I
LA STORIA
I nostri immaginari
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No, non è al contrario. La carta tradizionale che voi conoscete non le assomiglia per niente, pertanto è normale che siate spiazzati. A forza di guardare una cosa sempre dallo stesso punto di vista, si finisce per dimenticare che potremmo farlo in un altro modo. Essendo la terra rotonda come un pallone da calcio, troppo spesso ci dimentichiamo che non ha alto e basso, né sinistra o destra. Se partite da una superficie sferica (la Terra) per realizzare una superficie piana (un planisfero), anche se non tralasciate nemmeno un’isola, non un solo mare, non potrete comunque essere oggettivi: è una rappresentazione. Sottolinea ed evidenzia certi elementi, ne minimizza altri.
In Europa, la carta tradizionale che tutti conosciamo, realizzata da Mercatore, non rispetta le reali proporzioni dei continenti.
A Mercatore, che era un marinaio del XVI secolo, interessava che la sua carta venisse usata come strumento per il commercio marittimo. La dimensione degli oceani aveva per lui un’importanza particolare, quella delle terre no. Sulle carte tradizionali che usiamo oggi, l’Europa è sempre al centro e in alto. È un caso? L’Europa è ingrandita, l’America settentrionale è ingrandita, il continente africano è rimpicciolito al punto da sembrare più piccolo della Russia. È insignificante? Anche l’America del sud è rimpicciolita. È incredibile, ma la maggior parte delle persone ha una visione del mondo distorta, senza saperlo. Su questa carta abbiamo voluto mettere l’Africa al centro, per ricordare che poco importa dove ci troviamo oggi: siamo tutti migranti venuti dall’Africa. In questa carta, ho voluto esaminare le nostre abitudini, le nostre rappresentazioni, le nostre gerarchie. Rispettando le vere proporzioni dei continenti, ho voluto arricchire il nostro pensiero per arrivare a chiederci, per esempio, perché un continente così piccolo come l’Europa abbia voluto colonizzare il mondo.
Vedersi più importanti di quanto si è nella realtà, non è una convinzione profondamente radicata in Occidente? Un discorso costruito nei secoli che non è per nulla casuale. Per altro, il modo in cui i cinesi, dal 2002, stanno ripensando la loro cartografia,1 riprende sotto ogni aspetto l’egemonia cartografica dell’Europa: posizionarsi al centro non è forse la traduzione di ogni visione “imperialista” sul mondo?
La storia che si raccontano gli occidentali e la cristianità pone le persone bianche al centro del mondo. È stata insegnata a scuola, diffusa nella coscienza collettiva e divulgata nei dibattiti pubblici. Questa storia racconta i fatti da un unico punto di vista. Non si sofferma troppo su alcuni eventi, ne omette altri, stabilisce e sostiene l’idea che il pensiero bianco sia la norma nel mondo. È importante essere consapevoli di parlare sempre da un certo punto di vista, che crediamo sinceramente essere l’unico vero. Dimentichiamo che è solo uno tra i tanti, che traduce una visione del mondo, i suoi fantasmi, le sue paure, i suoi condizionamenti.
Non so se avete mai sentito la parola agnotologia. Significa letteralmente “scienza dell’ignoranza” (dal greco agnosia, ignoranza); è stata coniata nel 1922 dallo storico Robert N. Proctor2 per descrivere la «produzione culturale dell’ignoranza». Alcune istituzioni spendono denaro ed energie perché certi fatti siano ignorati o incompresi. Per esempio, le multinazionali del tabacco o dello zucchero hanno speso e spendono ancora milioni di dollari perché la gente non sia troppo informata sui danni alla salute che provocano i loro prodotti. Hanno confuso le acque con studi scientifici parziali, al fine di seminare dubbi. D’altronde la “fabbrica del dubbio” è un obiettivo deliberatamente perseguito da certe lobby,3 che si sforzano di rendere più contorta la realtà, affinché il comune cittadino si perda in queste storie “troppo complicate” e distolga lo sguardo dalla verità: fare profitti.
Da un po’ si parla molto di fake news, come se la disinformazione fosse una novità. Così come le sciocchezze che riempiono i nostri social network spesso prendono di mira obiettivi ben precisi – gli ebrei, i musulmani, l’immigrazione, l’idea di Europa… – nel corso dei secoli l’informazione storica è sempre stata manipolata, distorta, filtrata, al fine di difendere certi punti di vista e quindi certi interessi. Si sa, la storia fornisce un chiarimento prezioso che, attraverso la conoscenza degli eventi del passato, permette di capire il nostro presente e di costruire il nostro futuro. Ma è anche uno strumento efficace che gli Stati possono utilizzare per spingere le coscienze ad accontentarsi di sentire una certa campana e ignorare realtà più importanti (un’operazione agnotologica, dunque). Ogni civiltà, presto o tardi, finisce per impregnarsi di una serie di discorsi banali, idee insulse. Sono grandi narrazioni che vengono raccontate, e sono tutte parziali. È opportuno scoprire cosa è stato passato al vaglio di queste grandi narrazioni, cosa è stato conservato, cosa è stato censurato e perché.
Esistono anche i lavori di ricerca, certo. Le librerie e le biblioteche sono piene di libri di storia seri, che non riportano solo le grandi narrazioni e le loro trappole, ma mostrano e analizzano realtà di cui, talvolta, non abbiamo mai sentito parlare. Leggerli può aiutarci. Bisogna capire che ciò che è vero oggi non lo è per sempre. Il problema è che i lavori di questi studiosi non arrivano alla maggioranza delle persone. Non sempre compaiono nei manuali scolastici, né passano sui media. Ciò che si insegna a scuola spesso non è la vera essenza di un Paese? Ma quelle narrazioni non sono state create né propagate a caso. Difendono gli interessi della classe dominante, le idee del pensiero bianco. Come un veleno che si instilla goccia a goccia, ci persuadono che l’uomo è lupo per gli uomini e che le ingiustizie sono inevitabili.
Gli spiriti liberi che danno prova di onestà intellettuale esistono e sono esistiti in ogni epoca, ma quelli che chiedono, discutono, mettono in dubbio il consenso sono pochi, poco ascoltati, spesso perseguitati, come lo sono coloro che oggi lanciano allarmi. Ogni epoca costruisce uno schema che legittima solo certi discorsi e ne scarta altri. Certe guerre sono “giuste”, altre illegittime; certe potenze lottano per i “valori della democrazia” e della “civiltà”, altre fanno parte di un famigerato “asse del male”.
Ripensiamo alle cosiddette armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein, che hanno portato allo scoppio della guerra in Iraq nel 2003. Come dimenticare. Non pretendo che i “nemici dell’Occidente” abbiano sistematicamente ragione, le loro fake news e mitologie spesso sono manipolatorie quanto quelle del pensiero bianco. Ma queste credenze o propagande sono circostanziate e piuttosto recenti in termini di ideologia, a differenza del pensiero bianco che ne ha fatto un sistema di pensiero collettivo che dura da più di cinque secoli. Come si modellano i discorsi dominanti, a cosa servono e perché bisogna mantenere nei loro confronti una certa distanza critica? La storia dimostra che i potenti, come diceva Oscar Wilde, agiscono ipocritamente indossando la maschera della virtù.4
Prima di esaminare alcuni dei momenti che costellano la nostra storia e i miti che la appesantiscono, ci tengo a dire una cosa che vorrei teneste a mente leggendo il libro. Le pagine che seguono non sono un processo a certe figure storiche. Sarebbe anacronistico chiedere ad Aristotele, Montesquieu o Jules Ferry di pensare come uomini dell’inizio del XXI secolo. Mi atterrò a ciò che hanno scritto, per rilevare quanto il loro pensiero possa aver indotto violenza e ingiustizia per gli uomini della loro epoca e, di conseguenza, per la nostra. Quando si legittima la schiavitù o il colonialismo, non ci si limita a elaborare grandi idee: si legittimano anche crudeltà e ignominie commesse su esseri umani. Mi sforzerò il più possibile di ricordare come, alla loro epoca, alcune menti contestassero il pensiero dominante. Questo ci dà il diritto di criticare quanti hanno formulato o legittimato pensieri che definivano la violenza la normalità.
Quando Montesquieu, in piena epoca schiavista, scrive: «Le nostre colonie delle Antille sono meravigliose» o Immanuel Kant afferma: «L’umanità raggiunge la sua massima perfezione nella razza dei bianchi»5 orientano la società in una certa direzione. Questa direzione può essere imboccata con serietà, Montesquieu e Kant possono essere davvero convinti di ciò che scrivono, è evidente che stanno sostenendo gli interessi economici e ideologici del loro tempo. Non importa quali. Montesquieu e Kant, in quanto europei bianchi e privilegiati (il pensiero bianco non è certo una costruzione dei contadini europei), si pongono in cima a una scala di valori morali e storici. Dobbiamo prenderne atto, così come dobbiamo valutare quanto quella visione abbia influenzato la società della loro epoca, e poi di generazioni e generazioni a venire. Non è il pensiero di Montesquieu o Kant che mi interessa. Mi interessa che siamo consapevoli del loro contributo a costruire un discorso che legittima la violenza e lo sfruttamento degli uomini da parte di altri uomini.
La storia è un materiale intellettuale e una scienza umana con cui si costruisce il presente. Quando questo materiale è lacunoso, tutto il racconto che ne deriva è incompleto, inaffidabile, persino scandaloso. La storia dovrebbe porci questa domanda fondamentale: noi, da dove parliamo? Non dovremmo forse, compiendo una rivoluzione copernicana, avere il coraggio di ammettere che il nostro ragionamento parte sempre da un certo punto di vista? Se, come certi storici che hanno adottato il punto di vista delle classi popolari e non quello dei re o il punto di vista delle donne e non quello dei “grandi uomini”, anche noi smettessimo di “pensare bianco”?
È il lavoro che hanno iniziato a fare persone molto più colte e importanti di me, per esempio, l’economista indiano Sanjay Subrahmanyam che, nel 1997, ha raccontato la storia di Vasco da Gama dal punto di vista dei sultani africani, dei mamelucchi e degli indiani.6 Naturalmente questo cambia molte cose. O Amin Maalouf che, nel 1983, ha raccontato le crociate viste dagli arabi.7
Quella che giustamente chiamiamo “storia connessa” consiste nel moltiplicare i punti di vista, anziché parlare solo di quello occidentale. Penso anche al lavoro di Louis Sala-Molins, professore di filosofia politica, che a lungo si è occupato del Code noir – una raccolta di una sessantina di articoli promulgati nel 1685 da Luigi XIV riguardanti le disposizioni sulla vita degli schiavi neri nelle colonie francesi – e scrive: «Provo a leggere tutta questa tragedia [lo schiavismo] calandomi, per quanto posso, non nella pelle liscia e vellutata del pensatore parigino, ginevrino o bordolese […], ma nella pelle scorticata dalla frusta e nel corpo mutilato dello schiavo nero nelle isole!».8
Purtroppo questo pensiero è ancora anticonformista, marginale, riservato a pochi lettori attenti, “coinvolti”. Non basta: studiare la storia deve insegnarci a evitare le manipolazioni e aiutarci a guardare il passato in quanto esseri umani, liberi dai condizionamenti delle nostre presunte appartenenze, il colore della nostra pelle, le nos...