionari del XVIII secolo, se non come termine di fisica, questa parola compare nel Dizionario dell’Accademia del 1798 appunto dopo Termidoro: «Reazione. Si dice in senso figurato di un partito che si vendica passando a sua volta all’azione»; e, come si vede, non implica alcuna delle colorazioni politiche e sociali assunte successivamente. Oggi si pensa a ciò che il XIX secolo definiva «resistenza» contrapposto a «movimento», allontanandosi però di molto dalla realtà termidoriana. Non solo il movimento rivoluzionario continua, ma addirittura supera se stesso cercando di consolidare le proprie conquiste essenziali: le libertà fondamentali e la proprietà disgiunta dal privilegio. Si vuol forse dire con ciò che la reazione termidoriana fu diretta contro le classi inferiori e la loro pretesa di partecipare al governo? Indubbiamente sì, ma questa corrente profonda, che è la logica stessa della Rivoluzione dei Lumi, tornò spontaneamente nel suo alveo nel germinale dell’anno II, e sotto quest’aspetto Boissy d’Anglas fu semplicemente un continuatore di Robes-pierre.
È un fatto che, superato il breve episodio dell’anno II, la borghesia torna apertamente ai suoi obiettivi di sempre: la libertà economica, l’individualismo della proprietà, il regime censuario; e così Termidoro «si riallaccia al 1789». Ma che differenza fra la presa della Bastiglia e l’esecuzione di Robespierre! È un’altra estate, gli animi sono cambiati, il sangue non circola più con la stessa facilità. Quanto ottimismo in Barnave e negli ideatori della Dichiarazione dei diritti dell’89! Con quale fiducia il popolo si adoperava per rovesciare l’edificio dell’Ancien Régime! Sono passati cinque anni, ed eccoci alla Dichiarazione dei doveri del popolo: «Nessuno può dirsi uomo dabbene se non è religiosamente e lealmente ligio alle leggi». La soddisfazione degli interessi acquisiti è accompagnata da una spaurita prudenza, comprensibilissima dopo tanti anni di maximum, di «giornate» e di ghigliottina. «Un paese governato dai proprietari è proprio dell’ordine sociale; quello in cui governano i non proprietari appartiene allo stato di natura». La filosofia di Boissy d’Anglas deriva dall’esperienza, ma a che cosa si ispira Dupont de Nemours? Alla fisiocrazia o al 10 agosto? «È evidente che i proprietari, senza il cui consenso nessuno in questo paese potrebbe avere un tetto o il cibo, ne sono i cittadini per eccellenza». I Convenzionali del 1795 assomigliano a certi figli di papà emancipatisi nella gioia di vivere che un bel giorno s’impiegano giudiziosamente nello studio di un notaio; intorno a loro la scena è cambiata: le strutture dell’antica borghesia hanno ceduto: i salotti si spalancano ai pescicani, agli speculatori, agli industriali e ai fornitori dello Stato, simili ai loro predecessori nella volontà di consolidare il proprio patrimonio, ma che non hanno conosciuto, come loro, la lieta ebbrezza della filosofia dei Lumi.
Dopo la rivoluzione di palazzo, i vincitori avrebbero voluto contenere l’operazione nei limiti di un semplice cambiamento di personale. La parola d’ordine era semplicissima: tutto il male veniva da Robespierre. Il «Journal des hommes libres» del 13 termidoro denunciò il culto della personalità in questi termini:
No, la libertà non può perire; mai un altr’uomo si attenterà a distruggerla, perché i francesi, spero, si ribelleranno finalmente a questa maniera d’incensare e idolatrare gli individui che per poco non li ha portati alla rovina.
E Barère profetava: «La forza del governo rivoluzionario risulterà centuplicata dalla caduta del tiranno che gli intralciava il cammino».
Ma sarebbe stato difficile nutrire a lungo delle illusioni, che né i rapporti di forza alla Convenzione né l’improvviso risveglio dell’opinione pubblica giustificavano.
La coalizione che aveva rovesciato Robespierre, o quanto meno sanzionato col proprio voto il cambiamento del 9 termidoro, era lacerata da profondi conflitti. Il ruolo decisivo era toccato ai membri dei comitati, a Billaud-Varenne, Collot d’Herbois e Barère nel Comitato di Salute pubblica, ad Amar e Vadier nel Comitato di Sicurezza generale. Intorno a loro, gli uomini politici legati alla guerra di conquista e alla scristianizzazione erano detestati al punto che persino i loro colleghi Carnot e Lindet non tardarono a prendere le proprie distanze. I profittatori del 9 termidoro, salutati dall’opinione pubblica come altrettanti eroi, furono Tallien, Barras, Fréron, Merlin de Thionville, chiamati dai contemporanei «vecchi cordiglieri» o «dantonisti»: codesti proconsoli erano infatti passati dal terrorismo a oltranza all’indulgenza facendosi scudo della grande ombra di Danton. La maggioranza della Convenzione, benché unanime contro Robespierre, era divisa riguardo al futuro. I Montagnardi transfughi o pentiti come Thibaudeau e soprattutto Cambacérès si unirono alla Pianura, dove gli ex simpatizzanti girondini potevano finalmente uscire dal proprio forzato letargo. La Montagna si svuotò progressivamente, ma dietro Levasseur, Duhem e Ramps i fedelissimi del governo rivoluzionario si tennero pronti a sferrare le proprie ultime battaglie.
Tutti i gruppi pensavano al potere: il Comitato di Salute pubblica per conservarlo e continuare la politica di Robespierre, i Termidoriani, come venivano ormai chiamati Tallien e i suoi seguaci, per impadronirsene; i Girondini pretendevano il richiamo dei propri colleghi proscritti il 31 maggio per sbilanciare la maggioranza, la Pianura e i Montagnardi pentiti volevano riprendere il controllo dell’esecutivo.
In condizioni simili, le speranze di Barère naufragarono. In poche settimane la Convenzione abolì le due armi essenziali del governo rivoluzionario, l’accentramento governativo e il patibolo.
Ma era impossibile porre fine al Terrore senza chiamare in causa i terroristi. Svanita pertanto la finzione del culto della personalità, si pose il problema delle responsabilità. La maggioranza assembleare era incline a dimenticare il passato, ma in regime di rivoluzione non si può non guardare indietro. L’opinione pubblica intervenne.
La caduta di Robespierre, più che sollievo, suscitò un’immensa ondata liberatoria di passioni represse. «Dovunque, scrive un giornalista il 12 termidoro, all’ansia spaventosa che torturava tutti gli animi subentra la gioia». Tornato a Parigi, il giovane Charles de Lacretelle fu testimone di questa resurrezione: «Tutti si abbracciavano, per strada e a teatro, e la reciproca sorpresa di ritrovarsi vivi raddoppiava la gioia, portandola quasi alla follia». Tutta Parigi si abbandonò allora a un’orgia di danze, a quell’epidemica «saltazione» di cui parla Duval e che fu poi illustrata da un balletto di Gardel, La dansomanie.
L’opinione pubblica reclamò spontaneamente la liberazione dei detenuti e il castigo dei terroristi. Fin dal 15 termidoro, alle assemblee generali delle sezioni, amici e parenti dei prigionieri dettero il via al movimento. il 9 fruttidoro un ex membro della Comune del 10 agosto, Méhée de la Touche, pubblicò un libello che ottenne un immediato successo, La coda di Robespierre. A che serviva aver tagliato la testa, se con Billaud-Varenne, Collot d’Herbois e Barère la coda continuava a muoversi?
In quest’attacco, in cui i rancori popolari si sommavano alle vendette borghesi, Mathiez vide la prova a posteriori della fondatezza della politica antifaziosa di Robespierre; e Georges Lefebvre, pur sottolineando la sincerità degli agitatori neo-hébertisti, concluse che «la loro collusione con i reazionari è innegabile», forse trascurando la reale convergenza della nausea e del disgusto generali contro Robespierre. Al club elettorale, sito nella sala del Vescovado, e alla sezione del Muséum, i leader del movimento sanculotto si scagliarono contro gli uomini dell’anno II. Nel «Journal de la liberté de la presse» Babeuf fece l’elogio di Tallien e di Fréron, infierì contro «Maximilien il Crudele», e rimproverò alla Convenzione la sua eccessiva clemenza nei confronti dei terroristi. Per lui l’anno II divenne un periodo di temporanea controrivoluzione. Quanto a Varlet, imprigionato per aver fatto l’elogio di Lecointre, giudicava il governo rivoluzionario «un governo nazionicida, una mostruosità sociale, un capolavoro di machiavellismo».
Travolto da questa corrente d’opinione, Lecointre denunciò alla Convenzione Barère, Billaud-Varenne, Collot d’Herbois, Vadier, Amar e David (26 agosto); ma invece di dargli retta, la Convenzione condannò la sua accusa come calunniosa. Thibaudeau ce ne spiega l’imbarazzo. Rifiutandosi di infierire contro i terroristi, la Convenzione sarebbe apparsa complice dei loro delitti, mentre se li avesse incriminati avrebbe finito col mettere sotto accusa se stessa: col suo silenzio o con i suoi voti, non aveva forse approvato le misure adottate dal Comitato? Era giunto il momento dei moderati della Pianura. Il 1° settembre, i tre diedero le dimissioni dal Comitato di Salute pubblica, e Tallien, compromesso dall’attacco di Lecointre, fu costretto a dimettersi anch’esso. A questo punto, sentendosi in pericolo, i Termidoriani cercarono appoggio al di fuori dell’Assemblea, nella strada, nella stampa, nei teatri e nell’opinione pubblica.
Fréron e Merlin de Thionville, che avevano una discreta esperienza della tattica delle minoranze attive, rilanciarono a proprio vantaggio, e con una base sociale diversa, l’efficace ricatto del 1792 e del 1793: la pressione della piazza. Nacque così la «gioventù dorata» di Fréron. I suoi primi leader furono attori, cantanti, ballerini e musicisti. «Essa si componeva – scrive Duval – di giovanotti appartenenti alle classi sociali parigine più agiate... Ne facevano parte scrivani di notai e avvocati e di ufficiali giudiziari, quasi tutti gli impiegati del commercio, e insomma vi partecipavano tutti gli appartenenti alla buona borghesia». Molti erano imboscati o disertori, o ex agitatori rivoluzionari come il celebre Saint-Hurugue. Armati di randelli, riconoscibili dal bavero quadrato e dalla cadenette (lunga treccia), si riunivano nei giardini, e soprattutto nell’antico caffè Chartres (il caffè dei Cannonieri) o nell’ex Palais-Royal, divenuto Maison-Egalité.
La stampa giacobina subì un colpo gravissimo il 1° fruttidoro, allorché il Comitato di Salute pubblica decise di sopprimere gli abbonamenti ai giornali. Comparve una nuova stampa moderata, che, stando a Lacretelle, obbediva a consegne elaborate collettivamente dai redattori principali. I teatri si politicizzarono: «Si faceva a gara a chi avrebbe avuto e rappresentato per primo i lavori in cui si additavano al disprezzo e all’esecrazione pubblica gli scellerati che ci avevano tanto a lungo oppresso con il loro ferreo giogo». Più discreta, ma più profonda sull’opinione parlamentare, fu l’azione dei salotti. In casa della bella Thérésa, diventata Madame Tallien e salutata come «Notre-Dame du Bon Secours» dai suoi ammiratori, e in casa di de Vaines o di Le Hoc i deputati si mescolavano ai banchi...
Indice dei contenuti
- Prefazione all’edizione italiana
- Parte I. Dagli Stati generali al 9 Termidoro
- I. La Francia di Luigi XVI
- II. La rivolta degli ordini
- III. Le tre rivoluzioni dell’estate dell’89
- IV. L’anno felice
- V. Lo slittamento della Rivoluzione
- VI. Il romanticismo rivoluzionario
- VI. L’ora dell’avversità
- Conclusione
- Parte II. Dal 9 termidoro al 18 brumaio
- VIII. Termidoro, o il peso dei ricordi
- IX. La repubblica borghese
- X. L’avventura italiana
- XI. La guerra perpetua
- XII. La Francia nuova
- XIII. La fine di un regime
- Bibliografia
- Cronologia